E se Salvini ……
Posted on 26. ago, 2019 by L.P. in Commenti

Allora, ragionando, e fantasticando, viene fuori un’ipotesi finora inespressa, o solo inimmaginabile nell’ortodossia politica.
Facciamo che Salvini sulla spiaggia ci sia andato al culmine di una strategia che lo allontana pesantemente dal galateo istituzionale volutamente, dal momento che tutto quello che vuol fare gli viene impedito da quella che ritiene una vera e propria ipocrisia governativa.
Facciamo che, al culmine del sacrilegio, e cioè l’inno di Mameli ballato dalle cubiste, lanci l’appello “tutti al voto”, sapendo che non avrebbero giammai consentito, con la Lega al 38% nei sondaggi, che gli italiani solo si accostassero alla cabina elettorale.
Facciamo che ora, al pensiero di un governo M5S-PD si stia fregando le mani, nella certezza che il primo passerebbe per inaffidabile e attaccato alle poltrone come un democristiano d’altri tempi, mentre il secondo farebbe la figura della iena sulle spoglie del governo volutamente distrutto.
Facciamo che Salvini sa che il governo che sta nascendo cancellerebbe la riforma sulla sicurezza, facendo passare per idioti i grillini che il giorno prima lo avevano votato, che cancellerebbe quota cento, facendo insorgere centinaia di migliaia di possibili pensionati.
Mettiamo che Salvini dia per scontato che la politica sulla migrazione cambierebbe contro la volontà della maggioranza degli italiani, che la finanziaria non la digerirebbe nessuno e che “se non hanno mai saputo governare sufficientemente, difficile gli riesca ora”.
Bene, mettiamo tutto questo, ci sarebbe da prevedere qualche mese di governo sbandato, confusionario, arrogante e supponente, ma per nulla efficace e poi elezioni che, a questo punto, regalerebbero davvero pieni poteri a Salvini, consegnandogli su un piatto d’argento il 51% dei voti; beh, se tutto questo fosse stato frutto di un ragionamento e quello che è accaduto fosse stato messo in scena così come fantasticato, ebbene Salvini sarebbe uno spregiudicato bluffatore, un pokerista di gran classe, ma anche un politico sopra le righe, ma di tanto, uno da temere davvero e che potrebbe governare per, diciamo, venti anni.
Se invece tutto fosse accaduto per un capriccio, un colpo di sole, un caso di miopia acuta, beh, sarebbe solo robetta, cioè roba da uomini piccoli che non meritano neanche una nomination, in futuro, in Chi l’ha visto, quando, cioè, saranno scomparsi, dalla scena.
Depressione iperattiva, ovvero: Sessantotto e Berlusconi, gli ingredienti del nuovo nulla.
Posted on 25. ago, 2019 by L.P. in Argomenti, Attualità, Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Da Berlusconi in poi la politica è cambiata. Ha cambiato linguaggio, dai partiti si è passati alle persone simbolo; dando l’impressione di volersi avvicinare alla gente, ne ha mutuato i toni da strada, fingendo di essere più decifrabile, rispetto al “politichese” e rifuggendo ogni tipo di ideologia, tanto da sembrare, oggi, tutta dello “stesso sapore”, come i gelati statunitensi di qualche anno fa che cambiavano colore ma non sapore.
Infatti certo non può essere distinta la politica sui migranti di un Minniti e di un Renzi (aiutiamoli a casa loro) da quella di un Salvini che ha provato a chiudere i porti, per la verità più a parole che coi fatti.
Se parli con un politico dei nostri giorni, lui stesso non sa se definirsi di destra o di sinistra, o, anche quando lo fa, se ci parli gli senti dire cose che una volta sono tipicamente di destra e una volta di sinistra.
Non si tratta delle conseguenze del crollo delle ideologie, ma del crollo del ragionamento politico, che, è bene dirlo, non poggia più né su fedi radicali, né sullo studio, ma solo sull’opportunità del momento per quei pochi che si avventurano nella politica con la speranza di trovare uno stipendio e quell’autorevolezza altrimenti mai raggiungibile.
La scuola non mi sembra che formi come qualche decennio fa, poche nozioni appiccicate con la saliva, con pochi cervelli che ben presto capiscono che qui non si può crescere.
E’ come se la massa della popolazione mondiale sia stata espropriata di ogni capacità critica, proprio attraverso una scolarizzazione sempre più flebile. Non dico una stravaganza se affermo che culture solide siano ormai un vezzo costosissimo, intraducibili nell’unica cosa che appassiona, cioè il guadagno, e quindi corollario per lo più di pochi ricchi gaudenti del tipo depresso iperattivo.
Ogni tentativo di approfondimento, nello studio siccome nelle professioni, rimane appannaggio di pochi strambi, la stragrande maggioranza preferendo quel tipo di approfondimento light tipico da wikipedia, ricerca su google o passaparola, approfondimenti paragonabili ai Bignami di una volta.
E quindi la politica oggi sembra accessibile a tutti, per il semplice motivo che quelle ovvietà che si sentono finanche dal Presidente della Repubblica, sono davvero alla portata di tutti.
E questo da Berlusconi in poi. Dopo il sessantotto, la seconda rivoluzione culturale, e si badi bene, tutt’e due in peggio, è quella berlusconiana. Dal diciotto politico del sessantotto al ricco che gioca a fare lo statista. Questi due momenti hanno dato la stura a un processo democratico nel senso deleterio del termine: cioè non solo pari opportunità per chiunque, ma uguale possibilità di raggiungere una meta, senza verifica dei requisiti.
