Aperipolitica, dal Quotidiano del Sud.
Posted on 14. ago, 2019 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Il taglio dei parlamentari giustificato esclusivamente dalla necessità di risparmiare un po’ di danaro è scelta misera. Diciamo che è una semplicistica maniera di incrociare il consenso popolare confermandogli che il sistema parlamentare costituisce uno spreco.
Lo è, in effetti. Ma non perché i parlamentari siano tanti. Lo è perché non contano niente. Lo è perché oggi costituiscono un gregge insignificante che non incide in alcuna delle scelte legislative, perché obbedisce ai dictat di pochi capetti e nulla più.
Una democrazia che si basi sull’obbedienza dei parlamentari contraddicendo la natura umana che ci ha fatti esseri critici, in grado di farci un’opinione e di operare autonome scelte, è una finta democrazia.
A questo punto i parlamentari non vanno limitati nel loro numero, ma eliminati del tutto: fra loro e un gregge al pascolo c’è poca differenza, transumanza inclusa, da un partito all’altro, da un’alleanza a un’altra.
Più intelligente fu pensare alla fine del bicameralismo, almeno aveva una logica diversa, sebbene creasse comunque una camera di nominati con compiti subdolamente celati fra gli articoli e con la garanzia che i nominati, in quanto tali, non avrebbero pensato a sorprese di sorta.
Quindi la diminuzione del numero dei parlamentari è una proposta populista di nessun senso politico. Se il costituente pensò a quel numero che ancora oggi è applicato, lo fece con motivazioni di gran lunga più meritorie di quelle minimali dei 5 Stelle.
Se si deve risparmiare, del resto, basta dimezzare le indennità, fermo restando che una classe politica seria, andrebbe dignitosamente indennizzata. Quindi oggi, anziché consentire bucatini e abbacchio quotidiani per alzare una mano, basterebbe garantire una fetta di pizza, birra e caffè, per dire.
Il problema sarebbe un tantino più serio. Come rendere le camere luogo di dibattito politico teso alla pubblicazione di leggi chiare e utili, invece che cassa di risonanza delle beghe politiche?
Bella domanda.
Il marcio, credo, stia solo nei partiti. Negli anni ho dovuto constatare come siano, il più delle volte, la tomba della politica. Dietro una facciata di passione democratica e ideologica, di mantra sul bene comune e il disinteresse personale, si celano egoismi famelici, carrieristi spregiudicati e cercastipendi, commercianti di favori e caporalati di filiere del consenso, amici e amici degli amici, favoriti e raccomandati, se proprio vogliamo dirla tutta.
Ora è in onda il nuovo balletto con nuovi o ritrovati ballerini, dopo la decisione di Salvini, corona del rosario munito -che poi che c’entra con la politica?- di staccare la spina a un governo che, lo giurava lui, sarebbe durato fino a scadenza. Renzi ha rialzato la cresta e tirato fuori idee sicuramente originali, ma, come sempre, estemporanee, non sistemiche. Finanche la Boschi ha trovato il fiato per spararne un paio e nessuno degli nostri eroi sa che pesci prendere.
Sarà un Ferragsoto caldo, a dispetto del calo delle temperature previste: quindi o la doccia gelata delle elezioni anticipate o quella di un governicchio di nuova progettazione, destinato, come gli altri, a creare un altro mito e bruciarlo subito dopo, magari con annessa ennesima, inutile, legge elettorale. Lo spettacolo è vario in un contesto noioso, come una serie televisiva, con episodi esplosivi in una trama generale misera.
E allora facciamola questa serie.
Il titolo? Semplice: Aperipolitica, costa poco e riempie la pancia.
Omologazione!
Posted on 10. feb, 2018 by L.P. in Politica nazionale

Che nostalgia per la prima versione del M5S, quello che dal nulla, o meglio da un vaffa, arrivò a essere il primo partito. Oggi è sempre il primo partito, ma ha cambiato pelle. Fa politica come tutti gli altri, né più, né meno. Recluta candidati dalla società civile, come una volta predicava Berlusconi, accoglie gli ex, va in televisione, ripete slogan, promette; stringe mani, dà pacche sulle spalle e immancabilmente sorride, come sorridono tutti i politici in campagna elettorale.
Perché ti sono amici, in campagna, si preoccupano del tuo futuro, della città, della regione, dei tuoi figli, nipoti e nuore, della squadra di calcio e di quella di pallavolo, del lavoro che manca e dei tombini otturati.
Ed è giusto che sia così, perbacco. Perché dopo le elezioni avranno altro da fare: o leccarsi le ferite, o legiferare, quindi chi ha qualcosa da dire loro lo dica oggi o solo fra cinque anni.
Con la omologazione dei 5 Stelle, almeno da un punto di vista della maschera da indossare, pertanto, il quadro non presenta increspature, tutti belli buoni e volenterosi.
Se fra cinque anni staremo uguale o addirittura peggio, fa niente, fa parte del rischio che ci assumiamo da cittadini alias sudditi. E se ci dovesse capitare di stare meglio, tranquilli, difficilmente sarà dipeso dalla politica: qualche contingenza fortunata, un clima mondiale diverso, il fantasma formaggino.
Questo fino a quando ci troveremo a scegliere una classe politica inadeguata, per essere buoni.
Il politico di oggi, infatti, è una specie di apprendista stregone. Non sa fare niente di suo e cialtronesca per far finta di capirne di tutto.
Poi dice che la gente non vota più; diamine, mi sembra il minimo, con la mediocre se non scadente offerta politica generale che c’è!
