My Potenza

Posted on 31. ott, 2011 by L.P. in Città di Potenza

E quindi Potenza è tornata alla ribalta per la bollente situazione della sua Procura della Repubblica.

Mai che facesse notizia per qualcosa di buono.

L’ombra di Woodcock aleggia sempre, e anche da centocinquanta chilometri, riesce a caratterizzare la cronaca.

Bene.

Ma guardiamo le cose dal punto di vista degli uomini qualunque, quella astratta entità che non fa notizia, non fa la storia, non fa la cronaca, ma subisce tutto.

Abbiamo uno scandalo politico che movimenta le pagine dei giornali, ma non turba l’animo di nessuno, e abbiamo uno scandalo giudiziario che interesse la stampa nazionale ma che lascia soltanto lievemente incuriositi i potentini.

L’uomo qualunque del capoluogo regionale sembra imperturbabile, per nulla scosso da questi accadimenti.

Saggezza? Rassegnazione? Indifferenza?

Chissà, forse un mix.

Il fatto è che a rimanere sorpresi dalla massiccia presenza di scandali sono solo i media, perché il potentino evidentemente già sa.

Ma forse anche i media fanno solo finta.

Il potentino sa che è tutto un magna magna, sa che non vai avanti se non sei raccomandato, se non stai nella squadra, se non voti per. Solo si adegua. Non protesta, si adegua, e questo nel 70 % della popolazione. Il resto in parte mangia le briciole dell’opposizione, e in minima parte lo prende stoicamente nel di dietro, abbozza una protesta, bestemmia e tira a campare, inerme, perché sa che non può fare niente per cambiare la situazione.

Questo è il risultato di sessant’anni di democrazia in Basilicata, e a Potenza nel particolare. Una democrazia di nome che, di fatto, costituisce un sistema feudale su base consociativa, nel quale liberismo e liberalità sono come lo zucchero sugli strascinati, la concorrenza, economica e intellettuale, è solo quella quella americana da ammirare in TV, e la cultura è un’etichetta che non comporta ore di studio, ma al più un paio di quotidiani sotto il braccio.

Dai che forse aveva proprio ragione lui: Cristo si è fermato a Eboli, e quando ha voluto visitare l’estremo sud italiano, ha fatto il giro largo.

Urbanistica e mistificazione

Posted on 30. ott, 2011 by L.P. in Città di Potenza

A Potenza, alla fine di via Pretoria, lato torre Guevara, tempo fa, è stato realizzato un marciapiede con panchine. Al posto di prefabbricati, vecchie icone del dopo terremoto. Idea ragguardevole se è vero, come è vero, che su quel marciapiede è stato finanche sistemato un tavolino con sedie per i suoi avventori, cosa tragicamente ancora rara per la città di Potenza.

L’opera, però, non è stata fatta a regola d’arte. Residua infatti una rete metallica a protezione del nulla: brutta, inutile, un evidente avanzo dei lavori. Mai rimossa, sta lì a segnalare l’incuria di chi ce l’ha lasciata e di chi dovrebbe controllare che tutto sia fatto bene.

Ma non basta. L’opera, ripeto rimarchevole, non prevedeva la ripitturazione delle ringhiere. Queste sono quelle vecchie, arrugginite, brutte. MI piacerebbe dare uno sguardo all’appalto e al progetto per controllare se davvero un progettista naif non aveva previsto la pitturazione delle ringhiere, o se pur avendola prevista non è stata fatta. E, in tal ultimo caso, se è stata comunque pagata.

“Ma cosa vai a pensare…”, dice il primo che capita. Vero, cosa vado a pensare. Che roba di me.