L’Italia si è impoverita, culturalmente e spiritualmente, per finire alle comiche di un governo nato in vitro, morto per un colpo di sole e di un altro governo che si appresta a nascere in laboratorio. I cervelli, invece, non nascono in laboratorio, ma finiscono presto nel congelatore.
Stato della democrazia.
Posted on 16. gen, 2019 by L.P. in Amenità, Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Stato della democrazia.
Diagnosi: difese immunitarie della popolazione al livello di guardia. Rischio infiammazioni, contaminazioni, malattie virali, peste e lebbra. Il sistema di difesa ha alzato bandiera bianca e non filtra più i tweet, le foto, le divise indossate da ministri sempre in clima carnevalesco. Del pari i virus provenienti dalle opposizioni varie colgono impreparati i cittadini, bersaglio fisso dei social e del televisore.
I leader, in continuo contatto unilaterale con la popolazione, respingono ogni tentativo di mediazione, rimanendo arroccati nella suite extra lusso riservata alla casta dei politici, i quali vivono ai confini, o meglio fuori della realtà.
Terapia: spegnere televisore durante i talk show, rimanendo collegati solo per campionato e champion, eliminare l’applicazione Twitter o segnalare come sgraditi i leader, bannandoli inesorabilmente. Durante le occasioni di incontro coi politici, indossare mascherina bianca, guardare per terra ed evitare i contatti.
Stato della malattia: grave.
Tempi di guarigione: un paio di generazioni, un paio di anni di 5G, salvo complicazioni. In alternativa intervento chirurgico, con asportazione totale del corpo politico tutto e quarantena di tre mesi in ambiente sterile.
Basilicata, paradiso degli indifferenti.
Posted on 12. gen, 2019 by L.P. in Città di Potenza, Commenti

Va bene si va al voto, ma per votare chi?
E, ancora, per votare quali intenzioni politiche e amministrative?
L’irresponsabile mondo della politica nostrana non ha approfittato della proroga gentilmente concessa da una Franconi stile Paperon de Paperoni, quanto a eccesso di risparmio, neanche per formulare una proposta concreta del futuro della Basilicata. Macchè. Troppo presi a salvaguardare le proprie poltrone, i propri cappelli, le proprie prerogative, hanno dimenticato che la politica, alla fine, oltre che nella celebrazione del loro potere, si concretizza nel governo del territorio, con tanto di idee e programmi.
Niente di niente. Roba da metterli al muro per bersagliarli con pomodori andati, mele marce e bucce di mandarino.
La politica, per loro, si limita a una candidatura, alla raccolta del consenso e all’esercizio, bieco, della distribuzione delle coppole minori, tutte rigorosamente affidate a fidi imbecilli o giù di lì.
Qualche eccezione c’è, per la verità. Un 5 Stelle in giro per la regione che qualche idea la sta provando a mettere insieme, ma nulla a che vedere con un programma definito, un esponente del PD che prende chiare posizioni sul petrolio, e poi il nulla, il buio in sala alla fine dell’opera con macchinista che dimentica di accendere le luci.
Quindi, a oggi, non conosciamo chi si propone per la massima carica, eccezion fatta per Mattia, chi si candida a consigliere, quali sono le coalizioni, ma, soprattutto, quali sono i programmi.
Su questi molti pseudopolitici dicono che i programmi sono tutti uguali, ma quali!, che non ci vuole niente a prepararne uno decente, evidentemente spolverano sempre lo stesso di qualche decennio orsono, affidandosi alle chiacchiere che verranno dispensate a un microfono o in un tweet. Roba da matti!
Lo scempio della politica.
Eppure in questo meraviglioso territorio ce ne sono di cose da dire e programmare, dalle infrastrutture, che pure vanno adeguatamente teorizzate, sul tipo e sulla localizzazione, sull’emergenza ambientale, su un’agricoltura da rilanciare o destinare ad attività di nicchia e di ripiego, su una industrializzazione che va sollecitata o definitivamente debellata, sulla naturale predisposizione del nostro territorio, invero variegato, a essere destinato a un obiettivo piuttosto che a un altro, sul ruolo delle province, sulla valorizzazione dei nostri borghi, sulla caratterizzazione turistica e/o cos’altro; tutti argomenti sui quali i nostri partiti, se interrogati, saprebbero rispondere con frasi fatte, slogan appunto, ma senza aver speso un minuto che sia uno allo studio delle nostre problematiche.
Il deserto più arido esistente sulla faccia della terra è quello dei cervelli politici nostrani, abili solo nel comporre i puzzle del potere, promettere manciate di briciole, rigorosamente quelle avanzate, e fare leggi destinate a essere cestinate o provvedimenti a essere annullati.
Nulla scuote il piatto elettroencefalogramma politico dei nostri eroi che, ora, sono pure in affanno perché le elezioni incombono e questo loro affanno testimonia di quanto, in definitiva tutti, tranne i ricorrenti, avessero a cuore il rinvio.
Un quadro mostruosamente negativo che, però, non scuote i lucani. E su questo punto davvero non riesco a capacitarmi. Ma è possibile che non si avverta l’esigenza di una politica di qualità? Ma è possibile che siamo tutti così piatti da meritarci questo inguardabile spettacolo?
Trovo che anche la stampa davvero si sia adeguata al livello sotterraneo della qualità intellettuale e culturale della nostra politica; così come i sedicenti intellettuali, indifferenti o collusi con un potere marcio che non ha niente da dare di buono, non danno segni di vita, ma vivacchiano fra un libro e una mostra.