Ma potrebbe andare peggio, per Giove, pensate, potrebbe tornare il fascismo. Ah beh!, allora teniamoci questi, suvvia, anzi facciamo di tutto perché ci pensino loro a fermare l’orda fascista che ci minaccia. Quindi a votare!
Benedetto, Viceconte o Caiata?
Non so, ma il fascismo è davvero peggio?
L’ultima grillata.
Posted on 03. feb, 2018 by L.P. in Politica nazionale

Perché secondo voi uno si inventa un movimento politico che in pochissimi anni arriva a essere il primo partito, che scombussola il quadro del sistema, rivoluziona il linguaggio politico, partendo addirittura da un vaffa e poi, quando si tratta di raccogliere il frutto del seminato dice “grazie, ma ho altro da pensare”?
Ma c’è davvero qualcuno che crede in questa versione?
Guarda caso, poi, la sua fuga, discreta e fatta in un momento di grande clamore mediatico in clima di elezioni, sì da passare quasi inosservata, coincide con lo stravolgimento dello Statuto del Movimento e con una infornata di ex o quasi ex di altri partiti, presunti fenomeni da consenso, secondo una traccia da sempre reietta al fondatore del Movimento.
No, grazie, io non ci credo.
La verità può risiedere in sole due ipotesi, scartando quelle di fantapolitica che troveranno pubblicazione sulla stampa clandestina, e cioè:
1) Grillo non condivide più nulla del Movimento, non riesce a governarlo perchè gli è sfuggito di mano, intravede un futuro da partito qualsiasi, alimentato da brame personali e presuntuosa autoreferenzialità e getta la spugna, sapendo che quello che doveva fare l’ha fatto e che di più non poteva, anzi, forse sì, e quindi via a un altro superiore progetto, secondo una visione del mondo e della politica sempre un po’ più avanti degli altri;
2) Grillo si è semplicemente stancato di andare dietro ai corrotti, temendo di coltivarne qualcuno pure lui –di infiltrati non ce n’è mai abbastanza- si è reso conto che il sistema non lo può abbattere con una squadra che sta cambiando i connotati e getta la spugna per tornare a godere delle cose belle, perché la politica, che potrebbe esserlo, non lo è affatto.
Altre ipotesi non ne vedo e queste due mi angosciano.
Ma, a preoccuparmi, o quantomeno a sorprendermi, è che nessuno dà all’allontanamento di Grillo dal Movimento la giusta considerazione.
Superficialità o dolosa e scientifica omissione?
Non lo so, già è tanto che ho individuato le due ipotesi di cui sopra.
Certo è che Grillo ha segnato la nostra politica, regalandoci una speranza, comunque lo si valuti, e da qualunque parte politica lo si guardie, che è uscito di scena con classe e discrezione, oserei dire tatto, o magari soltanto rispetto per la creatura che aveva messo al mondo e che vede sempre più lontana.
Manifesto per una democrazia reale, il sistema elettorale
Posted on 28. dic, 2017 by L.P. in Politica nazionale
Il sistema elettorale
I sistemi maggioritari, che teoricamente consentirebbero la governabilità in quei paesi dove è difficile raggiungere la maggioranza, in fondo sono l’esatto contrario di quel che vuole la democrazia.
E’ importante che tutti siano rappresentati, quindi il sistema più coerente con la democrazia è quello proporzionale.
In un sistema seriamente democratico, poi, non può far scalpore che ci si allei per governare: basta farlo con trasparenza e con un programma cui attenersi.
Secondo me, in una democrazia davvero radicata, anche i governi dovrebbero veder rappresentate tutte le forze politiche. Queste dovrebbero esistere e distinguersi per le idee, non per i leaders. Pacifico che il partito di maggioranza relativa abbia più chanches di portare avanti leggi e provvedimenti coerenti con le proprie idee, ma questo è ovvio e legittimo.
La presenza di tutte le forze politiche al governo garantirebbe anche un controllo interno su tutte le attività.
Pensate a una decisione di una comitiva presa solo da un piccolo gruppo coeso di amici e un’altra adottata da tutta la comitiva, quale vi sembra la più giusta e democratica? La prima sarebbe una imposizione dettata da un unico gruppo a dispetto della variegata composizione della comitiva. Escluderebbe totalmente le esigenze degli altri, ridotti a vedersi penalizzati su tutto. La dittatura della maggioranza non è democrazia, ma ne costituisce una pallida parvenza. Roba da uomini primitivi, incapaci di dialogare e interessarsi dei problemi comuni a tutti. In fondo io mi chiedo, per esempio, se il problema fiscale interessa tutti, perché mai deve essere deciso solo da una parte della popolazione attraverso i loro rappresentanti e non, invece, da tutti?
Non esiste alternativa democratica al governo di tutti. Il maggioritario è solo una forma sporca di dittatura, che, se deve essere, è meglio sia affidata a una sola persona, che non a un gruppo di persone che, inevitabilmente, sommano egoismi, anziché ridurli. I sistemi presidenziali sono infatti preferibili proprio per questo motivo: sono sistemi autoritari con il limite temporale della legislatura. Molto meglio di una oligarchia politica che è più difficile da sradicare, anche con le elezioni.
La maturità di un popolo, invece, si misura con la sua capacità di agire unitariamente, senza contrapposizioni, privilegiando gli interessi comuni su quelli dei singoli, dando loro quella priorità che necessita.
Il governo di tutti, proporzionalmente rappresentati, questa la democrazia del domani.