Comunque, per cambiare discorso, buttando lo sguardo fra i buchi della rete metallica è possibile avere un panorama di via Bonaventura. Evidenti salteranno agli occhi i pali in metallo che delimitano la carreggiata, dividendola dal passaggio pedonale: orribili. Fare qualcosa di più garbato per dare decoro alla città? Neanche a pensarci. Il brutto ci educherà al peggio. Questa è la regola. Taccio d’altro, per amore della domenica. Ma se è questo quello che ci propina una classe politica vecchia, ricca, tanto sazia da ruttare in continuazione, arrivata, che ha cancellato dal suo misero vocabolario la parola dimissioni e tutte quelle parole un po’ più difficili che escono dal tracciato dello squallido politichese lucano, ebbene, nonevèro, e non potendo fare affidamento su una sopita opposizione, in letargo perenne, dal menù tipico del passerotto (molliche e piccoli avanzi), ebbene dicevo, passo. Non gioco più. Getto le carte e mi leggo un libro. A casa. Chiuso. Chè di uscire a veder brutture ne ho le palle piene.

In fede.

Otto Von Kaneppele

PS: stamattina, un gruppetto di turisti -giuro turisti- mi ha chiesto come si poteva fare per ammirare la torre Guevara. L’ingresso è sbarrato, invero, e da mesi. Ma anche se fosse aperto il panorama è squallido perché la zona non è sistemata, e, al più, è servita per parcheggio, peraltro orribile a guardarsi.

Non ho saputo rispondere ai turisti. Ma li avrei indirizzarti dal Sindaco. Il Sindaco di Potenza, città cultura. Non l’ho fatto, però. Perché quel Sindaco è stato votato dal 70% dei potentini.

bacioni, estensibili.

Sempre in fede

e sempre il Vostro Otto eccetera eccetera

Basilicata, isola Fenice

Posted on 22. ott, 2011 by L.P. in Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Ma guarda un po’!

In Basilicata gli enti regionali venivano sfruttati per sistemare amici, e per pilotare i voti, oltre ovviamente a tante altre belle cosucce.

Ma dai!

Stento a crederci.

La Basilicata modello, quella che quando un esponente nazionale del PD viene da queste parti dice “ma che roba di voi!”

No, non ci credo mai, come diceva mio nipote.

Pare che dipendenti dell’Arpab abbiano, negli anni, segnalato anomalie su anomalie al Presidente della Regione. Evidentemente non sono stati creduti. O non dovevano essere creduti. O, insomma, che gliene fregava a loro. Bastava raccattare voti.

Ora tutti scoprono la beffa del PD di Basilicata.

In Basilicata il voto libero non è mai esistito.

Vero è che nel panorama politico, il più libero degli elettori non troverebbe una casella dignitosa da crociare (voce del verbo crociare, ossia segnare con una ics, il simbolo di un partito o di un candidato). Il sistema è granitico. Le proporzioni assegnate. Le briciole prenotate. E allora votare maggioranza o opposizione poco cambia.

Come al solito ci voleva la giustizia per ufficializzare i sistemi, la politica non ne è capace. Anzi, attonita, si chiede:” ma davvero non si può fare? Ma se questo ci hanno insegnato e nessuno ha mai avuto nulla da ridire”.

L’isola felice si è tramutata in isola Fenice.

Sfruttati, inquinati, imbrogliati, depredati delle risorse, questi i connotati dei lucani, ma anche, immobili, proni, sudditi.

Nel PD nazionale, ogni tanto qualcuno si dimette da qualcosa, anche se solo per facciata; e da noi? Ci sarà qualcuno capace di un gesto di dignità? Macchè, e neppure glielo ha chiesto nessuno. Magari garantiamo solidarietà ai malcapitati, e con la dose di ipocrisia quotidiana stiamo apposto.

Bene, il Pescara segna e vince. Tiè.

Signori i miei ossequi.

Nolè ci riprova

Posted on 06. ott, 2011 by L.P. in Città di Potenza, Racconti

Nolè masticava amaro.

Non gli andava giù quell’assoluzione del personaggio malavitoso più chiacchierato e più impunito della città.

Aveva svolto personalmente ogni atto d’indagine, seppur avversato, subdolamente, da importanti pezzi della magistratura potentina. Poi, con le carte in mano al PM, la vicenda si era poco alla volta sgonfiata, fino a terminare, miseramente, con un proscioglimento già all’udienza preliminare.