E’ quindi normale che l’agenda politica della nostra regione continueranno a dettarla le Procure, tutte, i Tar e le varie Corti, giammai un consesso politico che non ha davvero motivo di esistere in questi termini. Per quanto mi riguarda sarebbe meglio abolirla la Regione Basilicata, o tutte le regioni, chè hanno dimostrato di meritare l’autonomia solo in pochissime, le altre figlie della sciatteria, degli interessi di pochi e dell’ignoranza, meriterebbero di scomparire definitivamente.
Morta? No, respira ancora. Sembra.
Posted on 09. gen, 2019 by L.P. in Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Agli sgoccioli ….
Posted on 05. gen, 2019 by L.P. in Commenti

Qualche anno orsono il mondo politico e la società sono stati squarciati dal fenomeno dei 5 Stelle. A suon di vaffa e al grido di onestà hanno ribaltato i consensi, gettato letteralmente a mare il fenomeno Renzi, durato il tempo di un sogno trasformato nella stessa notte in un incubo, e generato tanta di quella fiducia da diventare subito il primo partito.
Senza altrettanta enfasi, anzi con un contorno di greve e apparentemente populista e/o sovranista politica, la Lega di Salvini si è prima messa in scia del M5S per poi, sul traguardo addirittura superarlo nei consensi.
Una piccola, apparente, rivoluzione e dico apparente perché ai proclami non hanno fatto seguito i fatti così come preventivati: proni all’Europa, con una manovra rifatta e concordata con l’Europa, approvata al buio, totale, pare, a colpi della tanto deprecata fiducia, e con il solito regime fiscale, sostanzialmente insostenibile, senza che sia palpabile quello che ci avevano fatto vedere come già realizzato, vittime, come sempre, di un sistema globale finanziario che deprime il merito e arricchisce una sparuta frangia di individui, quindi, nei fatti, di una ingiustizia colossale.
Basti pensare che gli anni di sacrifici di un lavoratore o di un professionista possono volatilizzarsi in un battibaleno in virtù di impalpabili fatti capaci di rovinare milioni di persone, senza che esista un responsabile.
Perché questa è la finanza: una maniera per far soldi che prescinde dal lavoro, fare soldi coi soldi degli altri, tutto qua.
Ebbene, con l’inizio del 2019 ci troviamo di fronte al solito enigma se ce la faremo o no, se i sacrifici basteranno, se si è costretti a guadagnare addirittura un euro in meno per poter godere di qualche beneficio e con la politica che sfila puntualmente davanti alle Procure a dimostrazione di un livello morale generale incancrenito sul malaffare, generalmente inteso.
Ma la sensazione di trovarci in un periodo di passaggio, inaugurato da Grillo, mi limito a dire Grillo perché i suoi soldati mi sembrano tutt’altro che altrettanto visionari, che continuerà a offrirci novità, non è tanto aleatoria.
C’è bisogno di aria nuova; è necessario che cambi tutto o quasi tutto, salvando quel poco di buono che c’è e che consiste solo nell’umile sacrificio della maggior parte degli italiani che lavorano e provano a tirare avanti e semmai anche a metter qualcosa da parte.
Per portare aria nuova, cioè aprire le finestre e dare una seria spolverata con rinnovo della mobilia, serve la fiducia, la fermezza e un nuovo orizzonte. Da tempo abbiamo smesso di immaginare il futuro della terra e dell’umanità. L’utopia politica ha lasciato il campo al pragmatismo dell’urgente o dell’eccezionale. Per riparare un ponte aspettiamo che cada, per esempio.
Una politica che ridimensioni o moralizzi la finanza mondiale, per esempio, uno Stato che aiuti il suo popolo, una sanità che guarisca e non faccia arrivare le formiche sui malati, una società che abbia come suoi pilastri i migliori, un accesso alla cultura serio, una spiritualità di fondo, una scuola selettiva, il consumismo sfrenato ed educatore ridimensionato al ruolo che compete, l’uomo al centro del progetto politico, leggi affidate a legislatori lungimiranti, processi regolati da norme certe, eque e a costi accessibili da tutti, una macchina dello stato che funzioni, le sacche di rendite da posizione svuotate, la raccomandazione eletta a disvalore sociale massimo, la fiducia nelle istituzioni con la certezza che lavorino per tutti ugualmente. Insomma una rivoluzione del modo di pensare e approcciare la vita, la nascita di una nuova cittadinanza responsabile e serena, una rivisitazione concreta della democrazia e soprattutto della sua maniera di caratterizzare il sistema paese.
C’è desiderio di tutto questo, un desiderio sfrenato che gli ultimi esiti elettorali hanno dimostrato già in essere, ma che sembra già parzialmente tradito.
Il futuro di un paese non passa dal divieto di sbarco di una nave o dal reddito di cittadinanza, passa, invece, dalle teste degli uomini, stanche di dover improvvisarsi il futuro, elemosinando a destra e a manca un lavoro, semmai senza neanche meritarlo e ottenendolo. Urge la certezza, in tutti, che chi svolga un determinato ruolo sia il migliore a svolgerlo, che il magistrato e l’avvocato siano irreprensibilmente preparati e onesti, che il politico lavori per il benessere e che il Sindaco sappia bene quello che fa, che il medico chirurgo sappia usare il bisturi e che l’impresa non truffi sulla dose di cemento e questo non per evitare sanzioni, ma per il piacere di servire la comunità e con questa servire al meglio se stessi.
Non è lontana la necessità di sentire come urgente questa rivoluzione, è prossima, può bastare qualche anno, ma anche molto di meno, ma arriviamoci civilmente, con gli strumenti che abbiamo, non pochi, tutt’altro, perché un popolo armato di buona volontà, schierato compatto per una svolta rivoluzionaria, non teme nessun avversario.
