I provvedimenti della Regione Basilicata, Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 28. apr, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata

Sulla questione “Petrolio” in Basilicata vige la confusione più totale. Tempo fa, non molto, la Regione Basilicata aveva ingiunto a Eni determinate prescrizioni nell’esercizio dell’attività estrattiva, ma il Tar di Basilicata le ha ritenute illegittime, annullandole.
Se identica cura amministrativa è stata usata per l’ordinanza che ha sospeso l’attività nella giornata del Sabato Santo, stiamo freschi.
Del resto una Regione capace di fare leggi anticostituzionali a ripetizione, mostra coerenza se emette provvedimenti illegittimi, sarebbe strano il contrario.
Intanto il timore di un vasto e irrimediabile inquinamento esiste e, a meno di abbagli inenarrabili, è questa la causa dei provvedimenti a ripetizione della Regione Basilicata.
Nulla di più difficile che da qui a qualche settimana il Tar annulli anche il provvedimento di sospensione e semmai condanni pure la Regione, cioè noi tutti, a un mostruoso risarcimento.
Allora dove sta la magagna?
Non c’è inquinamento e la Regione ha fatto solo un brutto sogno? C’è l’inquinamento ma la Regione non ne azzecca una nel fare i provvedimenti? La situazione reale è uguale a quella giuridica o, nel mondo del diritto, si vede un altro film? Il Tar sa e vede cose che noi lucani non sappiamo?
E alla fine: ma sono capaci, in Regione, ad affrontare seriamente la questione petrolifera o l’attitudine è la stessa di quella che ha prodotto la pubblicazione di leggi rispedite al mittente o dalla Corte Costituzionale o dalla Corte dei Conti?
Bel dilemma, neanche tanto risolvibile se a giudicare i nostri amministratori sono loro stessi.
C’è una soglia, però, invalicabile, anche dai nostri illustri rappresentanti, che è quella rappresentata dalla decenza. Ecco, se non sono capaci, innanzitutto di dirci la verità, su quello che è stato, è e presumibilmente potrebbe essere, e, un attimo dopo, di governare il problema, evitino di aggravare la situazione, dichiarassero forfait, alzassero bandiera bianca, così potremmo segnare un nuovo punto zero e vedere cosa fare.
Stiamo parlando del presente e del futuro, prossimo e remoto; stiamo parlando di una delle regioni più verdi d’Italia, che affaccia su due mari, bella, selvaggia, affidata però, da sempre, a personaggi che non ne hanno saputo disegnare il futuro. Hanno provato, maldestramente, a industrializzarla, fallendo miseramente; hanno capito, con gravissimo ritardo, la sua vocazione naturalistica e turistica; non hanno capito ancora che alcune coltivazioni vanno preservate, perché di assoluta eccellenza; dell’attività petrolifera non hanno saputo, da sempre, quali fossero le eventuali opportunità, quali i rischi, quale, alla fine, la convenienza; hanno aperto una Università senza coltivarne la presenza e valorizzarne l’attività. Queste solo alcune delle manchevolezze, tipicamente politiche, di chi ci ha rappresentato finora e ci sta rappresentando, nonostante gli slogan elettorali e il consenso bulgaro che è inversamente proporzionale al grado di democrazia di un territorio, evidentemente.
Ma poi, dico io, non sono stanchi anche loro, gli attori principali, di questo stucchevole ping pong fra provvedimenti, Tar, allarmi, tentativi di tranquillizzare, tutti assieme senza alcuna cura nel mescolarne effetti e coerenza, in uno sfrenato balletto da camicia di forza?
Abbiate pietà del popolo lucano, e, ripeto, se non è cosa vostra, fate dignitosamente un passo indietro; giuro che verrà celebrato degnamente e ricordato ogni anno in un nuovo giorno della Liberazione, quello della Basilicata dall’oscuro male della malapolitica.
Splenetenetonete, la Regione Basilicata sugli scudi, da Radio Potenza Centrale
Posted on 28. apr, 2017 by L.P. in Amenità, Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata

Sette Leggi per sette pernacchie, editoriale del Roma Cronache Lucianocane del 27 aprile 17
Posted on 27. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti, Regione Basilicata

Trovarsi ad approvare una legge anticostituzionale può accadere, dai. Soprattutto se a scriverla è stata una piccola regione che si avvia a diventare regione sperimentale di produzione agricola all’aroma nero, nonché terra di acque minerali tanto buone quanto migliorabili, grazie agli idrocarburi.
Una piccola regione devastata, periodicamente, dai terremoti e, quotidianamente, da una classe politica che ha rotto i ponti, definitivamente, con la sua tradizione.
Una piccola regione che ha reso difficili i rapporti col resto del mondo deinfrastrutturalizzandosi costantemente, grazie al concorso del tempo nei cui confronti l’uomo lucano ha deciso di non opporsi con aggiustamenti vari dell’esistente, ma fatalmente affidandosi al più classico “accada quello che deve accadere”.
