Le avventure del commissario. Nolè e la bella signora.
Posted on 13. gen, 2019 by L.P. in Argomenti, Racconti

Nolè, quando Potenza, a gennaio, diventava gelida e il centro storico sembrava il palcoscenico dei vecchi telefilm “ai confini della realtà”, passava ore a passeggiare per via Pretoria durante la notte e il primo mattino.
Quel lunedì mattina, erano le 5:45, avvisava il vecchio orologio del palazzo del Prefetto, quello che per vent’anni aveva segnato l’orario del terremoto dell’80, Nolè guardava le casette di legno, alias mercatino di Natale, per la verità di una tristezza o malinconia cosmica, col sorriso sulle labbra. Non si spiegava che senso avesse quel mercato dal momento che attraevano di più le postazioni mobili degli ambulanti-abusivi della frutta e verdura.
Scorse un movimento dietro la casetta posta davanti all’ingresso del teatro Stabile e si avvicinò per capire di cosa si trattasse.
Era un giovane dall’aspetto apparentemente malmesso. Sembrava dormire, ma rantolava. Nolè gli toccò la guancia, che risultò gelida. Privo di cellulare, e maledicendo la cattiva abitudine di non portarselo dietro nelle sue passeggiate, al pari dell’arma d’ordinanza, coi bar ancora chiusi -beati i tempi in cui aprivano alle cinque, tempi passati e travolti dall’era della crisi e della pigrizia- provò a rianimare il giovane. Fra le dita aveva un foglietto di carta con un numero di cellulare scritto in bella grafia. In quel momento arrivò il camioncino della differenziata. Nolè gli corse incontro e strappò dalle mani dell’operatore il cellulare sul quale questi stava smanettando mentre guidava.
Chiamò un’autombulanza, dando le necessarie indicazioni, e poi compose il numero scritto sul foglio trovato nelle mani del giovane.
Rispose una soave voce di donna matura, apparentemente ben sveglia, nonostante l’orario, che lui avvertì istintivamente essere ancora piacente e vanitosa, e, obbedendo all’istinto, chiese se poteva avere qualcosa per tirarsi su, avendo avuto assicurazioni, da chi gli aveva dato il numero di cellulare, che trattava merce di pregio assoluto.
“Ha sbagliato numero”, rispose la seducente signora, chiudendo la comunicazione.
“Sai usare google e vedere se il numero è mappato?”, chiese Nolè all’operatore che incuriosito non perdeva una battuta.
“Certo.”
Via Mazzini, all’altezza del civico 235, fu il rapido responso dell’operatore.
“Questo lo tengo io, tu aspetta l’ambulanza”, disse Nolè dopo aver sequestrato il cellulare.
Correndo per le scale del Fuori Le Mura, in tre minuti fu sul posto. Un appartamento aveva una luce ancora accesa. Non ci pensò due volte. Forzò il portone con la carta di credito, vecchio trucco insegnatogli da un vigile del fuoco, e, al primo piano, davanti alla porta corrispondente alla luce accesa, tese l’orecchio. Non sentì nè voci nè rumori e, per un attimo, pensò che aveva sbagliato, stavolta, il suo fiuto.
Rifece il numero. Stavolta non rispose nessuno, ma sentì rumori nell’appartamento, passi che velocemente venivano verso la porta. Ebbe l’impressione anche di avvertire la vibrazione di un cellulare al di là della porta. Con tre balzi salì sul piano ammezzato e si nascose alla vista. Pochi secondi e la porta si aprì davanti a una signora bella e vistosa, quasi come l’aveva immaginata. La donna si muoveva con difficoltà perchè trasportava una valigia abbastanza ingombrante. Nolè non ci pensò due volte “Signora si fermi” e le corse incontro cercando di raggiungerla. La signora tirò fuori un piccolo revolver e fece fuoco. Due colpi non mirati che non colpirono il commissario. Questi si gettò letteralmente sulla donna e capitombolarono insieme per le scale. A questo punto si aprì il portone e una voce li raggiunse “Signora, è lei? Faccia in fretta. Ha con sé la valigia?” Non ottenendo risposta cominciò a salire la prima rampa di scale, ma appena finito di percorrere l’androne trovò a riceverlo il tonante pugno di Nolè.
Ma la situazione non era delle migliori. L’individuo nel rialzarsi mise le mani in tasca e cacciò un revolver, ma Nolè fu più pronto con un calcione proprio all’altezza del fegato; la pistola rotolò a terra finendo fra i piedi della signora che velocemente la raccolse. Nolè si fece scudo col corpo del socio della signora che si beccò due colpi mortali. Il terzo colpo andò a vuoto e Nolè si alzò con calma e suonò alla signora un ceffone tanto forte da stordirla. Recuperò il cellulare dell’operatore ecologico e chiamò in centrale. Si fece trovare seduto sulla signora che, a sua volta, stava stesa sul cadavere del suo amico, davanti la porta dell’ascensore e con tutti gli inquilini accalcati sulla rampa e pronti a soccorrerlo alla bisogna.