Only men.
Posted on 03. gen, 2019 by L.P. in Commenti

La vicenda della Supercoppa di calcio italiana da disputarsi in Arabia Saudita, al cospetto di pubblico rigorosamente maschile, femminile solo se in settori speciali, magari guardati a vista, ha del meravigliosamente buffo.
L’indignazione che, in genere, accompagna i commenti sulle abitudini e leggi musulmane, in riferimento al trattamento per le donne, svanisce di fronte a una manciata di milioni.
Tutto ha un prezzo, in fondo.
Con la scusa dell’esportazione del calcio made in Italy, nonostante di calciatori italiani, tra Juventus e Milan, ce ne siano davvero pochini, ossequiamo regole che non dovremmo condividere, anzi le corroboriamo con la nostra prezzolata presenza.
Non c’è che dire! Ciondoliamo sempre fra il rigore morale per gli altri e la nostra innata leggerezza; dall’indignazione per i buuu a Koulibaly all’accettazione della negazione di diritti elementari per le donne; dal chiudere le curve razziste a giocare in favore di un razzismo sessista.
Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni. Prevedo un classico “ormai gli impegni sono stati presi” e la mazzetta, legale o illegale o entrambe, sono già incamerate e spese, quindi che lo spettacolo continui. Assicuriamoci, comunque, che nel settore famiglie le donne stiano comode e ben servite, che negli altri settori i maschi possano gustarsi un piacere che con le donne sarebbe condizionato e, magari, per coerenza, torniamo anche noi ai classici “lavandini e lavatoi” per le nostre donne che, è bene ricordare, al volante sono un pericolo costante e gnegnegnè e gnegnegnè.
I miei saluti, ma solo ai maschi, alle donne solo se accompagnate.
Sindaci ribelli
Posted on 03. gen, 2019 by L.P. in Commenti

Quindi alcuni sindaci faranno le barricate contro le nuove disposizioni del decreto sicurezza che riguardano i migranti. Bene, così anche io potrò fare le barricate contro una legge che non mi piace che, secondo il mio prudente apprezzamento, violi i principi basilari della Costituzione; per esempio una tassazione esagerata a fronte di servizi insufficienti, approssimativi e inadeguati, tiè!
E dire che uno di questi sindaci ha fatto il magistrato. A tal proposito verrebbe da chiedersi se anche nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali tenesse uguale contegno, bypassando le norme che non riteneva costituzionalmente impeccabili.
Al di là del merito della questione, che potrebbe essere materia di discussione davanti alla Corte Costituzionale, rimane lo sconcerto per un comportamento così ribelle, che, oltre a suonare stonato di per sé, rimane un esempio pessimo di civismo.
Il problema, però, c’è, ed è quello di una legge che potrebbe, in ipotesi, calpestare i diritti umani; purtroppo non sta ai sindaci risolvere la questione giuridica, ma abbiamo organi a tanto deputati, primo fra tutti il Presidente della Repubblica, che avrebbe potuto non firmare la legge ove mai avesse ritenuto che la Costituzione fosse stata violata o cos’altro con un bel messaggio alle Camere, che, però, non c’è stato. Poi c’è la Corte Costituzionale che, per decidere se una legge è buona davvero o è buona per il cestino, in genere impiega un bel po’ di mesi, roba che se la legge va depennata lo sarà quando avrà fatto già un mucchio di danni. E poi basta. Non è prevista la ribellione dei sindaci, neanche se tutti del PD o vicinanze, e finanche neppure se un Renzi o qualche altro facesse segno di sì con la testa che si può fare. Perché diventerebbe una contesa politica e non più giuridica. Quella politica è stata fatta prima e può proseguire con tutti gli strumenti esistenti. Diversamente, a meno di non voler immaginare un quotidiano far west, non è possibile e chi minaccia di violare la legge è lui per primo fuori legge.
A meno che non vogliamo farne, di questi sindaci, i nuovi eroi, i baluardi della civiltà, i difensori dei poveri, cosa che, a occhio e croce, sento di poter escludere, altrimenti li avremmo visti impegnati in ben altre battaglie.
Le leggi, che palle, bisogna rispettarle, uffa, ma quanto sarebbe bello che a rispettarle fossero tutti tranne che me (e questo è il vero sogno italiano, da sempre e per sempre, un motto, suvvia, nazionale).
Buon anno, anche alle signore, come si diceva un tempo quando alle stesse (signore) non ci si poteva rivolgere direttamente.
Il Presidente di tutti
Posted on 02. gen, 2019 by L.P. in Commenti

Il Presidente del Brasile ci ha tenuto a dire che sarà il Presidente di tutti i brasiliani.
E ci mancherebbe.
Si sente spesso questo refrain quando qualcuno viene eletto a qualche importante carica istituzionale. E’ però una dichiarazione che lascia intendere che rimane una scelta, essere il Presidente di tutti, della quale esser pure grati.
Non è così.
Anche se viene eletto da una maggioranza, un Presidente non può che essere il Presidente di tutti, non essendo previsto un Presidente solo di una parte del popolo.
Se però, con tale dichiarazione, si intende dire che non si parteggerà per i propri elettori, si dice un’altra cosa molto brutta, perché si ipotizza che sia possibile farlo.