La notizia lo aveva colto in un momento di estasi totale; stava infatti assaporando l’amaro del tabacco sul palato ancora impregnato del pane e mortadella che aveva appena terminato.

Il risultato fu che accese un’altra MS quando l’ultima ancora bruciava sul posacenere.

Nolè non rispettava la norma che vietava di fumare negli uffici, anche se si riprometteva ogni giorno di non violarla più. Ma, in fondo, quella tendenza anarcoide a non rispettare una norma come quella sul fumo costituiva fertile terreno nella sua mente per cercare sempre di capire la mente dei delinquenti.

Non li giustificava mai, ma, soprattutto di alcuni, non negava di subirne fascino.

Si alzò dalla sedia, e si sentì pesante; prese il giaccone per affrontare un ottobre improvvisamente freddo e uscì a passeggiare.

Il caso, ma fu davvero solo il caso?, volle che nel momento in cui Nolè metteva il naso fuori della questura, passasse, su una luccicante fuoriserie, che tanto stonava nel contesto del traffico potentino, Gerardo Zitarrosa, e cioè proprio colui che aveva inutilmente indagato per anni. Senza ragionare più di tanto indossò il casco, e partì con la moto in un assurdo inseguimento.

Nolè si teneva tre autovetture dietro il Suv, a pochi centimetri dall’auto che lo precedeva, ben sistemato al centro per non farsi notare da Zitarrosa. Questi guidava con calma, come sempre sicuro di sé.

Zitarrosa svoltò per la zona industriale e si infilò nell’ampio parcheggio di un bar aperto da poco.

Nolè si fermò a una cinquantina di metri per guardare la scena.

Zitarrosa spedito si avvicinò a un tavolo dove sedeva già una persona che Nolè riconobbe subito. “Che faccia tosta”, pensò, “non si nascondono neanche”. Si trattava, infatti, di un importante magistrato sul cui conto, però, Nolè aveva sempre sentito parlar molto bene.

Incuriosito Nolè andò a sedere a un tavolo vicino, badando bene di porgere sempre la schiena alla coppia.

E ascoltò.

Tornato in ufficio, saltando il solito pasto da “Mimmo il ciclista”, si mise all’opera. Chiamò Covucci, Mallerba e Cavallo e impartì precise indicazioni, quindi allungò i piedi sulla scrivania e si addormentò. Un sorriso beffardo segnava il suo volto.

In serata Nolè, scoccate le ventidue, si recò, con la moto, nella località Dragonara, da lì imboccò una strada sterrata che si perdeva nella campagna. Dopo un paio di chilometri intravide la villa e i suoi uomini già appollaiati nei dintorni. I cani abbaiavano verso gli agenti e questo fece uscire il proprietario di casa. Era tutto previsto. Il proprietario altri non era che l’assessore regionale Boscolo, il quale chiuse i cani e si avvicinò sorridendo al cancello: “Siete in anticipo”, tubò. Ma quando vide un paio di revolver puntati sbiancò, e quasi svenne.

“Polizia, ci fa entrare?”

Nolè ci mise un minuto a spiegare la situazione. Gli disse che sapeva tutto, che di lì a poco sarebbe arrivato Zitarrosa, un paio di magistrati, l’assessore allo sviluppo, un gruppo di allegre figliole, e soprattutto un carico di cocaina. Chiese e ottenne collaborazione in cambio di un rapporto accondiscendente sul comportamento di Boscolo. Gli agenti si nascosero nella villa, e Nolè si accomodò in cucina.

Dopo un quarto d’ora arrivò l’allegra brigata.

Prenderli con le mani nel sacco fu un gioco da ragazzi.

“Stavolta per Zitarrosa sarà più dura venirne fuori. Credo. Spero. Chissà.”

Nolè telefonò a Mimmo “Sono le undici date ancora da mangiare?”

“Cosa le preparo Commissario?”

“Pasta e rape, Mimmo. Porzione doppia”.