Casaleggio? Passo.
Posted on 28. dic, 2017 by L.P. in Argomenti, Attualità, Politica nazionale

Ho guardato, ieri sera, 27 dicembre, la trasmissione della Gruber, Ottoemezzo. Ospite nientepopodimenoche Casaleggio.
Questi, alla fine, ha dichiarato che le sue apparizioni in TV saranno rarissime. Concordo con la decisione, magari l’avesse anticipata non sarebbe stata una cattiva idea.
In pratica a domande aperte, in risposta alle quali avrebbe potuto stilare un manifesto politico, ha balbettato letteralmente poche scemenze, dette e ridette a iosa dai parlamentari dei cinque stelle. Spesso, addirittura, non ha risposto.
Una figura misera pari quasi a quella che fece Grasso qualche giorno orsono.
Un politico dovrebbe invece spiegare, motivare, oso dire galvanizzare chi lo ascolta; certo, senza dire scemenze o promettere il paradiso in terra, ma almeno argomentare. Lui no. Imbarazzante, un serio invito a cambiare partito o movimento.
Certo non hanno aiutato la serata gli interventi degli altri ospiti, tutti, più o meno, è sembrato, intimiditi davanti a un uomo che celebrava il nulla.
Gli do il merito di non aver lanciato slogan, ma sarebbe stato finanche un lusso nel nulla della sua apparizione, anche un po’ sbiadita, spenta, tiè, moscia.
Rimane il dubbio se non sia stato un eccesso di riservatezza o timidezza a imbrigliarlo o se non ci sia proprio niente dietro Casaleggio.
Ma è Natale e opto per la prima ipotesi. Quindi, sì, ottima decisione. Mai più in TV.
PS: il sistema o lo accetti o lo combatti senza dividerci niente, vie di mezzo non ne esistono. Era meglio quando il M5S non compariva. Ora lo conosciamo e poco si distingue dalla fuffa generale.
Manifesto per una democrazia reale e una giustizia sociale
Posted on 27. dic, 2017 by L.P. in Argomenti, Diritto e giustizia, Politica nazionale, religione, Società e costume
Manifesto per una democrazia reale.
Parte Prima
Il Garante
In democrazia ci si è inventata la figura del Garante quale baluardo di specifici interessi, ritenuti preminenti e di attenzione superiore, di carattere diffuso e concernenti settori importanti della popolazione.
I cittadini, cioè, vengono considerati in gruppi, ognuno contenente specifiche caratteristiche. L’infanzia, i consumatori, i risparmiatori, i lavoratori, ecc. Molte di queste fasce di popolazione si è pensato abbiano dei diritti, spesso affidati, per la loro tutela, a una figura di garanzia che è appunto chiamata, spesso, garante.
A prescindere dalla effettività di queste figure nelle dinamiche sociali e giuridiche che sfiorano questi interessi particolari, spesso prive di poteri effettivamente incidenti nei processi decisori o sanzionatori, può essere utile riconsiderarne ruoli e poteri in termini di democrazia effettiva.
Le figure dei garanti andrebbero innanzitutto tipizzate, quindi la loro autonomia non dovrebbe essere solo dichiarata ma concretamente realizzata.
Tanto per cominciare andrebbe consolidato il filo diretto che lega il garante alla fascia di popolazione che deve tutelare, indi bisogna rendere questa tutela effettiva.
Ne consegue, innanzitutto, che la loro nomina non possa essere politica: dovendo rappresentare e tutelare gli interessi della popolazione nei confronti, anche, dell’attività propriamente amministrativo-governativa provvedimentale e di controllo, che rimane di appannaggio della politica, la loro nomina non può che discendere da libere elezioni circoscritte al territorio di competenza.
Il momento elettorale, inoltre, non dovrebbe vedere protagonisti i partiti per le medesime considerazioni che soddisfano l’esigenza di autonomia della figura del garante.
Conseguenza ovvia per chi scrive, meno per chi fa politica, è che un garante non possa fare politica, neanche dopo la scadenza del suo mandato e per un considerevole lasso di tempo, per evitare che l’esercizio della sua funzione possa essere determinato proprio da un obiettivo personale politico.
Il garante deve diventare, poi, interlocutore privilegiato, in ogni ambito che solo lambisca gli interessi tutelati, se non con poteri autentici di veto, quantomeno con poteri che condizionino l’attività amministrativa in termini significativi.
Corollario di tutto questo è che il garante costituisca figura di sicuro spessore e competenza., non garantita dal semplice favore di un diffuso consenso. E’ immaginabile realizzare una specifica scuola per garanti, anch’essa gestita con autonomia dalla politica, dalla quale sia possibile ottenere un titolo utile per la candidatura.
In tempi in cui la scienza, tutta considerata, è asservita al potere politico ma soprattutto economico e finanziario, però, contemporaneamente sarebbe il caso di garantirne la totale autonomia, anche della scienza, attraverso misure di salvaguardia che rendano effettiva la democrazia.
Sono misure minime di salvaguardia della democrazia, se proprio questo deve essere il sistema politico del futuro, da attuare immediatamente. Misure che dovranno tener conto di ogni momento decisivo della vita di un popolo, se non di più popoli, se è vero che un futuro non è prevedibile se non in una visione unitaria, e non solo di Europa.
Un governo del mondo presto sarà immaginato e realizzato concretamente, soprattutto con riferimento a quegli argomenti di comune interesse, quali l’ambiente, la salute e la giustizia.
Segue.
Facciamo politica.