Quindi, dicevo, una legge che non rispetti i dettami della Costituzione, da parte della regione Basilicata, ci sta, è fisiologico, naturale, diamine, non siamo certo perfetti, con tutte le sciagure che ci toccano, sarebbe davvero un miracolo essere anche giuridicamente perfetti.
Il discorso potrebbe cambiare se le leggi anticostituzionali fossero di numero superiore; per esempio se ne dovessimo contare due o tre, ecco, sarebbe il caso di affrontare il problema come se ci trovassimo quasi di fronte a una patologia.
Se, infine, le leggi sballate, in un anno, dovessero arrivare a numeri tipo sei o sette, beh!, sarebbe allarmante e dovremmo chiederci in quali mani siamo finiti.
Per fortuna non è così; del resto come mai sarebbe potuto accadere una simile vergogna nella terra che fu dei Gianturco, Coviello, De Luca e tanti altri giuristi di fama nazionale che, nel corso dei secoli, hanno dato prestigio a questa disgraziata terra?
Chiedo scusa, come dite? Ah! Sono proprio sette? Sette leggi bocciate dalla Corte Costituzionale? No, non posso crederci, ci avranno presi di mira. Eh no!, cribbio, qua c’è sotto qualcosa, un complotto, che so, un fine perverso che qualcuno ha deciso di perseguire.
Sarà perché un paio di Capodanni fa abbiamo consentito l’ingresso dell’anno nuovo fuori orario, che ne so, o sarà perché abbiamo votato compatti al referendum anti trivelle. Eh eh!, non ci casco, gatta ci cova.
Perché sbagliare sette leggi in un anno sarebbe diabolico, manifestamente da ignoranti conclamati, da Guinness dei primati, oltre che ingiurioso per il popolo lucano, così mal rappresentato. Ah! Dice che lo hanno fatto apposta? E perché? Per vedere se ne accorgevano?
Gagliardi! Vabbè allora cambia tutto, dai, perché siamo alla presa in giro più raffinata, a uno scherzo istituzionale da primo d’aprile. Siamo all’ironia giuridica, all’amo per la pesca dei fresconi di Stato, uno spernacchiamento ai massimi giudici italiani a dimostrazione di un talento naturale giuridico quanto teatrale, con una punta di sarcasmo istituzionale che al nord si sognano.
Arrivo a pensare che possiamo fare scuola in questo campo: l’arte dello sberleffo attraverso lo strumento della norma, farsa in tre atti per un popolo alla deriva, dilaniato da milioni di leggi, regolarmente violate dai più, che valgono quanto sette leggi volutamente sballate.
Sarà questa la maniera per rinascere, forti di una cultura giuridica che moralizza con lo strumento più difficile da usare nelle istituzioni: l’ironia.
E scusate se è poco.
E l’Italia si armò, editoriale del Roma Cronache Lucane del 26 aprile 17
Posted on 26. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Attualità, Politica nazionale, Società e costume

La notizia è che l’Italia ha aumentato gli investimenti per le spese militari; carri armati, navi da guerra e bombardieri, anche se Trump chiede un ulteriore sforzo. Gentilòn (citazione di altri, ma innegabilmente affascinante), trumpista dell’ultima ora per contratto, per riconosciuta superiorità e per totale mancanza di spina dorsale (tipico del politico italiano in versione “rapporti con l’estero”, nei quali privilegia la adattabilità del mitilo), pare abbia risposto “ma si, certo, poi vediamo”, provando a cavarsela con un vago impegno quasi stesse concordando qualcosa coi sindacati delle forze dell’ordine.
Ovviamente, i miliardi spesi in più nel 2016 non hanno riguardato la difesa degli italiani, in termini di più soldi a polizia e carabinieri, o finanzieri per la caccia all’evasione, giammai, orrore, ma, appunto, carri armati per le sfilate, bombardieri al servizio degli Usa e navi da guerra per giocare alla battaglia navale: P2, affondata (magari, se ci riferissimo alla famosissima loggia), per dire.
Renzòn non ce l’aveva detto; il refrain era sempre “non c’è un euro, bisogna stringere la cinghia”.
Ma “ce lo chiedono gli Usa!”, perbacco, allora va benissimo, ci mancherebbe, serve un’offerta spontanea?
Ecco, però, che su questi argomenti sarebbe il caso di provare a ricercare una maggiore condivisione nelle decisioni. A parte il Parlamento, ben noto come luogo di svago, facezie, vacanze guidate, giochi di società e alzate di mano del tipo “professore posso uscire?”, sgradevolmente scambiate per voti, ecco che, forse, e lo dico in punta id piedi, umilmente, populisticamente (tiè, me lo dico da solo) noi cittadini della repubblica fondata sul lavoro di pochi e sui privilegi di un altro manipolo di sloganisti, oltre a dover puntare a diventare miliardari, come afferma Macron, potremmo voler dire qualcosa.
Ne abbiamo diritto?