D’altronde sono dichiarazioni del cazzo. Ovvio che un Presidente proverà a fare quello che ha promesso, secondo un programma che sta alle spalle dell’elezione; a parte, evidentemente, quei paese europei che hanno abdicato alla loro sovranità per un livello superiore, quello finanziario, che costituisce un potere, oggi come oggi, intoccabile, chiunque finisce per tutelare, privilegiare o tener in maggior conto chi ha finanziato o solo condiviso una strategia, un progetto, o anche un auspicio. L’importante è contemperare gli interessi in maniera da non danneggiare nessuno. Cosa che, invece, sistematicamente avviene in Europa e per i motivi riassunti sopra.
Il governo del cambiamento aveva partorito una manovra economica, poi modificata e votata senza esame parlamentare. Hanno rinunciato a parte della sovranità, come gli altri prima di loro o cosa è successo, visto che la manovra era stata bocciata ed è stata appunto modificata?
In altri termini, solo un Monti può attuare le strategie finanziarie internazionali o anche gli interpreti del nuovo corso?
E con questa domanda, butto giù, salvinianamente, una manciata di mandorle tostate, senza fotografare l’evento, però, e mi è gradito porgere i segni della mia stima a chiunque avrà la bontà di leggere queste quattro chiacchiere.
Mattarellik
Posted on 01. gen, 2019 by L.P. in Commenti

Il Presidente della Repubblica è sempre un politico di lungo corso, che ha fatto quantomeno il ministro, se non di più. Ha governato e, in regola con gli ultimi tempi, ha contribuito ad aumentare il debito pubblico, i privilegi e il divario fra politica e società, per tacer d’altro.
Poi, appunto, diventa Presidente della Repubblica e diventa arbitro integerrimo, saggio e amico del popolo. I suoi messaggi sono moderati, buonisti, invitano alla pace sociale, alla responsabilità, uniscono, tiè, e i commenti sono entusiastici perché dice che il lavoro bla bla bla, i giovani, bla bla bla, eccetera eccetera.
Di colpo è diventato il difensore del popolo, dei disagiati, di chi soffre; come dire che la coppola, e che coppola, cambia gli uomini.
Cosa abbia impedito a questi santi uomini di fare quella politica che predicano dalla scranno massimo prima, non è dato sapere, ma il cambiamento del ruolo esercita una influenza positiva che li rende quasi santi.
Dal giorno dopo l’elezione possono fare di tutto e passare sempre e comunque per uomini equilibrati, savi, lungimiranti e illuminati, umili e generosissimi.
Quel buffetto regalato a un bambino, quella mano tesa a una pensionata, quel sorriso mentre esce da messa, sono tutti gesti e comportamenti che se non hanno della santità è solo per un quisquilia burocratica.
Ragion per cui un giro da Presidente gioverebbe a tutti; tutti i politici beninteso, chè a noi mortali, quali rimaniamo, coi nostri difetti e le nostre perversioni, non tocca anche perché non ce lo meritiamo. Il percorso che porta alla santità secolare dei nostri presidenti è un percorso per pochissimi, tutti sicuramente caratterizzati da virtù speciali che, se non emerse da politici attivi, esplodono quando diventano presidenti.
Peccato, però, che i discorsi glieli scrivano altri, così si sussurra in giro, non è farina del loro sacco. Loro si limitano a recitarli, compuntamente, gravemente, dolcemente, soavemente e, per questo solo piccolo particolare, cioè per recitarli, li fanno propri e li rendono magici. E sì, perché quegli stessi discorsi, recitati dal barista mio amico, suonerebbero buffi, goffi, ridicoli, fuori del mondo. Non sarebbero credibili. Ma recitati dai Presidenti diventano musica per le orecchie bendisposte di fine anno.
Io, blasfemo cromosomicamente, continuo, però, a sognare un Presidente che dica quello che gli viene in testa, a braccio, magari, fuori delle regole, bacchettando chi lo merita, secondo il suo punto di vista, alzando la voce, insomma un discorso spontaneo che rifletta quello che realmente pensa, raccontandoci la sua personale verità, che pur avrà, avendo fatto politica per una vita. Fa niente se non mi trovassi d’accordo, perché sarei d’accordo col metodo, con l’uomo, le sue imperfezioni, vizi e tendenze.
Di brodini tiepidi ci pensano i conduttori della domenica in televisione a propinarcene a iosa; di episodi commoventi, pure. Il Presidente, invece, ci bacchettasse. Per esempio potrebbe prendersela con l’inutilità delle camere, deputate ad alzare la mano, con i politici corrotti, con la mafia, perché no, con gli apatici, gli indifferenti e i violenti, se lo sente, ricordarci quanta TV spazzatura va in onda o che un campionato di calcio potrebbe pure fare la follia di fermarsi quando al suo margine si ammazza. Potrebbe dirci che le ricostruzioni del dopo terremoto sono state un fallimento e dirci di chi pensa siano le colpe; potrebbe ricordare che non può cadere un ponte all’anno oppure che non è possibile non ci sia ancora il treno a Matera, nel 2019, anno nel quale verrà nominata capitale della cultura. Ma la gente, forse, si entusiasma proprio per quello che dice, per il compitino preparato, insomma perché tutto sembri, in fondo, sotto controllo.
Va bene, ci mancherebbe, non fosse che ci troviamo sull’orlo del precipizio, morale ed economico. E quindi ciccia. Proveremo a scorgere il vero messaggio subliminale sotteso, quello filosofico, sociologico, altamente pervaso da cultura e umanità, non scorgendolo, ma fingendo di sentirne l’odore.
Malessere
Posted on 31. dic, 2018 by L.P. in Commenti
Cosa dovrebbe essere un politico.
Un politico dovrebbe conoscere i bisogni di un popolo e, come diceva Gramsci, saper armonizzare la realtà disagiata con il minor disagio possibile per tutti.