Posted on 04. nov, 2017 by L.P. in Politica nazionale

Ma che bello Di Maio e Renzi si confronteranno in Tv. Il guanto della sfida è stato gettato su Twitter, come usa di questi tempi, talchè ritengo che il confronto avverrà alla play station.
Ci sta tutto.
Due personaggi di tal fatta trent’anni fa si sarebbero fronteggiati al calcio balilla con guanto gettato nel rione; oggi tocca a Twitter.
Difficile immaginare che si parlerà di temi importanti, andremo sul classico “chi sono io e chi sei tu”, con qualche variante sul “guardati i tuoi indagati – ah che tu stai recuperando bene”, che donerà quel tocco di classe alla scazzottata televisiva.
Lo spettacolo, però, è assicurato. Chi ha fame di politica, voglia di sapere quali sono le grandi prospettive delle due formazioni o la medicina di tutti i mali italiani, certo, forse rimarrà deluso; ma chi ha bisogno di risse verbali, slogan, ghigni e musi da duri, andrà in visibilio: i due contendenti sono personaggi da ring, amano le folle e se la sbrigano bene con la telecamera.
Non sentiremo niente di nuovo, beninteso, le loro cartucce sono sempre le stesse e le sparano da tempo, ma alternarsi nel puntarsi il dito contro sarà godibile, per chi non se lo vorrà perdere, io, per quanto mi riguarda, spero tanto che giochi in contemporanea Zeman e la sua banda di perdenti, al cui fascino, da buon melanconico esistenzialista, cedo sempre e di buon grado.
Santa Messa e campagna elettorale
Posted on 03. nov, 2017 by L.P. in Argomenti, Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata

La campagna elettorale entra in chiesa. A mergine della Santa Messa i candidati preferiti dal parroco possono fare il loro bel comizio ai fedeli, appena comunicati, quindi confessati, pronti, puliti, aperti a recepire le istruzioni elettorali.
È accaduto a Palermo, ma il vezzo potrebbe espandersi a macchia d’olio. Si arriverà a una distribuzione delle parrocchie secondo quote proporzionali, secondo il manuale Cencelli, o soltanto secondo l’orientamento politico del Parroco o del Vescovo? Chissà. Attoniti aspettiamo gli sviluppi.
Ma che a inaugurare il nuovo metodo sia stato il PD, la dice lunga sulle propaggini che questo partito mantiene nella società.
Roba che presto ce li troveremo al catechismo o alla riunione condominiale. Dicono sia la nuova frontiera della fede o della politica. Vedremo.
Che roba di loro, però.
Centro democratico a chi???? Editoriale del Roma di Basilicata
Posted on 22. set, 2017 by L.P. in Politica nazionale, Regione Basilicata

Centro democratico, quella formazione politica imponente, importante, nota al paese per le sue idee politiche nuove e coraggiose, fantasmagoriche, notoriamente sistemata nell’ambito del centro sinistra, fra Pisapia e una poltrona, Renzi e un assessorato, non ci sta. Lo ha detto a chiare lettere a Benedetto, l’assessore regionale lucano che dalle fila di quel partito ha scalato le vette regionali per poi sedere alla corte di Quagliariello, capo di un’altra imponente formazione politica che, sebbene costituita da chi alfanizzava nel centro sinistra, dopo aver discettato dai banchi del centro destra, ivi è tornata per conquistare il governo del paese, delle regioni, delle contrade e dei rioni.
Non ci sta, e lo ha anche detto a Pittella, al quale ha rivolto la impertinente domanda se continui a presiedere una giunta di centro sinistra o non più, vista, appunto, la presenza di Benedetto che nei fine settimana ha frequentazioni impossibili.
Il buon Pittella, che al Comune di Potenza appoggia addirittura un sindaco di destra, come da sua stessa dichiarazione, proveniente da destra ed eletto dalla destra, ha sorriso alla domanda come solo chi ha fatto il militare a Cuneo poteva.
Destra, sinistra, ma siamo ancora a questo punto? Deve aver pensato il governatore della regione più ricca d’Italia e nel contempo la più povera e inquinata, secondo un machiavellico disegno divino che ci sta mettendo alla prova della pazienza, della sopportazione e del sacrificio.
Deve aver riso di gusto, Pittella, poi deve aver rabbonito l’inquieto Benedetto con un paterno buffetto invitandolo a pensare al bene della Basilicata. Cosa che l’assessore ambidestro deve aver confuso col suo bene personale se fosse vero, come sembra, che stia già preparandosi un futuro da ancor più prima donna per conto del miglior offerente.
Del resto Alfano, ottimo maestro, ci ha insegnato che si può governare da una parte con tizio e da un’altra con caio, senza che un tanto scalfisca l’integerrima strategia politica del suo partito e dei suoi uomini. Quindi perchè Tabacci non la smette di cianciare e non si prende quello che arriva dai suoi uomini di punta, quando questi dimostrano una ubiquità di idee che li rende divini, immanenti, persistenti, icone della modernità, e perché no, anche simpatici e affascinanti?
Ma pare che Benedetto non ci sia rimasto bene, “Cosa vogliono questi qui”? “Hanno dimenticato che mi sono “scocchiato”? Insomma pare abbia rinnegato l’appartenenza al Centro Democratico, sfoggiando una libertà politica e una insofferenza ai legami che lo rende quasi eroico.
Chissà se a destra, e dintorni, lo accoglierebbero a braccia aperte, come un Higuain qualsiasi proveniente dalle fila del più acerrimo avversario.
Dice, ma ancora ti meravigli?