Se un Razzi, o un parlamentare tipo lucano, non ci consulta prima di aderire alla corsa all’armamento selvaggio per il gioco dei soldatini dei capi di stato, ammesso che sia mai stato chiesto il suo parere, ebbene, non possiamo esprimerci con un bel referendum?
Cari amici radicali, dove siete finiti? Non usa più consultare gli italiani su grandi temi? E la corsa agli armamenti, che prefigurano guerre di potere (di altri), oltre che a confliggere con la costituzione potrebbe essere una scelta affatto gradita dagli italiani, alle prese con la loro guerra di sopravvivenza quotidiana, beh, non sarebbe un gran tema?
Una menzione la merita Macron, gia conclamato vincitore, tanto che la possono finire qui, che bisogno c’è del doppio turno?, il quale pare abbia affermato che i giovani dovrebbero sognare di diventare miliardari, provando così a scimmiottare tal Steve Jobs, con un tocco di poesia in meno.
A parte il fatto che magari lo fanno già da sempre, siamo sicuri che fa davvero bene a una societa?
Una volta si puntava su valori un cincinin più nobili, ma questi sono quelli che passa il governo, bisogna fare di necessità virtù. Un solo appunto, posso desiderarlo anche io? O a me tocca morire con la sola speranza del paradiso? Ci mancherebbe, è sempre un bel programmino, ma, perbacco, potete fare uno sforzo in più?
Macron e il non partito. Editoriale del Roma Cronache Lucane del 25 aprile 17
Posted on 26. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti, Politica nazionale

È partita la ricerca del Macron italiano. I più accreditati (?) dicono che sia Renzi, sebbene le stesse fonti dicano che hanno perso i partiti e Renzi ne sia, appunto, l’espressione massima.
Ma anche Brunetta e Berlusconi guardano al nuovo prodigio francese con benevolo e lussurioso desiderio.
Ma torniamo all’assunto che fa da ritornello alle primarie d’oltralpe. I partiti classici non li vuole piu nessuno. La finalissima Macron-Le Pen direbbe ciò.
Può essere, dai, la teoria non è peregrina affatto. Ma è solo il risultato di una legge di mercato: quando la mediazione fra produttore e consumatore costa troppo si cerca di eliminarla. Mutatis mutandis, se una lobby vuole governare un paese per fare le politiche che più preferisce, non è più conveniente affidarsi ai partiti, meglio candidare direttamente un proprio uomo e finanziargli la campagna elettorale. Ed è presto spiegato il perché. I partiti per garantire il loro sostegno, tradotto nelle leggi che gradisce la lobby di riferimento, ormai in cambio chiedono troppo: devono sistemare i generali, le loro famiglie e gli acquisiti; poi, devono sistemare i tenenti e poi i caporali e infine i soldati semplici, insomma costano troppo. E poi c’è sempre il bastion contrario, non soddisfatto appieno di quanto ricevuto, c’è chi vuole vendicarsi e chi, con il voto segreto, vota contro. Poi c’è chi vuole i soldi sonanti, chi li vuole all’estero e chi vuole che il figlio entri nel dato studio. E non è che il risultato sia garantito. Per un nonnulla dicono che non si è potuta fare la tal legge e che si deve discutere e nanì e nanera. Ecco, i partiti sono diventati una bulimica e immobile balena che vuole sempre e solo mangiare.
Ragion per cui, farne a meno, è diventata un’esigenza ovvero una oculata scelta economica e strategica. Quindi tu lobby, per esempio, finanziaria, ti scegli un quisque, già ben testato con una esperienza di governo, e lo lanci nell’agone politico. Gli studi campagna elettorale, slogan, abiti e cravatte, gli metti in bocca un discorsetto qualunque che con un discorso di uno statista vero è in rapporto di uno a trecento, ma tanto che ti frega, i partiti fanno addirittura di peggio, e provi a vincere le elezioni. Casomai ti riesce, perché sai come si fa. Fra l’altro l’avversario vero, quello che non ha fatto da comparsa pagata, è tanto amato quanto odiato, sfida il mondo con promesse di decisioni radicali, che fanno sempre paura a chi non vuole veder disturbata la cena a base di insalata e frittata con contorno di programma politico sul tipo dello pseudo dibattito, magari gridato, o moderato ed elegante, oppure, tiè, sussurrato e il gioco potrebbe essere fatto.
Certo, mai gridare alla vittoria prima della chiusura dei conteggi veri, sai com’è, a volte pure i forti e potenti perdono, soprattutto se i deboli diventano troppi e la classe media te la sei giocata con crisi e tasse, quindi profilo basso e un bel cornetto in tasca. Ah, mi raccomando, una bella promessa populista non guasta, anche in bocca a chi populista non può esserlo per definizione, appartenendo ad altra e superiore classe sociale, e col popolo non dividerebbe neanche il tempo della ricreazione.
Meritocrazia e perequazione. Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 25. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti, Politica nazionale, Società e costume
La meritocrazia è una forma di discriminazione che, se attuata pedissequamente, non consentirebbe a un Razzi di fare il senatore o alla Fedeli di fare il ministro.