Tornò a casa a fare la doccia.
Alle nove, prima di andare in centrale, fece un salto alla sede dell’Acta e chiese chi era stato di turno in piazza Prefettura. “Rocco Stasi, commissario, ma è tornato, è in ufficio, incazzato perchè dice che gli hanno rubato il cellulare con tutte le foto delle sue conquiste”.
“Ehi Rocco, ci sei?”, gridò Nolè entrando negli uffici. Rocco uscì da una stanza con la tuta mezzo dismessa e trovandosi davanti il commissario sorrise e gli disse “non c’era bisogno si scomodasse, bastava avvertirmi, sarei passato io” riprendendosi lo scocciofono.
Nolè si recò al bar di viale del Basento e, chiesto in prestito il cellulare di Giovanna, la commessa del bar, chiamò il Pronto Soccorso per informarsi delle condizioni del giovane. “Overdose, ma se la caverà”.
Poi toccò alla centrale: “Cosa c’era nella valigia?”
“Un chilo di eroina; valore due milioni di euro; Nolè, bel colpo!”
Nolè tirò un bel respiro e ordinò un cappuccino bollente.
Dal Corriere di Sant’Angelo Le Fratte (che non ha niente da invidiare a Roma), terza pagina, a cura di Nino Laconca:
Nolè è un personaggio emblematico, a cavallo fra due epoche, quella dei Maigret e quella delle intercettazioni. Semplifica il torbido quasi non fosse ormai cronico. Portatore di valori alla Tex, ma non scevro di una spruzzatina di Diabolik, usa la legge scritta per far valere quella morale. Un eroe inattuale, quindi classico, distaccato e sazio della sua tracimante umanità, ben amalgamata con quella durezza da cowboy che ne fa un’icona della giustizia sostanziale, quella ormai perduta, dietro i processi, le indagini, le intercettazioni e la viltà degli spioni di Stato. Nolè sostiene che un poliziotto di razza “sente” senza microfoni nascosti, vede senza telecamere, fiuta senza cani antidroga.
Non si sa nulla dell’autore se non che ironizzi con chiunque prenda in seria considerazione i suoi racconti e soprattutto con se stesso, del quale pare sostenga consapevolmente essere un autentico bluff.
Dario, Rocco e il regalo di compleanno
Posted on 04. gen, 2019 by L.P. in Dario e Rocco, Racconti

-Rocco! Vieni, fatti abbracciare, voglio farti gli auguri, ma dimmi, dimmi, biscottone, quanti anni fai oggi? Anzi, non dirmelo, quanti sono sono, non li dimostri. Guarda, ti ho preso un regalo, vieni, l’ho riposto nel cassetto più caro della mia scrivania tricolore, nonevèro. Aspetta ….. ecco ….. aspè ….. lo tiro fuori ….. un attimo solo ……. ecco qua! Dimmi, sinceramente, ti piace?
-Ma Dario, ma ….. è bellissima …… non dovevi, però, eh …… aspetta che la scarto per bene …… mamma mia …. Ma come hai fatto a indovinare?
-Perché ti conosco, Rocco, ti conosco nel profondo, la magia è solo questa, conoscersi e rispettarsi, così come accade fra me e te.
-Per mille cavalli imbizzarriti, aspetta che la provo …… vedi?, sono già bravo, guarda come la faccio roteare, aspetta, mi posiziono meglio la fondina e …… Fermo là! Non avrai il mio scalpo!
-Ahahahah! Fortissimo, aspetto che prendo anche le mie …. Ecco sono pronto …. Dai …. Giochiamo agli indiani?
-No, facciamo un duello, dai … ecco spalle con spalle, dieci passi, Dario, non uno di più e poi vediamo chi è la più veloce pistola del west! Uno…..….due….tre….quattro….cinque….sei….sette….otto….nove…..e ….. dieci!!!!(I revolver sparano all’impazzata e nella stanza antistante gli impiegati si allarmano e entrano disperati temendo il peggio)
-Beh!, cosa volete voi, non si può lavorare in pace, suvvia. Ai vostri posti, subito! Uno due tre, marsh!
-Hihihi come li hai sistemati.
-Ehi, ma dove sei, sporca spia dello sceriffo, ah! Sei dietro la porta del saloon, beccati questa scarica.
(E niente, finite le munizioni, stanchi, ma soddisfatti, i due eroi andranno a rifocillarsi da Lorusso a base di pizza al pomodoro e coca cola e …… tutti vissero felici e contenti J).
Nolė e Saverio
Posted on 07. ago, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Provincia di Potenza, Racconti
Il commissario Nolè aveva deciso: avrebbe avuto un compagno di vita, un cane.
Scelse un bull terrier.
Lo prenotò per tempo presso un canile di Napoli, e quando ricevette la tanto attesa telefonata, non vide l’ora di mettersi in viaggio.
Lo fece il sabato successivo, partenza alle sette di mattina per essere al canile attorno alle dieci.
Nolè, in auto, non superava mai i 130 Km orari, ma, per compensare il comportamento di rispetto della legge quanto ai limiti di velocità, non indossava mai la cintura di sicurezza.