Mannaggione, sì, mi continuo a meravigliare, ingenuo che non sono altro, ma con questa confusione di ruoli, partiti, posizioni politiche, con questa parte di mezzo della politica con un piede a destra e uno a sinistra, anche contemporaneamente, non riesco a capire la vera, unica, questa sì, immanente, regola della vita politica, ben sintetizzata da chi ha ironizzato sulla mitica figura del senatore Razzi nella frase “fatti li cazzi tua”.
Votazioni guidate, editoriale del Roma di Basilicata
Posted on 12. set, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Si avvicinano le elezioni e un brivido mi percorre la schiena: finalmente potrò provare a metterci qualcosa di mio nella politica italiana. Potrò illudermi di scegliere il Renzi o il Letta o il Gentiloni del domani. Questi tre li ha scelti il Presidente della Repubblica, anche per conto mio, ma senza chiedermi un parere. Non pretendevo fosse vincolante, ma di tipo consultivo, dai, una repubblica democratica se lo poteva permettere.
Comunque finalmente si sceglie. Beh, si fa per dire. Noi potremo votare per uno schieramento, non potremo esprimere preferenze. Anche questa volta il nome del parlamentare mi verrà imposto.
In genere l’italiano, potendo esprimere una preferenza, sceglie il candidato che gli ha fatto una cortesia, o quello che gli sta simpatico, o quello che gli ha fatto la promessa più affidabile, o il parente o l’amico o l’amico dell’amico.
Invece ultimamente lo sceglie il partito secondo logiche imperscrutabili, a prescindere finanche dal rendimento o dal gradimento dei simpatizzanti.
Alle prossime elezioni, invece, avendo il Presidente Mattarella avvisato i partiti che la priorità è la legge elettorale, avremo delle belle novità. O almeno così dovrebbe essere. Ah, mi dite che non ci sarà alcuna novità? E perché mai? Uh, i partiti avevano altro da fare che studiare la legge elettorale? Per dindirindina!
Magari, però, sarà perché in fondo i partiti una legge elettorale nuova non la vogliono. Cioè, ognuno vorrebbe quella che gli consente di vincere o comunque di governare.
La punta del proprio naso è la meta ambiziosa della politica italiana, l’agognato traguardo è costituito dall’immediato domani. Certo, poi ci diranno che una legge elettorale è fatta per durare, che non è concepibile che ogni governo si fa la sua, e nanì e nanera, quindi bisogna andare coi piedi di piombo, ma, a ogni modo, questa legge pare che non si farà.
Quindi i moniti, per la verità di botto cessati, del Presidente Mattarella valgono quanto una rete del perdente sul 7 a 0 a un minuto dalla fine della partita ai fini del risultato finale, in pratica non gliene frega niente a nessuno.
E dire che questo governo doveva rimanere in carica anche se non soprattutto per colmare la falla di una legge elettorale azzoppata dalla consulta.
In fondo ai partiti sta bene così; pur di non affrontare l’opinione pubblica sulla loro indiscutibile avversione per le preferenze, al di là di qualche flebile proclama, meglio rimanga tutto com’è.
Poi sentiremo il M5S che dirà che i candidati delle sue liste sono scelti dalla rete, che, però, non è la stessa cosa che poter indicare una preferenza col voto, e questo per un paio di ovvi motivi: non tutti i votanti del M5S sono iscritti alla rete, anzi solo una percentuale bassissima e poi, quando la rete sceglie una persona non gradita, la si sostituisce, come accaduto a Genova, e la magia è fatta, basta avere fiducia in Grillo con un atteggiamento fideistico che Papa Francesco sicuro invidia.
Quindi ci avviciniamo al voto senza che della legge elettorale se ne parli più e soprattutto nel silenzio di Mattarella il quale, come Paganini, non si ripete, neanche per un monito.
Un uomo tutto di un pezzo, per Giove.
La musica sarà uguale, i parlamentari saranno i soldati scelti dei capi partito e la democrazia aggiungerà un altro splendido tassello alla storia dell’Italia; ah!, dimenticavo: e il governo se lo sceglieranno sempre e soltanto loro. Loro chi? Quelli che hanno come portavoce il Presidente della Repubblica. E chi sono? A saperlo!!!
Che intralcio, i poveri. Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 06. set, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Niente di meglio che una bella confessione, un sereno outing e tutto è a posto.
La ministra Fedeli, famosa perché è stata incaricata di occuparsi di università senza avere una laurea è stata chiara: in Italia ci si laurea meno degli altri paesi europei perché le famiglie a basso reddito, che sono tante, non fanno studiare i loro figlioli.
Ah!, ste famiglie a basso reddito quanti guai combinano!
In un paese civile, lo Stato aiuta i giovani a studiare, quando non hanno loro possibilità economiche. In Italia, evidentemente, no. Una confessione bella e buona, che fa onore alla ministra e un po’ meno allo stato italiano. Onore alla ministra si fa per dire, ovviamente.
Infatti la sua sembra un’accusa: ma che diamine, invece di far studiare i figli, magari fanno la spesa per mangiare, mentre sarebbe più che opportuno per loro e per la patria fare una bella dieta e tirar fuori i soldini per conseguire quello che chissà perché lei non ha conseguito.
Quindi, volendo ragionare, l’Italia non cresce per colpa delle famiglie a basso reddito che non fanno studiare i figli che quindi rimangono semplici diplomati non contribuendo allo sviluppo.
Per mille bocche di leone!