La meritocrazia, se attuata puntualmente, creerebbe un infelice mondo di primi della classe, costringendo i meno bravi ai lavori umili se non, addirittura, all’emigrazione, con conseguenze tragiche perchè li manderemmo allo sbaraglio, senza un’arte, in pasto a popoli efficienti e non tolleranti la mediocrità.
Ed ecco che nel paese di Pulcinella, quello della genialità e della furbizia, dell’eccellenza e della mafia, si è naturalmente imposto un sistema di giustizia sociale che non ha eguali nella antica storia dell’uomo.
Questo sistema prevede un meccanismo di sostanziale aiuto ai meno bravi, di perequazione sociale assoluta, una forma di nuova eresia cristiana, un novello comunismo, nel quale si parte uguali e si arriva uguali, nel quale non c’è filtro di esclusione per gli ignoranti, gli sfaticati o i duri di comprendonio, analfabeti e scemi.
Funziona così: a un qualsiasi concorso, oltre alle prove scritte e orali viene previsto un bonus che pareggia eventuali handicap culturali e nella preparazione, e consente a un grullo, debitamente segnalato da personaggi che hanno fatto della uguaglianza sociale la loro missione, che per comodità chiameremo politici, di poter trovare una occupazione al pari di uno bravobravo, che, altrimenti, sarebbe avvantaggiato o perché più dotato di intelligenza secondo una ingiustizia diciamo di natura, o perché ha soltanto studiato di più, grazie a una predisposizione altrettanto discriminante.
Ma il sistema trova felice applicazione anche nelle scelte discrezionali dei politici di cui sopra, laddove, i nostri, fedeli alla missione, scelgono i meno bravi anche per delicatissimi incarichi, ottenendo, in restituzione, un comportamento fedele e leale che consolida la burocrazia, tradizionalmente fondata sulla durezza di comprendonio.
I bravi, del resto, proprio perché tali, una strada la trovano comunque, senza maramaldeggiare come nella peggiore tradizione scolastica, dove i bravi continuano a godere di arcaici privilegi, per fortuna compensati dal sistema di cui sopra nel momento nel quale i giovani entrano nel mondo del lavoro.
Giova rammentare anche che, con un sistema a pieno regime, i bravi possono comunque andare a cercare fortuna altrove, tenendo alto il nome e il prestigio del paese di origine, e finendo immancabilmente per affermarsi come solo un bravo può fare laddove la meritocrazia ancora ha ufficiale cittadinanza.
Uno studio recente dell’Università di Psicologia sociale applicata di Basilicata ha stabilito che alla fine i bravi non hanno un rendimento superiore ai comuni mortali, soprattutto se inseriti in strutture pubbliche, anzi tutt’altro, perché producono un nefasto risultato di inutile efficienza che, accorciando i tempi e facendo piazza pulita delle contorsioni della burocrazia, espongono il popolo a depressioni croniche dovute a un malcelato complesso di inferiorità che va ad aggravare la spesa sanitaria con ripercussioni irriferibili sulle casse dello Stato.
Inutile dire che stiamo parlando dell’Italia, una delle civiltà più antiche che, grazie alla lungimiranza dei suoi politici, anche per la loro origine assolutamente democratica, cioè non filtrata da meritocrazia -ovvio che una democrazia non puo soffrire nessuna dittatura, anche quella dei più bravi- ha superato ogni forma di discriminazione. Qualcuno chiama questo sistema quello della raccomandazione, ma il termine non gli rende giustizia, e noi, orgogliosamente, non ne possiamo fare più a meno. Forse per questo siamo tanto invidiati.
Renzi, Matteo, difende Renzi, Tiziano, a reti unificate. Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 14. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale, Regione Basilicata

Renzi in TV ha irriso il Fatto Quotidiano chiamandolo il Falso Quotidiano. Ha poi annunciato querele a iosa. Bene, bravo, che prova di forza. Non fosse che i fatti non riguardano lui ma il padre. Certo, i fatti hanno effetti, labili, anche su di lui, ma non e’ l’interessato, perbacco.
Cionondimeno Renzi, da cittadino semplice, ha il privilegio di difendere il padre attraverso lo strumento che entra nelle case di tutti gli italiani, e cioe’ la televisione.
Beato lui.
Quindi annuncia querele che suonano come avvisi a tutti i malintenzionati. Querele, beninteso, che dovrebbe sporgere il padre, non lui. Ma questo e’ un dettaglio, diamine; in Italia la famiglia e’ sacra, vietato toccare i genitori.
La premessa risulta addirittuta secondaria, il fatto cioe’ che in una informativa giudiziaria sia stato erroneamente fatto un nome anziche’ un altro. Errore riprovevole, non vi e’ dubbio, sul quale si indaghera’, ma, dicevo, la premessa e’ quasi irrilevante, anche perche’ non si sa quanto determinante ai fini delle indagini. Rimane l’avviso ai naviganti, si sentiva una volta per radio, avviso che suona sinistro: guai a toccare me o la mia famiglia, altrimenti ci arrabbiamo.