Quando se lo trovò davanti fu vero amore: il cane era tutto bianco con un occhio nero. Bruttino, invero, ma per Nolè era una meraviglia.
Aveva meno di tre mesi, e, ricevute le istruzioni per i primi tempi, salutò e scappò via.
Il cane aveva già un nome, ma Nolè decise subito di cambiarglielo, e lo chiamò Saverio.
Lo sistemò sul sedile del passeggero e si mise in viaggio, ma non superò i novanta per timore che il cucciolo cadesse dal sedile.
Dopo dieci soste e tre ore e mezzo di viaggio arrivò a casa.
Non gli aveva ancora messo il guinzaglio.
Saverio guardava il commissario con amore, dolcemente ricambiato.
Dopo una domenica passata a leggere riviste sui cani, e a giocare con Saverio, arrivò tristemente il lunedì.
Nolè di buon’ora si avviò per la questura con Saverio al fianco.
In ufficio lo sistemò in una bella cuccia al suo fianco, ma Saverio capì subito che avrebbe goduto di tutta la libertà che voleva.
Quando si rese necessario uscire d’ufficio, Nolè chiamò Rosaria, l’appuntato più giovane, e la pregò di dare un’occhiata a Saverio.
Doveva incontrarsi con un informatore per una fornitura di droga che sarebbe arrivata in città nella serata. Si incontrarono a Montereale, su una panchina vicino al monumento ai caduti.
Conosciuto ogni particolare dell’operazione, l’informatore si allontanò rapidamente dalla panchina. Nolè, invece, rimase seduto a fumare. Ebbe così modo di vedere tutta la scena.
Mentre l’informatore era all’altezza del belvedere, a una cinquantina di metri dalla panchina, venne avvicinato da due giovanotti che lo affiancarono. Dopo due passi l’informatore si accasciò al suolo. Nolè non badò all’informatore ma tagliò per il Dancing, per incrociare i due malviventi sulla strada che costeggiava la piscina comunale. Il più basso aveva ancora il coltello grondante il sangue dell’informatore in mano e, trovatosi Nolè davanti, glielo mostrò minaccioso. Ma Nolè con un calcio alla mano glielo fece volare via, pronto a difendersi dall’attacco dell’altro aggressore. Questi si fermò di colpo e sfilò dalla tasca interna del giaccone una pistola che puntò immediatamente contro Nolè.
Il commissario si fermò, alzò le mani, e disse “Ok, avete vinto”. Il pistolero era indeciso sul da farsi, mentre l’amico, ben più deciso lo incalzò “Dai, scappiamo”, e cominciarono a correre. Passarono davanti a una panchina dove c’era una ragazza, che, apparentemente distratta, allungò una gamba per sgambettare il malvivente armato. Quando questi cadde, mollando la pistola, il suo compagno si fermò per aiutarlo, ma la ragazza gli sferrò un calcio nelle parti basse e con un balzo recuperò la pistola. Nolè, che aveva visto tutto, aveva un diavolo per capello e apostrofò la ragazza che aveva subito riconosciuto “Dove hai lasciato Saverio?”, Rosaria sorrise e indicò la panchina dove Saverio già scodinzolava alla vista di Nolè.
“Ho pensato di portarlo qui per farlo divertire, commissario”.
Nolè sorrise beato alla vista di Saverio, e incurante dei due malviventi, come dell’informatore che stava avvicinandosi con una mano sul fianco mostrando di non aver subito grossi danni, disse a Rosaria “Pensaci tu a questi due balordi io me ne vado in giro con Saverio”, Rosaria sorrise e chiamò in questura col cellulare per chiedere aiuto.
Nolè intanto già correva per il parco inseguito da Saverio e pensava “Io il collare a Saverio non lo metterò mai”
La condanna
Posted on 06. ago, 2017 by L.P. in Letteratura, Letture, Racconti
Il giudice aveva già deciso di dar ragione all’ente convenuto in giudizio da un suo funzionario. Mancava la statuizione sulle spese del giudizio.
Aveva ampia discrezionalità, sapeva che poteva scrivere quello che voleva; la legge non gli poneva particolari condizioni. In genere, in quel tipo di cause, le spese venivano compensate, e cioè veniva statuito che ogni parte avrebbe soddisfatto le ragioni del proprio avvocato. Ma avrebbe potuto condannare anche la parte soccombente a pagare le spese della parte vittoriosa.
Il giudice posò gli occhiali e ci penso su.
Avrebbe potuto condannarlo non foss’altro che per educare la gente a non adire la giustizia con tanta facilità, ma sapeva che non sarebbe stato giusto.
Era tentato, insomma, ma qualcosa lo frenava.
Usare il suo potere per svolgere una funzione diversa, pedagogica, non gli apparteneva, a differenza di tanti suoi colleghi molto inclini a sentirsi veri padreterni in terra.
Sarebbe stata la sua prima volta.
Aprì il frigorifero e prese una birra, andò a sistemarsi dietro la finestra e indugiò a guardare i passanti.