Che l’Italia sia in seria crisi rimane provato anche, se non soprattutto, dalla sciatteria oratoria di ministri che parlano a vanvera.
Il problema è che ci sono troppe famiglie a basso reddito e/o che gli studi costano troppo, semmai!
Lo scadente numero di laureati è conseguenza di uno stato di cose da anni allarmante, verso le quali non si è capaci di fare niente. Come l’università, anche la sanità ha perso colpi. Gli italiani si curano di meno, è provato. Colpa delle famiglie a basso reddito, ovvio.
Ma perché non le aboliamo?
Non ci vuole molto, dai. Una bella prigione per debiti, come ai vecchi tempi.
“Non ha pagato la gabella? Arrestatelo!”
Sì, come sarebbe bello e funzionale, elegante e affascinante un mondo senza poveri. Ma torniamo al problema posto dalla ministra Fedeli, che, come noto a tutti, non è laureata.
Non si è laureata per scelta di vita o perché la sua famiglia non aveva i mezzi? Domanda al peperoncino, sgarbata o se vogliamo politicamente scorretta, ma doverosa, perché è opportuno sapere se anche la sua famiglia ha contribuito a farci indossare la maglia nera dei laureati, prima di pontificare.
Dice: ma la ministra ha solo fotografato la situazione. Balle. La ministra ha detto una cosa sconcia. Avrebbe dovuto dire che non ci sono abbastanza laureati perché lo Stato non è in grado di garantire gli studi ai meno abbienti. Ecco, questa sarebbe stata una risposta giusta.
Ve lo immaginate un padrone di casa che affermi che la festa non è riuscita perché erano invitati anche i meno abbienti che non avevano gli abiti giusti?
A fugare eventuali dubbi su una mia possibile sbagliata interpretazione delle parole della ministra giova far cenno alla motivazione dell’affermazione che suona così “una delle cause è … che le famiglie a basso reddito spingono poco per la formazione universitaria”.
Mannaggione, che errore non spingere di più. Queste famiglie a basso reddito non sanno proprio guardare al di là del loro naso. Peccato.
Il terremoto è una livella, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 24. ago, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale, Società e costume
Per scoprire l’abusivismo e come sono state costruiti i fabbricati senza permesso ci vuole un terremoto, con annesse vittime, in Italia.
Non bastano svariati corpi di difesa, dalla polizia municipale alla guardia di finanza, passando per carabinieri e polizia; così come non bastano un giudice penale, uno amministrativo e un sindaco per disporne la demolizione.
Faccio un esempio, rimanendo al nostro territorio.
Ti sei fatto il tuo bel manufatto abusivo. Dopo qualche anno, complice un vicino invidioso, vieni scoperto dalla polizia municipale, che, da sola, difficilmente ci sarebbe arrivata e chissà poi perché; parte l’iter solito che porta, da un lato, al provvedimento di demolizione, dall’altro in Procura della Repubblica.
Il procedimento penale è facile che cada in prescrizione; quello amministrativo, che non conosce prescrizione, languirà fra il Tar e il Consiglio di Stato per una decina d’anni, se ti va male, altrimenti anche il doppio.
Nel frattempo ti avranno negato le richieste di sospensiva, ma il fabbricato non andrà giù, perché? Beh!, dai, vediamo prima come finisce il giudizio, finito il quale l’abbattimento comunque non viene disposto. Non ci sono fondi, perché mettersi contro e nanì e nanera. Risultato: ti tieni il tuo bel fabbricato; certo, non potrai venderlo, ma per il resto tutto ok, lo abiterai tranquillamente.
Insomma se non ci pensa il terremoto a buttartelo giù, perché lo avevi costruito con la farina doppio zero, nessuno te lo leva.
Poi arriva pure qualche politico che decide che non è il caso di buttarlo giù se lo abiti con la tua famiglia, o almeno non prioritariamente rispetto agli altri mille e il gioco è fatto.
L’illecito diventa nella sostanza lecito.
Ma è la vecchia storia dell’Italia, dove ci sono tante leggi, ma davvero tante, forse troppe, calmierate, però, dalla loro generale violazione. Una realtà virtuale, quella prevista dalle norme e dai codici, con tanto di giochi e giochini, sempre virtuali, come i processi, i ricorsi, i condoni, gli handicap e i premi se arrivi al via e ci stazioni pure. Nella realtà la tua violazione della legge rimane un fatto insormontabile. Ripristinare la legalità è solo una minaccia. A vedersela completamente ripristinata sono solo i disgraziati, i maledetti e quelli rifiutati anche da Satana, per il resto una via si trova sempre.
Ma il bagno di retorica moralizzatrice a ogni disgrazia non ce la leva nessuno. Si parte dalla solidarietà per finire alle assicurazioni passando dalle promesse. Un teatrino nauseabondo, contraddetto dall’impatto con la quotidianità già all’indomani della puntuale tragedia.
In fondo non è tanto coi condoni che dobbiamo prendercela, chèalmeno questi prevedono una regolarità tecnica e/o sismica, quindi un controllo. Lo sconcerto viene fuori dal fatto che è facilissimo aggirare e violare la legge. Tu puoi costruire beatamente senza che nessuno ti dica niente fino a opera finita e strafinita e solo dopo, ma molto dopo, l’Autorità fa capolino per cominciare quella tarantella che porterà a un nulla di fatto, come spiegato prima.
La catena della illegalità parte soltanto dall’originario abuso, ma si estendi alle catene del controllo e della prevenzione che, sistematicamente, non funzionano o funzionano malissimo.