Ed ecco che il Fatto diventa il Falso, con una ingiuria bella e buona, mandata in onda in orario di punta.
Oltre ai fatti, squallidi, invero, rimane il clima di rissa alimentato da uno pseudo o gia’ o futuro statista. Per contorno, in TV, Renzi non aveva avversari, il contraddittorio e’ merce rara, la rissa e’ mediatica, non diretta.
Rimane lo sconcerto sulla circostanza che Renzi possa ancora tanto, in stile populista turbo GT, giacche’ se la prende con tutti, Europa inclusa.
Il clima invivibile che si respira in Italia e’ lo stesso che si vive all’interno del PD. Le primarie hanno creato vere e proprie battaglie che vanno dal nazionale, con la corsa alla segreteria, al rionale, passando per comuni e regioni.
Per esempio in Basilicata l’aria e’ fetida, gli avversari non solo si guardano in cagnesco, ma si rifilano colpi bassi con una buona dose di spregiudicatezza da far arrossire incalliti spacconi. Pittella sta provando a far fuori gli avversari di sempre che, per la verita’, sembrano spiazzati da cotanta verve agonistica. E dire che dovrebbero essere navigati, invece, li vediamo soccombere, salvo annunciare rese dei conti che non arrivano mai.
Non dimentichiamoci che il PD, primo partito in regione, non ha un segretario, sperimentando il sistema dell’anarchia piu’ audace. I capi corrente si sfidano, mostrando i loro impavidi eserciti, difendendo qualche postazione con miserabile e poco dignitosa taccagneria, anche dovessero affidarla a persona poco rappresentativa. Se pensano di poter conservare il consenso con questi metodi, possono stare freschi. La concorrenza ringrazia, ma non si evolve, mostrando superiore pigrizia e uguale insignificante reattivita’ alla realta’. Si’, solo il M5S sta su un altro binario e infatti gli italiani lo premiano. Mortifica e meraviglia la mancanza di sensibilita’ dei partiti vecchio stile, ma fin quando un gia’ premier e aspirante futuro premier andra’ in TV a difendere il padre, saremo sempre lontani dalla soglia minima della serieta’.
La voglia.
Posted on 14. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Racconti

Quando il Presidente annunciò la data del rinvio, il vecchio avvocato storse la bocca: chissà se camperò altri tre anni, si ripetè borbottando.
All’uscita dall’aula si chiese come avrebbe fatto a morire senza sapere come andava a finire la vicenda del suo fedele cliente: sarebbe morto con una voglia, come quando si nasce; la sua anima avrebbe portato un segno indelebile di questo suo desiderio. Si sorrise e fece ritorno a casa, sedette a tavola, si legò il tovagliolo attorno al collo e si tuffò in un piatto di spaghetti.
Basette lunghe alle siepi. Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 13. apr, 2017 by L.P. in Amenità, Città di Potenza

Una volta era usanza, in ogni famiglia, in primavera, fare grande pulizie nelle proprie case. Si sbattevano i materassi, quando non si lavava la lana che li riempiva, insomma grandi manovre che ora non usano più, non perché si viva nella sporcizia, solo che col progresso ecce cc., le pulizie si cerca di farle quotidianamente.
Al Comune di Potenza, invece, grande annuncio di concerto con l’Acta: al via le “Pulizie di Primavera”.
L’altisonanza, la magnificenza e l’eco avuta, fanno dell’evento annunciato qualcosa di epocale, avrebbe detto l’ex sindaco Santarsiero che con questo aggettivo aveva grande confidenza.
Essì, perché a Potenza non usavano più né le pulizie di primavera, né quelle quotidiane.
Quindi fiato alle trombe.
In ossequio a quelle forme di inglesismo che donano fascino anche al più banale peto, l’operazione è divisa in two fasi, quella grey e quella green.
Evidentemente la città ha accolto la notizia con la giusta indifferenza, sebbene una pulizia sia sempre cosa gradita. Ma, che volete farci, a veder erbacce ovunque, peraltro costellate di rifiuti, grazie anche alla solerte costante iniziativa della cittadinanza in questo molto attiva, ci avevamo fatto l’occhio. Sarà come vedere un barbone coi capelli corti e le guance rasate, insomma rischieremo di non riconoscere più Potenza.
Quello che fa piacere, comunque, è che finalmente ci sia resi conto che il letto si fa ogni mattina e non una volta alla settimana, per dire.
L’aspetto buffo è che si tratti addirittura di un progetto! Con la sua bella fase sperimentale, del tipo “beh!, vediamo come stiamo belli e puliti dopo tanti anni, che, se non ci piace, torniamo alle vecchie tradizioni”. La cittadinanza è chiamata a un momento di seria responsabilità, però: noi puliamo, ma vedete di non sporcare più di tanto”. Il monito suona imperioso e arriva minaccioso alle orecchie indolenti dei potentini, i quali ancora si esercitano nello sport del lancio della spazzatura, quando, per evitare di differenziare, si portano in macchina i sacchi per lanciarli dall’autovettura nel primo bidone acchiappatutto. Insomma lo spettacolo è generale.