Finì la birra e tornò alla scrivania. Impugnò la bic nera e scrisse: condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giustizia liquidandole in €. 15.000,00.
Una cifra spropositata.
Era eccitato, riaprì il frigorifero e prese un’altra birra.
Capì che fare il giudice poteva dare piacere insospettabili; sorrise soddisfatto e si dedicò ad altro.
Il primo racconto del Commissario Nolè. Nolè e il pesce ramarro.
Posted on 05. ago, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Racconti

Di fronte al grande specchio del lurido cesso del ristorante, sparò un rutto fragoroso. Poi, guardandosi ottusamente il volto, dopo essersi avvicinato allo specchio, piegandosi in avanti, si passò la mano più volte sulla guancia ruvida di barba. Si risistemò la camicia, e, stancamente, ritornò in sala, al tavolo dove l’aspettava Maria.
Il commissario Nolè, Gerardo Nolè, Dino per gli amici, non aveva modi eleganti, ma per ruttare preferiva stare da solo. Gran bevitore di birra e gazzosa, si sentiva gratificato quando riusciva ad alleggerire lo stomaco indurito dalla sua personale gasatissima bevanda; e gli piaceva godersi il momento senza spettatori, che, l’esperienza glielo aveva insegnato, avrebbero storto il muso di sicuro. Qualche volta Maria aveva assistito alle sue performance del dopo pranzo, e, seppur non protestando mai, gli aveva fatto capire che non gradiva.
“Rocco! Mi porti il conto o lo aggiungi sulla mia nota?”
“Vada commissario”, gridò Rocco dalla cucina, “Mi paga la prossima volta”.
Fuori dal locale, salutò distrattamente Maria, con la testa già al lavoro, e ritornò alla centrale.
“Santarsiero, hai novità?”
“Nessuna commissario”.
Seduto alla scrivania aspettò che gli servissero il caffè che usavano fare in ufficio con la moka, e cominciò a riflettere come gli riusciva solo con un buon litro di birra-gazzosa in corpo.
L’appalto per la ristrutturazione della scalinata che da via Due Torri portava alla discesa di San Gerardo, gli puzzava già dal primo momento; lo scritto anonimo pervenutogli in mattinata aveva finito di convincerlo. Ventimila euro per rifare dodici scalini, dodici fottutissimi normalissimi scalini, erano una cifra iperbolica, e l’impresa vincitrice della gara era in rapporti troppo stretti con l’assessore al ramo, il geom. Pace, Vito Pace, per gli amici b’tuccio. Decise che avrebbe risolto velocemente il caso. E da solo.
Accese la ventesima Muratti del giorno e usci’ dalla centrale senza salutare nessuno. Parcheggiò la sua Fiat 500 Abarth Nera, 160 cavalli e turbina esplosiva, in corso Garibaldi, e si disse che qualcosa doveva pur succedere. Nella palazzina che riusciva a vedere senza alcuno sforzo dalla macchina abitava l’appaltatore, l’impresa Petrone Donato, per gli amici Tuccino. Apri’ la copia del giorno prima della Nuova del Sud, per non farsi riconoscere e rimase in fiduciosa attesa.
Neanche dieci minuti dopo vide arrivare, con fare circospetto, l’assessore Pace, che portava un voluminoso pacco in mano. “Aha!”, esclamò Nolè. Si truccò velocemente, mettendosi i baffi posticci e gli occhiali alla Filini, e segui’ l’Assesore. Fece entrare l’assessore nella abitazione dell’impresa Petrone. Fece passare qualche minuto e bussò a sua volta. Venne aprire la cameriera rumena.
“Sono il tecnico della Telecom, devo fare un controllo all’apparecchio telefonico”, disse asciuttamente.
“Pregu, si accomoda”, disse la cameriera.
Dall’angolo del telefono, poteva sentire cosa si dicevano Petrone e Pace nello studio del primo.
“Ti ho portato il pesce ramarro. Una rarità. Starà benissimo nel tuo acquario.”
“Assessore, non dovevi proprio”.
“E’ per ricambiare la cortesia. Te lo dovevo.”
“Ma scherzi. E’ stato un vero piacere. Rimettere in sesto quella scalinata, dove ci ho giocato da bambino, mi ha fatto piacere”.
“ No devo davvero ringraziarti. Sai, nessuno voleva prenderlo quell’appalto. Di questi tempi hanno tutti paura, e dobbiamo alzare gli importi. Grazie. “
“Grazie a te. A me le procure non fanno paura.”
“Signori, ho sentito tutto. Siete in arresto.”
“Corruzione di libera impresa. Un pesce rarissimo per accettare un lavoro pubblico”.
Chiamò la centrale; poi chiamò la Procura. Mentre portavano via i delinquenti in manette, accese l’ennesima Muratti, e si disse: “qua ci vuole una birra-gazzosa. Lavorare mi mette sete”.