Per conoscere i disagi di un popolo, o di un territorio, o di una specifica categoria, un politico deve condividerne la quotidianità, sentirne le ragioni, avvertire lo stesso peso del disagio sulle sue spalle, non starsene in uffici spaziosi, con un paio, quando va bene, di collaboratori, stipendiati, a fare un post o a scimmiottare la parte dello statista.
Un politico, serio, non vive al di fuori, se non al di sopra, della società, ma al suo interno; ha un obiettivo, che non può essere altro che il benessere comune, la città del domani, lui guarda lontano.
E un partito, serio, è zeppo di politici di tal fatta.
Invece sappiamo bene che oggi è l’esatto contrario. La politica si svolge al di sopra della testa di un popolo, è diventato un gioco per una speciale categoria di persone che, facendo finta di occuparsi del paese, hanno realizzato il sogno di essere famosi, importanti e ben pagati.
Un politico, oggi, è sazio, mentre dovrebbe avvertire i morsi della passione politica ogni dì.
Ma questo avviene in qualsiasi campo: nella giustizia, per esempio, un giudice è, anche lui, da subito sazio, pieno della sua autorità, mentre ogni suo singolo comportamento dovrebbe essere caratterizzato dal malessere della paura di sbagliare.
Un politico, serio, è sofferente per natura, una persona speciale, quindi rara.
Abbiamo politici di questo tipo, oggi?
Temo di no. E se ce ne è qualcuno, i partiti lo spolverano per un convegno, per rifarsi la faccia o per truffare qualcun altro, al quale rappresentano una versione della politica irreale, alla bisogna.
Per questo penso che un politico non indulge in selfie, non affolla studi televisivi, non riempie la cronaca dei giornali quotidianamente, ma lavora, soffre e lavora, fantastica e lavora. Non ha bisogno di essere abbronzato, elegante, di curare i particolari, perché ha la mente altrove.
Una marea di dilettanti, invece, ha invaso le istituzioni, da almeno vent’anni o anche di più; ha cambiato i connotati dell’uomo politico, facendone una star, un idolo, un atleta da stadio, neanche bravo, beninteso, ma non ce n’è bisogno di più bravi, anzi, quelli bravi sono stati fatti fuori, perché eccellenza significhi quello che ci viene propinato; e molti ci credono pure.
Il risultato è, però, evidente: se si vince, vincono loro, se si perde, perdiamo noi, come nei migliori aneddoti sull’avvocatura.
Ma nulla cambierà fin quando ognuno di noi non assumerà la responsabilità delle sue scelte.
Oggi c’è ancora chi baratta la libertà per una raccomandazione, facendo sì che un diritto, il lavoro, diventi un umiliante regalo che ci fa diventare debitori, orfani di libertà e responsabilità. E, da debitori, serviremo il padrone che ci ha dato lavoro.
Fa sorridere la Cassazione quando ci racconta che la raccomandazione non significa concorso nel reato, quasi che chi raccoglie la raccomandazione non sia, lui stesso, già debitore dell’incarico che ricopre, quindi obbligato a seguire l’indicazione, cioè a obbedire.
Quindi, se non c’è consapevolezza della propria cittadinanza, non c’è verso di tornare a vedere sulla ribalta veri politici, quelli che non appaiono, ma che soffrono in uno a chi rappresentano.
Niente, non mi riesce di rimanere indifferente davanti all’Italia e alla Basilicata di oggi, come invece riesce a tanti altri. Beati loro. Indifferenti, quindi sempre vincenti e mai responsabili di nulla.
I nuovi gladiatori
Posted on 29. dic, 2018 by L.P. in Commenti

Continuerò ancora a chiedermi a chi giovi la rissa.
Ma forse è un ragionamento fin troppo raffinato, nel senso che alla rissa forse si arriva seguendo impulsi primordiali che nulla hanno a che vedere con la ragione.
Penso a un Fiano, sbracato, che assalta i banchi del governo; penso a quei tifosi di calcio che fanno della violenza il loro pane quotidiano; penso a chi con la violenza ci mangia e si arricchisce.
Nel caso di Fiano, se abbia reagito a un impulso primordiale o se, il suo comportamento sia stato il frutto di un ragionata e premeditata strategia, poco cambia: se pensa in quella maniera di aiutare il popolo che rappresenta, stiamo freschi, istinto o ragione che sia. Penso piuttosto al cattivo esempio, per quanto, oggi come oggi, ce n’è a iosa, di cattivi esempi, ovunque.
Se penso ai tifosi violenti, beh, là, alla guerra, ci vanno ben preparati e, a parte l’incapacità di prevenire episodi del genere, a parte l’incapacità di educare, pure sanzionando, a parte l’indifferenza ormai generalizzata e la capacità di continuare lo spettacolo purchè il giocattolo funzioni, anche di fronte alla guerriglia, senza che lo sdegno superi il business o cos’altro, beh, a parte tutto questo c’è da chiedersi cosa covino dentro individui di tal fatta, quale sia il loro disagio ovvero la loro pazzia.
Quanto alla terza specie, cioè di quelli che con la violenza si arricchiscono, cioè i malavitosi, beh, basta guardare alla loro storia, fatta di successi e di escalation continue per capire che la loro legge si impone molto più facilmente di quella dello Stato che, purtroppo, non riesce da sempre a debellare il problema, anzi, con la corruttela tuttora in corsa alla grande, contribuisce al successo del fenomeno.