A un’Acta che si sveglia seriamente intenzionata a pulire finalmente la città, e da ex consigliere di amministrazione dell’azienda assicuro non essere cosa facile, fa eco la potentinità residuale di tanti, ferocemente attaccati a una forma di vita selvaggia che, per cercare una motivazione a tanta indolenza, forse è più rassicurante, vallo a capire.
C’è anche un cronoprogramma, come è doveroso in un’epoca ancora tutto sommato renziana, con tanto di date per ogni zona interessata. Suscita consenso generale la scelta di, udite udite, spazzare e pulire cunette e caditoie, oltre che di diserbare i marciapiedi, cose che, vien da pensare, se non fossero state inserite in questo speciale programma, non sarebbero state fatte. Ma la ciliegina sulla torta è data dalla futura “sagomatura delle siepi”, roba che noi proprio non ce l’aspettavamo.
Sagoma per sagoma, si potrebbe pensare a sagomare, appunto, le siepi a forma di scritte, con gli slogan più in voga tipo “per il bene della città”, “u Putenz è semb nu squadron” oppure di qualche classico, come “fesso chi legge” e “tanti saluti alla signora”. Per dire, naturally.
Appaltare umanum est, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 12. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata

Il giorno in cui venissero a parlarmi di un appalto pulito in Italia spero che avrò a disposizione i sali per potermi riprendere in tempo reale e gioire.
A oggi, non mi è mai capitato.
Il risultato non cambia se si parla di concorsi.
L’appalto e il concorso pubblico, infatti, sono gli strumenti della moderna democrazia per poter perpetuare il potere. Utilizzati per bene garantiscono longevità politica, rispetto generale e scappellamenti vari con annessi saluti alla signora a ogni passo.
Col concorso pubblico di sistemano le future pedine, chè possono sempre servire, oltre a garantirsi il voto fino a fine carriera. Si sa, un posto è per la vita, quindi garantirne uno significa gratitudine fino a quando si ha una esposizione pubblica. In tempi di crisi, col concorso si pensa bene di sistemare innanzitutto la propria famiglia, annessi e connessi inclusi, generi, nuore e cugini di primo grado di questi ultimi, insomma fino a non averne più bisogno. Gli appetiti, poi, crescono, e ai più vicini congiunti si cerca di garantire il meglio, mentre il posto da custode o nella polizia privata al compariello o al figlio del compariello.
Con l’appalto le cose cambiano, perché si guadagna e non il pane quotidiano come col posto di lavoro di cui al concorso, bensì danaro che può essere reinvestito. Quindi c’è spazio pure per la mancia. Se qualcuno a questo punto dovesse inorridire ed esclamare “Non è vero!”, basterà mostrargli una copia di un qualsiasi quotidiano alla pagine della cronaca giudiziaria.
Bisogna poi tener conto che, agli onori della cronaca, finiscono solo gli atti di corruttela scoperti, quindi dato il grado di omertà che ci contraddistingue, potrebbero essere stimati, gli appalti truccati scoperti, in una percentuale che varia dallo 0 virgola allo 0 virgola 0 e centesimi.
Una volta sentii dire da un uomo di mondo che sarebbe fesso chi non ne dovesse approfittare, col che questi espresse un concetto di uso comune, che fa il paio con quell’altro che trova ovvio, scontato e addirittura logico che degli appalti se ne faccia un uso di questo tipo, perché se non lo fai, la gente ti volta le spalle e non ti vota più, facendo così un favore agli avversari che tornerebbero alle gestioni cosiddette intelligenti.
Insomma saremmo proprio inguaribili.
Un’altra volta un saggio dell’italianità disse che i concorsi abilitativi, per esempio, dovrebbero vincerli i bravi e i raccomandati, concedendo, in tal modo, una giustizia sostanziale di ripiego che, almeno, garantiva i bravi, appunto. Oggi, in tempo di crisi, immagino cominci a esserci davvero poco spazio per i bravi, anche perché i raccomandati crescono, vista la fame di consenso che c’è in giro. Ma non dobbiamo farcene un cruccio, del resto per i migliori c’è sempre spazio altrove, dove potranno anche apprezzare i nostri meriti, pfui.
E così prendiamo due piccioni con una fava, sistemando l’ignorante raccomandato e spedendo a fare fortuna fuori il bravo. Quando si dice la programmazione.
Se si debellasse la corruzione pare si risparmierebbero miliardi che, però, troverebbero una redistribuzione iniqua, perché semmai paritaria. Quindi: no, grazie, a noi piace così.
Drive slow, editoriale del Roma Cronache Lucane.
Posted on 07. apr, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata

Ponte tibetano e volo dell’angelo da un lato, mulattiere per superstrade, treni alla velocità di un 50 cc, dall’altro.