Egidio e la sua prima volta. Racconto
Posted on 04. ago, 2017 by L.P. in Racconti

Egidio era in trepida attesa della sua prima volta. Si era anche esercitato a eseguire ogni operazione nel più breve tempo possibile. Era capace, ormai, e il calcolo era stato eseguito con precisione maniacale, di aprire il bottone del cappotto-introdurre la mano- estrarre il revolver- disattivare la sicura e mettersi in posizione per prendere la mira, in 4 secondi.
Sorrise pensando a come avrebbe ben figurato nel saloon di una città del vecchio west, all’epoca degli sceriffi a cavallo.
Era anche deciso a rischiare. Aveva pensato che, mescolandosi nella folla, gli sarebbe stato più facile trovare il profilo giusto da far saltare al primo colpo e che poi sarebbe stato ancora più facile dileguarsi senza essere notato. Magari camuffandosi giusto quel poco in grado di alterare la fisionomia.
Aveva preparato un berretto che coprisse i capelli, occhiali con la montatura di tartaruga molto pesante e grande, tacchi nascosti nelle scarpe di quattro centimetri, cuffia classica per IPod con l’arco di pelle che ricadeva sulla fronte. Tutte cose delle quali si sarebbe liberato in pochi secondi cambiando completamente aspetto.
Era eccitato.
Un giorno gli capitò di entrare nel tribunale della sua città in cerca di profili; aveva visto il parcheggio pieno e immaginava aule e corridoi gremiti di gente in poco spazio. E non aveva tutti i torti.
Forse il suo destino era stato già segnato, però, e non aveva mancato di mostrarsi in anticipo a Egidio: infatti, nel prendere un ascensore, questo si fermo al secondo piano, e, apertesi automaticamente la porta, si presentò ai suoi occhi avidi il più bel profilo per un cecchino come lui. Era più o meno la stessa scena che gli si era presentata quando aveva capito quale era la sua missione in vita. Un fremito lo scosse, immediatamente tirò fuori l’arma e fece esplodere quel profilo. Brandelli di carne gli finirono in faccia, vista la breve distanza che lo divideva dal bersaglio.
Dopo un secondo la porta si era richiusa e l’ascensore continuò la sua corsa. Il tragitto di un piano gli bastò per disfarsi di berretto, occhiali, cuffia. Uscì spedito e si chiuse nel primo bagno che trovò. Eliminò i tacchi dalle scarpe e pulì il cappotto dallo schizzo di carne viva.
Uscì dal bagno e l’eco della confusione al piano di sopra lo assalì. Ma non era scattato ancora l’allarme. Si avviò all’uscita e con la faccia più ingenua del mondo varcò l’uscita, priva delle guardie, evidentemente scappate nel luogo del tiro al bersaglio.
Era felice. Rivide la scena mille volte nella sua testa e decise che la prossima volta si sarebbe munito di una mini telecamera per riprendere tutta la scena; la decisione lo esaltò.
Poi cominciò ad avere paura di essere scoperto, ma fu un solo attimo, perché, camminando, aveva notato dall’altro margine della strada un profilo ancora più bello che non poteva sperare di rimanere intatto.
Sogghignò e carezzò il rigonfio nella tasca.
L’accordo
Posted on 19. giu, 2017 by L.P. in Racconti
Capì che era inutile parlare. E del resto quando mai lo era stato? Così sorrise beato e fece di sì con la testa.
Tutti pensarono di averlo convinto e comunque di aver acquisito il suo consenso e sembravano soddisfatti, gratificati della soluzione che il suo cenno di assenso apriva.
Nel rendersi conto di ciò, l’uomo esitò un attimo, quasi tentato di spiegare che il suo non era un consenso ma una rassegnata presa d’atto, ma poi tornò a far ampi cenni di sì con il capo e a sorridere in quella maniera ebete che lo faceva passare sempre per quello che non era.
In un attimo provò insofferenza per la situazione; voleva rimanere solo, senza nessuno davanti, almeno senza nessuno di quei personaggi, vittoriosi, secondo loro, e tronfi per la capacità che avevano mostrato di convincere e persuadere.
Mentre i commenti soddisfatti si sprecavano, lui si rigirò la stilo fra le mani mentre il suo sguardo da ebete diventava freddo, quindi si alzò e li salutò, facendo cenno che avrebbero dovuto accomodarsi fuori. Tutti, sorpresi e un po’ offesi, si guardarono l’un l’altro e affollandosi verso la porta della stanza cominciarono a uscire uno ad uno non senza riuscire a evitare qualche reciproca spinta che li rese oltremodo goffi.
Stavolta sorrise beffardo. L’ultimo a uscire, forse il più importante o il più prudente, ribadì “allora siamo rimasti d’accordo su tutto?”
La bierra
Posted on 18. giu, 2017 by L.P. in Racconti

Li guardava gesticolare. Parlare animatamente. Non poteva sentirli, però.
Provava a capire gli argomenti, e forse, qualche volta, riusciva anche a capirli, chissà.
Da quando guardava i programmi televisivi senza audio si divertiva di più.
Spense la televisione e andò a prendere una birra dal frigo. Era gelata. La bevve con avidità.