Quindi c’è a chi giova la rissa. A tutti quelli che stanno al di là della barricata. Quella ideale barricata che divide chi comanda da chi è comandato, chi è ricco da chi non lo è, chi può da chi non può.
Il divario sociale in atto è grandissimo, ma mascherato molto bene. Il web garantisce strumenti di massa che annebbiano la mente, facendoci sembrare tutti uguali, con uguali diritti e uguali possibilità. Un bluff cosmico. Il web è democratico nella misura in cui riesce a non incidere su nulla. Un’arena dove potersi ammazzare a parole reciprocamente, con la sensazione finale, anch’essa ovviamente solo digitale, di aver vinto qualche battaglia, di averglielo detto!, di aver tenuta alta la guardia!, di aver alzato la voce e di averlo(la)(li) sputtanati. Di contorno l’arena della vita, coi morti ammazzati a margine di una squallida partita di calcio, farcita da cori razzisti, con gli altri a ergersi per una sera e per il proprio idolo a antirazzisti di professione, con i Fiano a mostrare la pancia e gli altri a gridare, gridare, gridare.
Sì, la rissa serve a più di qualcuno. E noi, stupidi gladiatori, andiamo incontro alla morte.
Iniziativa regionale pro vittime di iettatori
Posted on 02. nov, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti

Ma esistono gli iettatori?
Io credo di sì, ragion per cui, tutte le potenziali vittime, cioè la popolazione intera meno loro, dovrebbe costruire un sistema solidale di protezione.
Come?
Segnalandoli e creando un elenco ufficiale pubblico, o almeno ufficioso, ma anche a pagamento, purchè chi ci crede possa conoscere gli iettatori della sua palazzina, rione, città, e perché no, regione.
Conoscerli può aiutare molto. Per esempio se sai che tizio lo è, eviti di parlarci, o di incontrarlo, o se proprio non riesci a evitarlo, lo saluti gentilmente e ti attivi per non contrariarlo.
Piccole misure che, unite al cornicello, alla rapida grattatina e alle corna fatte con la mano in tasca, potrebbero salvarti da sciagure, grandi o piccole che siano, facendoti godere quella che troppo spesso non viene gustata per il valore che ha, cioè una esistenza più serena.
Anche gli iettatori potrebbero trarre giovamento da un elenco ufficiale: immaginate il rispetto che riceverebbero, le porte che si spalancherebbero, i sorrisi che si sprecherebbero. La loro autorevolezza troverebbe il giusto teatro nella vita di tutti i giorni, in qualsiasi ambiente o posto di lavoro.
E se proprio non si vuole passare all’ufficialità, almeno potremmo aiutarci fra di noi, vittime designate, con elenchi di contrabbando da passarci mano per mano in vicoli bui, anfratti inaccessibili o, con abilità tutta da acquisire, nell’attesa dell’ascensore o sorbendo un caffè al bar sotto i soprabiti.
Amici, quanti guai in meno ci sarebbero? Quanti di noi potrebbero passare una giornata in più beatamente a combattere i fisiologici guai della vita, senza aggiungerne altri?
Potrebbe essere una seria svolta.
Chiunque fosse interessato potrebbe scrivere il suo elenco e spedirlo all’indirizzo di posta certificata agliefragaglifatturchenonquaglia@cert.facciolecorna.it, verrà subito ricambiato con gli elenchi di tutti quelli che hanno aderito all’iniziativa.
Il prezziario dei reati, editoriale del Roma di Basilicata
Posted on 10. ott, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti

Che la giustizia abbia da tempo intrapreso una deriva senza pari è un dato certo. La prova la otteniamo quotidianamente con le troppe sentenze di assoluzione per prescrizione, con decisioni sempre più povere di motivazione, superficiali, talvolta finanche zeppe di errori materiali, affidate, senza scampo, sempre di più a una magistratura onoraria che non offre alcuna garanzia di competenza, e infine con il netto prevalere di decisioni in rito che non affrontano più il merito delle vicende umane a lei sottoposte.
Fra l’altro la giustizia costa tanto e rende pochissimo, con tempi e efficienza in media ben lungi dal minimo sindacale, per dire.
Ma la perla legislativa della cosiddetta “giustizia riparativa”, davvero è sconvolgente. Ne abbiamo avuto una recente prova con la sentenza del Tribunale di Torino che ha fissato il prezzo per un reato di stalking, ben 1.500 euro.
La giustizia riparativa è, contrariamente a quello che pensa il legislatore italiano, che da anni dà segni evidenti di stravaganza, un complesso discorso che coinvolge vittima e responsabile del reato, li avvicina, li fa discutere, cerca di risolvere un conflitto e alla fine, solo alla fine, può consentire un risarcimento che elimini la responsabilità penale. Una sorte di privatizzazione della funzione sanzionatoria dello Stato, in un determinato ambito di reati, che, beninteso, non assolve al compito di deflazionare il contenzioso, bensì a quello, ben più nobile e preventivo, di responsabilizzare e rendere consapevole l’autore, mettendolo a confronto con la vittima, del disvalore sociale della sua azione.
Per il legislatore italiano, invece, un tanto nobile e complesso disegno socio-rieducativo è ridotto alla quantificazione del danno da reato, senza neanche attribuire alla vittima voce in capitolo, ma affidando a un giudice la determinazione del prezzo.
A Torino lo stalker ha offerto 1.500 euro per essere assolto, la vittima li ha rifiutati e il giudice ha sentenziato che bastavano.
Roba dell’altro mondo. Fra poco avremo un vero e proprio prezziario e chi vorrà, potrà decidere di compiere un reato avendo la disponibilità per farselo estinguere.