Le due facce della Basilicata. Entrambe per avventurosi sprezzanti del pericolo, intemerati oppositori della facile modernità, fatta di strade dritte a scorrimento veloce. “Drive slow”, questo lo slogan per la nostra regione che pretende lentezza, coraggio e cuore d’atleta.
I due volti della regione più “appetroliata” d’Italia –ognuno è libero di dare il significato che vuole al termine dialettale “appetroliare-rsi”- hanno radici diverse, però.
Il primo, quello del volo dell’angelo e del ponte tibetano, per intenderci, nasce dall’esigenza di sfruttare le meraviglie lucane in termini turistici con infrastrutture che si integrino col paesaggio da ogni punto di vista. Il secondo nasce probabilmente dall’esigenza di rendere inaccessibili quegli stessi posti di cui sopra resi più godibili dalle opere realizzate.
Una sorta di preparazione all’evento avventuroso: vuoi mettere arrivare a Sasso di Castalda col fiatone, impolverato, stanco ma felice di aver superato la prima prova e ansioso di immergerti nella vera avventura, quindi preparato fisicamente e psicologicamente?
Così sarebbe una autentica americanata poter arrivare al trampolino del Volo dell’Angelo dopo aver percorso una facile autostrada, dritta da annoiarti, senza una buca, perfetta e poi giocare a fare l’eroe. Eh no!, troppo facile, roba per americani, appunto. E noi non lo siamo, siamo, invece, orgogliosi montanari che solo a fatica e con mille rammarichi hanno abbandonato l’asino per la Vespa e poi per la Panda, che ora, di fronte alle dimissioni ufficiali presentata dalla Basentana, gioiscono come se un ministro indagato per corruzione facesse un passo in dietro. In fondo, diciamocelo, la Basentana è brutta. Quei pilastri che cozzano con la selvaggia natura, che non si sono mai perfettamente integrati col tessuto del territorio, che hanno isolato fior di centri lucani, una volta dolce meta per acquisti di nicchia o per un buon caffè, quando arrivare anche a Salerno era un viaggio serio, ebbene quei pilastri andrebbero abbattuti! Una volta per tutte. Proviamo a essere coerenti. Ci abbiamo provato a scimmiottare le altre regioni e non ci siamo riusciti. Volevamo essere come gli altri, ma non è roba per noi.
Creiamo, quindi, una dimensione “medievale” della Basilicata.
Avvisaglie di questa rinascita selvaggia lucana c’erano già tutte e da tempo. Non era, infatti, casuale quel pervicace rifiuto di leggere le Pec da parte del Comune di Potenza, ma una strategia inserita nel più ambizioso progetto di ritornare indietro nel tempo. Se la banda larga non è diffusa per il territorio nostrano, non è per la superficiale goffaggine di chi ci amministra, bensì la scrupolosa manovra di chi vuole salvarci dalla modernità. E quel perdurante quotidiano rifiuto di utilizzare il Ponte attrezzato, come lo si può giustificare se non con il desiderio di dire “no, grazie” a chi ha fatto della vita un perenne fast food?
E, infine, la nostra democrazia, quella praticata ogni giorno, non è più simile alla civiltà feudale, dove quelli che chiamiamo ipocritamente diritti non sono altro che concessioni del potere?
E allora basta a chiacchiericci e da oggi in poi, sia chiaro “DRIVE SLOW”!
l’Alfanismo, dialoghi telefonici intercettati.
Posted on 06. apr, 2017 by L.P. in Amenità, Argomenti, Politica nazionale

-Matteo, non scherzare, io non c’entro niente. Devi credermi …. ok ….. ok ….. sì, lo giuro. Lo giuro sulla Costituzione, va bene? Non ti va bene neanche questo. Ok lo giuro su San Biagione, il patrono delle poltrone, ok? Certo …. dimmi quello che posso fare….. ok, chiederò le dimissioni del presidente di commissione nominato …… sì, così gliela facciamo vedere a tutta l’accozzaglia, sì …… se non accetta …….. beh e che posso farci io ……. ah, in questo caso mi dimetto io? …….. Matteo, non scherziamo, no, non posso dirti di sì ……. non è per me, tu lo sai quanto sia disinteressato, ma ho la responsabilità di un partito, perbacco, …… quale partito? Beh, ora mi offendi, ok … offeso, l’hai voluto tu. Arrivederci.
-Paolo? Tutto a posto. E’ incazzato, ma gli passerà.
Emilio Colombo, statista lucano alla lucana, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 06. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Città di Potenza, Politica nazionale, Regione Basilicata, Società e costume

Si può dare, oggi, un giudizio storico sulla vita politica di Emilio Colombo?
I tempi dovrebbero essere maturi e il giudizio non risulterebbe oltremodo affrettato.
Indiscutibilmente in tanti hanno già maturato un’idea orgogliosa e positiva dell’operato di Colombo, ma l’impressione è che ci si sia basati più sul numero degli incarichi rivestiti che sul merito della sua attività.