Accese distrattamente l’Ipod già sistemato sull’amplificatore e partì un ritmo degli anni settanta che meritava di essere ballato. E lo ballò.
Poi, sempre ballando, cominciò a sfilare davanti allo specchio, ogni volta inventandosi una boccaccia diversa.
Fu in quel momento che lo colse la moglie sopraggiunta silenziosa. Non parlò, ma lo guardò con aria tra il falso preoccupato e lo sdegnato.
Lui continuò per qualche secondo e poi smise. La poesia era andata in fumo.
Finì la birra borbottando “la bierra”, come diceva il nipotino.
Represse un rutto, perché gli dava fastidio quel rumoraccio, limitandolo ad uno sbuffo, e andò sul balcone a guardare le stelle.
Roberto de Roberti, 77.
L’autore visse in una grande città senza condividerne ritmi, ansie e sfrenatezze. Convinto assertore dell’esistenza dei fantasmi cercava di offrirne la prova in maniera stramba, per esempio se si sentiva un tuono era un peto di gradimento di un fantasma importante. Per questo odiava i rumori corporali, per rispetto, diceva, al popolo immenso dei fantasmi. Morì a 47 anni e nel rione dicono che il suo fantasma, ogni giorno, alla controra, beva una birra accovacciato in un angolo della strada mentre recita poesie di Taratufolo, poeta sconosciuto ai più, ma molto stimato dal nostro.
La battaglia
Posted on 07. giu, 2017 by L.P. in Racconti

L’uomo aveva un’aria concentrata, i capelli lisci arruffati e le maniche della camicia arrotolate.
In ginocchio sul tappeto disponeva un esercito di soldatini armati di fucile in fila, nell’atto di marciare contro un altro esercito di soldatini con una divisa diversa. Ai lati dell’esercito dispose soldatini nell’atto di lanciare una bomba. Ogni tanto l’uomo sorrideva, ma era un attimo, perché subito prendeva a posizionare diversamente i soldatini in una scena nuova di quella immaginaria battaglia.
Un colpo alla porta lo riportò alla cruda realtà. “Si”?, disse ad alta voce, “Vostro Onore la stanno aspettando per l’udienza”.
Il magistrato sospirò, si alzò malvolentieri, indossò la giacca prima, e la toga dopo e uscì dal suo studio adattato a campo di battaglia.
Entrò nell’aula spettinato come prima, ma con una faccia severa, fra l’austero e il disturbato, espressione abbastanza tipica dei magistrati in quel periodo di tempo nel quale erano diventati protagonisti anche della vita politica del paese.
Sedette e aprì il fascicolo che trovò sul bancone.
Gli avvocati stavano immobili ai loro banchi, uno sparuto numero di persone sostava nello spazio destinato al pubblico, l’ufficiale giudiziario aspettava ordini. Il Pubblico Ministero, invece, prendeva appunti.
Il magistrato vide l’avv. Melchiorri e lo chiamò al bancone. Sorridendogli gli disse “Sa, sono riuscito a trovare un artigiano che ha riprodotto in maniera, pare, eccellente i plotoni giapponesi del periodo antecedente la prima guerra mondiale. È un artigiano svizzero che vende anche per corrispondenza”.
“Giudice ma questa è una grande notizia. Mi dia l’indirizzo provvederò a ordinarne uno per lei e uno per me”
“Benissimo, poi mi dice quanto le devo”
“Sarà un piacere fargliene dono, giudice”
“Lei è sempre squisito”
Quindi chiamò la causa e condannò, abbastanza ingiustamente, il cliente dell’avv. Melchiorri.
Si incontrarono come al solito al bar per il caffè delle undici e trenta “avvocato, stia tranquillo, glielo farò assolvere in grado di appello, muovendo le pedine giuste e costruendo una sentenza balorda, così avrà guadagnato un doppio onorario”
“L’avevo capito, giudice, e come sempre, le sono devoto”
“Poi la invito per una battaglia all’ultimo sangue, così potremo finalmente darci del tu”
“Sarà come al solito una bella giornata”
Quindi si salutarono e ognuno tornò ai suoi soldatini.
Nolė scommette. Le avventure del Commissario.
Posted on 07. giu, 2017 by L.P. in Racconti
Nolè prese le sigarette e l’accendino e uscì dalla sua stanza per trovare un buco dove fumare in santa pace. Passando davanti alla stanza degli appuntati Lucia De Manzis e Gabriella Falasca fu attratto dal vivace parlottio delle due ragazze. Si affacciò e chiese con un sorriso beffardo “cose di donne?”
“Commissario ma che dice. Stiamo preparando le scommesse per domenica prossima”.
“Le che?”
“Su commissario facciamo una scommessa assieme. Pescara – Roma come finisce?”
“Vince la Roma con 4 gol di scarto”
“Allora mettiamo over 2,5”
“E Milan contro Juventus?”
“Vince il Milan”
“Commissario ma non faccia il tifoso, qui dobbiamo vincere.”