A che serve una sentenza che conferma l’abbattimento se non verrà mai eseguita?
Chiediamolo a Mattarella, qualcosa saprà dircela, diamine. Ma non è detto, potrebbe anche non dire niente. Tanto il suo compito arriva alle condoglianze di Stato e alla assicurazione che lo Stato ci sarà vicino. Forse per non applicare la legge e chiudere un occhio quando la violiamo, però? In fondo è pure questa una forma di vicinanza, dai.
I riformati, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 22. ago, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale
Militari per volontà dello Stato.
Esistevano le guardie forestali, poi un ministro in quota rosa ha pensato che non ne valeva la pena e le ha abolite, facendole confluire nell’esercito italiano, lato carabinieri.
Una militarizzazione d’ufficio.
Pare si sia resa necessaria, la riforma, per spendere meno danaro, quasi che i servizi fondamentali siano suscettibili di risparmio.
Il danaro speso per la tutela dell’ambiente e la difesa del territorio era troppo, evidentemente, uguale spreco non è riscontrato negli emolumenti dei parlamentari. Alla facile obiezione di cosa c’entri una cosa con l’altra rispondo “niente”, ma è bene sottolineare come, in determinati campi, il legislatore italiano non ritenga si debba risparmiare. Come se in una famiglia si risparmiasse su carne e pasta e non sull’Amaro Lucano, per dire.
Nel frattempo l’Italia brucia e di ettari e ettari di bosco non restano che carboni. Sarà una coincidenza, ma con l’abolizione delle guardie forestali, gli incendi si sono moltiplicati. Il miracolo italiano, dopo i pani e i pesci di Gesù, i boschi arsi.
Ma la riforma non piace ai giudici amministrativi italiani. Pare siano la militarizzazione di ufficio oltre ad altre raffinate sciccherie giuridiche ad averli fatti inorridire. I magistrati amministrativi, evidentemente d’intesa con gli altri organi di giustizia, hanno deciso di fare piazza pulita delle riforme del ministro Madia: delle due l’una, o il ministro e il suo staff non ne azzeccano una, cosa possibile, invero, o la categoria dei giudici italiani ha dichiarato guerra alla Madia, cosa forse meno probabile.
Il Tar dell’Abruzzo ha deciso, infatti, qualche tempo fa, che la riforma Madia vada guardata con la lente d’ingrandimento da parte della Corte Costituzionale, perché presumibilmente viola la carta fondamentale.
Il Tar della Basilicata, come da notizia di ieri, in casi analoghi, ha deciso che è bene aspettare cosa ne pensi la Corte, e ha sospeso i ricorsi proposti in terra lucana.
La Corte avrà bisogno di tempo per decidere, perché la giustizia italiana, a ogni livello e davanti a qualsiasi organismo, deve riflettere con la dovuta calma. Nel frattempo una riforma forse completamente incostituzionale spiegherà i suoi effetti come se nulla fosse.
E questo è un altro miracolo italiano: una riforma forse balorda che viene applicata regolarmente, siccome un ministro che un domani potrebbe essere dichiarato reo, continua a lavorare per il bene degli italiani. Sia chiaro, ho detto ministro solo per sintetizzare, ma intendevo oltre che ministro, governatori, assessori, consiglieri e cos’altro si sia inventata la politica in tema di incarichi e uffici.
Ma tornando alle riforme riformate, residua una domanda. Ma se non ci fossero i tribunali, di ogni genere e specie, a bollare le leggi, come saremmo governati?
Evidentemente non si tratta tanto e soltanto di un ministro incapace, quanto di un parlamento che vota di tutto e di più, senza filtrare, controllare, verificare, sondare, fare, cioè, quello che gli compete. Ma i loro emolumenti, tornando all’incipit, non sono modificabili. Diamine con i guai che combinano forse sarebbe il caso di pagarli a risultato, o di eliminarli, come le guardie forestali, accorpandoli a un qualche ufficio dove lavorino davvero. Ed è da scommetterci che non se ne accorgerebbe nessuno.
Primo nemico lo Stato, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 21. ago, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale
Non è raro leggere, sui giornali o sui social, l’elenco dei problemi che affliggono l’umanita di questi tempi, lasciando intravedere un prossimo caos generale.
Il problema mondiale della migrazione, il terrorismo che si è inventata una forma di guerriglia apparentemente invincibile, la crisi economica e da noi anche la disoccupazione, il disagio e la povertà.
Ma anche un regresso morale enorme, una crudeltà sociale mai vista se non in tempi di guerra e una criminalità praticamente onnipotente.
Il quadro, dipinto da tanti, è più o meno questo, inquietante, desolante, tragico.
Fra l’altro sembra che a fronte di legislazioni nazionali o sovranazionali capillari, viga un’anarchia impressionante, ovvero una facilità di violazione delle leggi davvero gigantesca.
Le Costituzioni statali sono opuscoletti desueti, difficilmente applicate, raccontano mondi irrealizzati e ormai irrealizzabili; quando raccontano di comunità fondate sul lavoro e che aborrono la guerra, poi, sembra che scherzino.
La disperazione on line è evidente, salvo postarla fra una forchettata di spaghetti e una birra, come numerosi sono i lai generali siccome le proposte di soluzioni brutali.
Ma fin tanto che ad avere confusione, rassegnazione, paura, siamo noi, umili spettatori dell’irriverente mondo nel quale viviamo, tristi e sconsolati personaggi da schermo, grande o piccolo quanto un tablet, destinatari della violenza altrui e dell’insipienza di chi ci governa, passi.