Sarà, infatti, decisamente poco credibile avere in Italia un prezziario differente da corte di appello a corte di appello, a meno che uno stalking in Calabria non valga addirittura meno di uno in Piemonte. Poi avremo anche le dovute differenze: immagino costerà di più stalkerizzare una persona in vista rispetto a una povera commessa, per dire, e ingiustizia sacrosanta sarà compiuta, secondo i canoni della giurisprudenza italiana, capace di risolvere i casi con soluzioni una in contrasto con un’altra.
Poi arriverà la Cassazione -tutti in piedi- che sentenzierà che se la persona è poco nota e disoccupata, semmai, il danno non supera i 600 euro, e prelibatezze giuridiche del genere.
Ma il mondo della politica è insorto: così non va, la legge va cambiata! Ma l’hanno fatta loro, è giusto ricordare, e quindi è doveroso aggiungere che non sono assolutamente capaci e che il loro esclusivo fine, spinti da una magistratura sempre più insofferente a trattare le cause, è quello di deflazionare i ruoli delle cause pendenti.
Una maniera come un’altra per fare somma ingiustizia in un paese che, invece, ne ha davvero tanto bisogno. Ma di giustizia sostanziale, non di finta giustizia, come la nostra dove un legislatore scadente e premuroso verso le esigenze delle toghe, ha costruito un campo minato per il processo, nel quale è facile saltare in aria con una dichiarazione di improcedibilità o inammissibilità, a ogni tentativo di seria difesa.
Un paese senza una compiuta giustizia è un paese misero culturalmente, tendente al dispotismo, sebbene porti la maschera della democrazia. Una deriva di questa grandezza la si combatte con una magistratura seria e responsabile, e non da prima pagina ovvero superficialmente sciatta e con una avvocatura che abbia coscienza del suo ruolo nella società. Diversamente sarà davvero notte fonda.
Ah!, a proposito, quanto costa una bella diffamazione? Datemi un numero che comincio a risparmiare.
Autonomisti della Lucania a rapporto!, editoriale del Roma di Basilicata
Posted on 09. ott, 2017 by L.P. in Commenti, Regione Basilicata

Magari potremmo invocare l’autonomia anche noi lucani. Che ci manca? Abbiamo tutto, finanche una barriera naturale anti-invasione realizzata attraverso la non edificazione di strade e ferrovie. Col petrolio potremmo dare sfogo a una atavico complesso di povertà sfrenandoci nell’acquisto di ville a Maratea, appartamentino per partorire idee letterarie a Castelmezzano, suv e abiti su misura e gioielli alle signore.
Poi potremmo sbizzarrirci con stipendi tripli rispetto al resto del mondo, orario di lavoro ridotto e sussidio ai pensatori che non possono certo perder tempo con un lavoro normale.
In fondo siamo una popolazione piccola, facile farla star bene, basta evitare di regalare il petrolio a chi ce lo paga con malattie e sporcizia, far pagare le tasse a chi ha stabilimenti qui da noi e pochi altri accorgimenti.
Strano che a nessuno sia venuto seriamente in testa.
Un bel movimento autonomista, quello dei due mari, delle due province, delle quattro strade e dei quattro comitatini.
Il problema sarebbe quello di rendere consapevoli i lucani, al fine di una loro adesione convinta, che non paga star dietro al politico di turno, che poi questi turni non finiscono mai, estendendosi, per qualcuno, anche agli eredi, e che il futuro è solo nelle loro mani.
Non corriamo il rischio, come Barcellona o la Gran Bretagna, della fuga delle banche, chè già se ne vanno ora, assieme a uffici e direzioni regionali. Non corriamo il rischio di una uscita dal contesto europeo, chè già non ne facciamo parte. Insomma rischi zero e poi vi assicuro che ricchi come arabi, saremmo corteggiati da lobbies e finanzieri, evasori e imprenditori. E sì, perchè potremmo abbattere il carico fiscale, avere ospedali all’avanguardia e offrire tutela sanitaria a 5 stelle a tutti. Diventeremmo una meta ambita dove trascorrere la vecchiaia per ricchi pensionati, offrendo tartufo, aglianico e sciccherie del genere, con tanto di belleze naturali e simpatica accoglienza.
Già. Noi potremmo farlo.
Il problema è, però, che ci sentiamo lucani così come ci sentiamo italiani, cioè solo allo stadio; che, in dondo, rispettiamo la nostra terra come rispettiamo un cane randagio con la rogna; che ci scegliamo i nostri rappresentanti in maniera acritica, indotta e utilitaristica (un voto per una raccomandazione); che abbiamo come meta del nostro sguardo la punta del nostro naso o al più quella del naso della famiglia; che, un pò saccenti e presuntuosi, affrontiamo la vita e le responsabilità con superficiale pressappochismo. Insomma un senso di appartenenza alla nostra terra vero e proprio manca.
Ma forse è un bene, dai. Vuol dire che é fuori del nostro DNA, uno spinto spirito autonomistico, che ci sentiamo italiani, stiamo in fondo bene e che che cavolo ce ne frega a noi.
E quindi mentre il mondo è in subbuglio noi ci approntiamo ad accogliere candidature politiche che sanno di vecchio, con programmi stantii, copiati e ricopiati da non realizzare mai, i partiti si agitano per una candidatura lasciando spazio a quello che viene chiamato pragmatismo che è il primo nemico della politica, fatta di idee, progetti e visioni fantastiche, tutto il contrario cioè del pragmatismo che, sia chiaro, significa solo farsi li cazzi propri. Seraficamente disgraziati, per gradire.
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