“Se devo scommettere voglio vincere da tifoso”
“Va bene gli altri pronostici li abbiamo già decisi. Due euro a testa, ok?
“E quanto si vince”
“Più o meno mille euro, quindi, trecentotrentatre a testa”
“Ecco i miei euro”
“Commissario bisogna rispettare il nostro rito, ora si va tutti a giocare”
“Ok, tanto non ho da lavorare.”
L’allegro gruppo si avviò con l’auto dell’appuntato Falasca, una Micra vecchio tipo. Nolè sedette sul sedile posteriore ma tenendosi al centro per sporgersi in avanti e chiacchierare con le due ragazze.
Arrivati a piazza 18 agosto, parcheggiarono regolarmente sulle strisce pedonali, e si infilarono nell’angusto e affollato locale che fungeva anche da tabacchino.
Stretti in fila i tre scherzavano allegramente sul contatto cui erano piacevolmente costretti. Un giovanotto stava incassando una bella vincita: 3.500 euro, un bigliettone sull’altro. Nolè con la coda dell’occhio, però, teneva di vista un uomo apparentemente intento a guardare la TV posta in alto vicino all’uscita. Non gli era piaciuto, quando lo aveva notato all’entrata.
Il giovanotto ripose i soldi nella tasca del pantalone e si avviò all’uscita. L’uomo immediatamente uscì dietro il vincitore. E Nolè dietro ai due, con i due appuntati che già avevano capito tutto.
La fila indiana si avviò per via Vaccaro.
L’aggressione avvenne all’altezza delle scale che collegano via Vaccaro con corso Umberto e durò qualche secondo: il balordo sgambettò con inaudita violenza lo sfortunato vincitore e quando questi fu a terra dolorante bloccandolo col ginocchio sul petto gli sfilò la vincita, quindi cominciò a scappare per via Vaccaro. Nolè notò che al momento dell’aggressione, avvenuta di spalle, il malvivente si era coperto parte del volto con una sciarpa, evidentemente per non farsi riconoscere dall’aggredito.
Nolè, gambe in spalla, prese a rincorrere il rapinatore, mentre la De Manzis si preoccupò di prendere l’auto della collega e imboccare via Vaccaro.
Il rapinatore era veloce e Nolè riusciva a stento a mantenere le distanze. Ma la De Manzis lo raggiunse presto con l’auto e con una manovra davvero avventata tagliò la strada al rapinatore salendo sul marciapiede e frenando di botto, quasi investendo il balordo e quasi andando a sbattere contro la ringhiera. Il rapinatore finì sull’auto, ma si riprese in un attimo e provò a riprendere a correre, la De Manzis aprì velocissima la portiera colpendolo in pieno viso. Arrivò Nolè e lo finì con un calcio nello stomaco. Mettergli le manette fu un gioco da ragazzi.
“E Falasca dov’è”?, chiese accigliato Nolè.
“In fila per la scommesse, commissario”.
Nolè non gradì ma rimase zitto.
Quando, dopo due giorni i due appuntati fecero capolino nella stanza di Nolè, questi era ancora imbronciato per il comportamento della Falasca in occasione dell’arresto del rapinatore.
Le due ragazze entrarono sorridenti e deposero la quota della vincita di Nolè sulla sua scrivania. Nolè rimase imbarazzato, poi sorrise, prese il danaro se lo infilò in tasca e guardandole in cagnesco disse “Le partite di domani”?
La saga di Dario e Rocco. Quando l’Anac perforò il sistema di difesa antipec del Comune di Potenza.
Posted on 27. mag, 2017 by L.P. in Amenità, Città di Potenza, Letteratura, Racconti
La saga di Dario e Rocco è la storia romanzata di due personaggi noti nella città di Potenza che contraddistinsero una stagione amministrativa attorno agli anni 2010/2020 dopo Cristo.
Entrambi corpulenti, estremamente fattivi, volitivi e magicamente uniti, seppero affrontare una stagione politica tribolata, ribaltare un sistema incancrenito, a sentir loro, far schiattare in corpo quelle che all’epoca venivano definite destra e sinistra, nonostante la stagione delle ideologie fosse stata da tempo relagata in soffitta, inanellando perle su perle, di saggezza come di umorismo.
Qualcuno, pensando a loro, rivedeva la mitica coppia Don Chisciotte-Sancho Panza, ma non aveva capito granchè. In verità nessuno seppe mai capire fino in fondo chi fosse la mente e chi il braccio, ovvero se non si trattasse di una congiuntura perfetta nella quale le virtù, come i difetti, anzichè completarsi a vicenda, si unirono per raddoppiare.
Il partito che all’epoca era maggioranza si sfaldò completamente e le altre forze politiche furono relegate in un angolo dall’incedere imponente, maestoso e per certi versi cinico dei due.
Dopo di loro nulla fu come prima. Rivoluzionari? O solo meteore impazzite che una alchimia astrale aveva buttato nella mischia al momento giusto? Nessuno potrà mai saperlo.
Le loro avventure vennero raccontate in diretta e qualcuno le conservò.