Il guaio è che a vivere una pari confusione, anche se non accompagnata da uguale disagio, siano i politici, non solo italiani, ma oserei dire della maggioranza dei paesi della terra.
Se non riescono a collaborare, a scambiarsi informazioni, a unire le forze per combattere il terrorismo e risolvere i problemi più urgenti, fra i quali spicca la tutela dell’ambiente, bene, o valgono una cicca o gli va bene così.
Prepotenze di uno stato su un altro, nel 2000 e passa, sono inconcepibili se non alla luce di una follia generale che spinge uomini senza scrupoli a provare a essere onnipotenti, per il piacere di passare alla storia, evidentemente, ben sapendo che non potrebbero leggere quei libri nei quali si dovessero raccontare le loro gesta belliche.
Lo Stato, o gli Stati, stanno mostrando i loro evidenti limiti. Nella formula dell’unione europea sono anche peggio, se vogliamo. Non esiste una politica di difesa comune, ovvero fiscale, ovvero ancora del lavoro. Quindi, cui prodest?
Ma quando, poi, gli Stati, come quello italiano, diventano il peggior nemico del cittadino, allora è notte fonda.
Uno Stato serio dovrebbe star vicino ai cittadini, non vessarli; dovrebbe lavorare per loro, rassicurarli, provare a farli viver felici. Da noi si verifica il contrario. Non hai i soldi per vivere, far studiare i tuoi figli e pagare le tasse? Arrangiati, lo Stato penserà a pignorare i tuoi beni. Quanto a servizi, fin tanto che si continuerà a morire al Pronto Soccorso, te li puoi sognare.
E che dire della sicurezza, ormai una chimera, delle scuole, allo sfascio, e della sanità?
Allo Stato dovresti poterti rivolgere in caso di bisogno, al nostro no, ti volta le spalle, salvo sperperare i soldi in mille maniere, avere sacche di privilegiati, treni di raccomandati.
Il quadro è desolante, il disagio e l’ansia sociale in continua ascesa. Tutti sintomi, però, di una svolta sempre più vicina. Speriamo almeno sia indolore.
La passione vien mangiando, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 14. ago, 2017 by L.P. in Città di Potenza, pensieri e parole, Politica nazionale
L’impressione, per niente accattivante, è che stiamo vivendo la stagione dell’improvvisazione.
Chi non ha mai fatto il ristoratore si inventa e si convince di essere un bravo ristoratore; chi ha letto dieci poesie sente lo struggente bisogno di scrivere i suoi ispiratissimi versi; chi non ha mai corso una mezza marathona, al decimo allenamento dispensa consigli e si vede sul podio, se solo decidesse di impegnarsi un po’ di più.
Gli esempi potrebbero non finire mai, ma è in politica che il fenomeno diventa devastante.
Penso a Di Maio che da cittadino, prima e non ora, studente immagino fuori corso, diventa candidato premier. Il fenomeno mi spaventa alquanto perché è come se di un Maradona non ci si accorgesse che al compimento dei suoi trent’anni.
Uso l’esempio di Di Maio solo perchè è il più eclatante, ma uno Speranza è poco differente, senza contare che nel campionato della politica i fuoriclasse sono presenti come nel campionato della Lapponia.
Evidente appare la circostanza, triste, che non la passione abbia sospinto i nostri eroi nuovi, ma le opportunità loro capitate. “Ehi, vuoi candidarti? Ma no non ci avevo mai pensato. Dai che può essere una bella cosa la politica. Ok, ci provo”, così ne nascono tanti, salvo poi diventare di colpo gli Andreotti della situazione.
Gli altri bidoni nascono dal servile portar le borse, concetto ampio e complesso che, partendo dallo sfogliare il giornale per il proprio campione, riferendogli poi quante volte è nominato, finisce al consiglio comunale passando per il pagamento delle bollette e l’accompagnare la signora del campione al mare.
Insomma la passione viene col tempo, cioè, per dire, se passione è quella che passa dal postare ogni propria scoreggia su Facebook.
Il sapere politico, unico requisito che dovrebbe contraddistinguere la carriera dei nostri attuali eroi, diventa un inutile bagaglio, pesante e scomodo, anche perché comporta una idea che vada oltre il voto per il riequilibrio di un bilancio.
Come per le altri arti o mestieri. Dicevamo prima che si diventa ristoratori sol decidendolo, senza alcuna cultura culinaria o passione, o poeti senza aver fatto studi classici ma soprattutto senza averne le doti, sempre e soltanto decidendolo o perché ti capita.
Il risultato è la cialtroneria quotidiana, che assurge a eccellenza in un mondo giudicato da mediocri auto nominatisi esperti.
Si lo so, forse esagero, ma quando vedo un neo assessore occuparsi di trasporti, è solo un esempio, giuro, oppure di sport, oppure ancora di altre belle cose, ecco così fughiamo ogni dubbio, dopo aver sfogliato per occupazione il codice civile, mi convinco sempre di più che è l’improvvisazione o l’opportunita a decidere chi deve curare i nostri destini, da Roma a Potenza, e mi sento piccolo, indifeso ed esposto alle intemperie della vita.
Del resto un risultato così catastrofico, e parlo di qualità della vita in Italia, proporzionalmente ai tempi, dal dopoguerra, non lo avevamo mai ottenuto. Sarà la conseguenza dell’improvvisata cialtroneria al governo, sempre più specializzata e moderna. Un nuovo brand, da esportare come la malavita organizzata.
Dai che così ci aiutiamo con l’export.
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