Oggi vengono riproposte dalla Braccobaldoshow edizioni e questo blog ha la fortuna di poterle pubblicare.
Buon divertimento.
Come Il Comune di Potenza venne multato dall’Anac nonostante l’ordine di non leggere le PEC.
-Dario, ci hanno multato.
-Chi si è permesso!?!
-L’Anac.
-Diavolo di un polipone! Rocco, dimmi, ma la multa è arrivata per Pec?
-Si
-Diamine e l’avete aperta?
-Si
-Avevo dato ordine di non aprirla! Chiamami il responsabile!
La voglia.
Posted on 14. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Racconti

Quando il Presidente annunciò la data del rinvio, il vecchio avvocato storse la bocca: chissà se camperò altri tre anni, si ripetè borbottando.
All’uscita dall’aula si chiese come avrebbe fatto a morire senza sapere come andava a finire la vicenda del suo fedele cliente: sarebbe morto con una voglia, come quando si nasce; la sua anima avrebbe portato un segno indelebile di questo suo desiderio. Si sorrise e fece ritorno a casa, sedette a tavola, si legò il tovagliolo attorno al collo e si tuffò in un piatto di spaghetti.
Azzardi poetici
Posted on 26. mar, 2017 by L.P. in Racconti
La musica si diffuse all’improvviso nelle aule di giustizia, dove si celebrava il nulla, fra rinvii, impedimenti, e sentenze ingiuste.
L’attempato avvocato non seppe trattenersi e si scatenò in uno sfrenato balletto.
Le reazioni furono diverse: un anziano avvocato storse la bocca disgustato; il giudice chiamò le guardie; la giudice si spaventò e chiamò il suo ragazzo col cellulare; il cancelliere sorrise di gusto; un giovane avvocato indicò il neo ballerino con sarcasmo agli amici; un testimone impallidì.
Ma nessuno ballò.
Volarono parole grosse. Le guardie arrivarono e arrestarono il ballerino. Lo portarono via. Ma la musica non smise di suonare. Appena fuori le guardie liberarono l’avvocato e gli chiesero “ma come si fa”?
E l’avvocato disse “basta seguire il ritmo e fottersene”.
E ballarono tutti e tre.
I dialoghi di Mario e Marcello, dalle Cronache Lucane del Roma
Posted on 26. mar, 2017 by L.P. in Amenità, Argomenti, Città di Potenza, Racconti, Regione Basilicata, Società e costume

-Insomma, benedica, ci pappiamo anche il comune di Matera.
-Caro Mario, ho dimostrato di essere una potenza, un trattore, un jet.
-Te lo riconosco, Marcello, sei un funambolo della politica, il Maradona degli enti locali, il Charles sui calci d’angolo, il …
-Stop. Non blandirmi oltre, Mario. Sai che ho bisogno di altro che dei tuoi complimenti. Io ho bisogno del tuo genio, della tua vivacità politica, ho bisogno di una iniezione di giovanile entusiasmo, perché sai bene che, in fondo, sono stanco.
-Ma tu devi riposarti. Ci sono io lo sai.
-Sì, provo a riposare. Mi canti la canzoncina, Mario?
-Certo, quale preferisci?
-Un classico, Mario, mi basta un classico.
-Ninna i, ninna o, questo bimbo a chi lo do, se lo do al……
-Ronf Ronf …. Ronf ronf.
-Come un angioletto. Che dolce.
(Mario prende il telefono e chiama)
-Rinviate il consiglio a data da destinarsi. Il Presidente ha assunto improrogabili impegni istituzionali. (Chiude il telefono) Che angioletto. Altro che Gianni, o Matteo, bah. Che angioletto.
Il rinvio
Posted on 25. mar, 2017 by L.P. in Attualità, Letteratura, Letture, Racconti

Il giudice sbirciò nell’aula e quando vide che si era creato il giusto clima di attesa, scampanellò e vi fece ingresso. Posò il codice, mormorò un “buongiorno” e si sedette. Un paio di avvocati fecero per avvicinarsi per perorare, probabilmente, situazioni particolari, come ottenere una precedenza in elenco di trattazione o altro. Li bloccò tutti con un cenno della mano e disse al microfono: “Signori è con profondo rammarico che devo prospettarvi l’impossibilità che l’odierna udienza si tenga regolarmente. Devo comporre il collegio per la concomitante assenza del giudice Paoloni, quindi provvederò a chiamare velocemente i processi ed a rinviarli nello stesso stato in cui venivano per la data odierna. Il rinvio è, per tutti i processi, al 30 giugno del prossimo anno, perchè purtroppo prima non si può. Mi scuso con gli avvocati, le parti e i testimoni, ma non posso farci niente”, “ma potevate avvisarci”, “io vengo da Salerno” “la mia causa viene rinviata da tre anni”; il giudice perse la pazienza: “non posso farci niente, come devo dirvelo. E ora silenzio in aula, o la faccio sgomberare.” –Insopportabili- pensò il Giudice. Quindi rinviò tutte le cause, riprese il codice e scomparve.
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