Non intendo discutere o entrare in polemica con chi ritiene sia stato uno statista; d’altronde il titolo di statista oggi si spreca davvero, quindi figuriamoci se non tocchi anche a chi, comunque, ha rappresentato l’Italia per decenni a vario titolo, con quella fungibilità di ruoli propria dell’Italia democristiana.
Vorrei, piuttosto, parlarne in relazione all’attenzione che ebbe per la sua terra, ai benefici che le arrecò, ai vantaggi che ancora oggi godiamo in virtù del suo interessamento.
Non v’è dubbio che un esercito di fortunati oggi lavora, o è in pensione, grazie al suo intervento. La fila che si creava davanti casa sua a Potenza, quando periodicamente faceva ritorno, era proverbiale, tutti a chiedere una cortesia, un favore, un posto di lavoro.
Da questo punto di vista, perbacco, ha fatto tanto, anche se è discutibile che sia stato qualcosa di giusto: una raccomandazione se è per tutti, può anche avere profili di liceità, se è solo per parte del tutto è un favoritismo bello e buono, una sconcezza, un insulto alla meritocrazia.
Anche perché o ci si inchinava alla regale potenza del ministro, o difficilmente qualcuno ti calcolava, e questo, in una democrazia, non è bello.
Rimane l’altro punto di vista. Cosa fece Colombo per la sua terra?
A vedere il risultato finale poco o nulla. Non abbiamo né strade, né treni, né un aeroporto, né altre infrastrutture. Perbacco, chi è venuto dopo di lui, meno titolato di sicuro, non ha migliorato il trend, ma questo non toglie che Colombo ha lasciato una Basilicata frustrata, con le gomme a terra. Dice “ma non sarà certo colpa sua”; vero, ma si discuteva di altro e cioè dell’influenza che può avere un uomo politico importante per lo sviluppo della terra che lo sostiene coi suoi voti. Ecco, argomentando a contrario dalla logica usata nel campo delle raccomandazioni, bisogna dire che Colombo non ci ha favoriti, ma, se vogliamo, di questo possiamo essergli grati, perché non siamo stati dei privilegiati, dei raccomandati, come regione, beninteso, quindi il suo è stato un comportamento equanime, dai, diciamola tutta, da vero statista. Quindi possiamo esserne fieri, salva l’eccezione di cui prima.
Quindi va bene intitolargli una via nella sua città magari con tanto di motivazione, del tipo “Vero uomo di governo, non favorì la sua terra ma guardò al paese con occhio equanime, lasciando che la Basilicata ci provasse da sola, purtroppo non riuscendoci. Ebbe a cuore il suo elettorato e, per quanto gli fu possibile, provò a dargli una mano, almeno fino a quando potè esercitare influenza. Lasciò, dopo decenni di governo, povertà in Basilicata, come l’aveva trovata, povertà che, ancora oggi, è la testimonianza della sua visione statale, giammai provinciale, della sua attività politica. La fila davanti casa sua si diradò col tempo, in maniera inversamente proporzionale alla sua influenza, a testimonianza che la gratitudine ancora non ha cittadinanza in questa terra montuosa, impervia, bella ma amara. Ma una terra che adesso prova ad avere almeno memoria”.
Pittella Renziano, editoriale Roma Cronache Lucane
Posted on 05. apr, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Regione Basilicata

La domanda è: ma conviene ancora essere renziani?
Secondo logica, del tipo se uno più uno fa due, sembrerebbe proprio di no.
Eppure.
Le votazioni che si stanno facendo sezione per sezione danno in grande spolvero l’ex premier, ragion per cui la logica di cui sopra non è di uso comune. In politica ne esisterà un’altra.
Difatti se un Pittella governatore del Texas italiano, sebbene non circolino ancora dalle nostre parti spider con le corna sul cofano, né il nostro governatore pensi mai di rovinare l’acconciatura “effetto bagnato da gel” con un bianco cappellone a larghe falde, si dichiara renziano, ebbene un motivo ci dovrà pur essere.
E se renziani sono in tanti, in Basilicata, vuol dire che Renzi conta ancora davvero tanto.
Insomma, a meno che non abbiano sbagliato anche i calcoli più elementari, in tanti già se lo vedono segretario, ma soprattutto futuro premier. E ancor di più in tanti si vedono ministri e sottosegretari. Anomalia Bubbico a parte (sottosegretario fuoriuscito dal PD ma non dal governo) sono in molti a coltivare speranze sulla base di una fedeltà più o meno assoluta e certificata da primarie da KO per ogni avversario.
Invero più di qualche calcolo di recente è stato sbagliato dalle parti del PD, vedi referendum, ma la combriccola procede come se niente fosse successo, come se gli italiani quel voto lo abbiano dato per errore. Bontà loro.
Ma dicevamo di Pittella renziano. Ecco io mi chiedo, ma che bisogno ha un governatore di schierarsi con chi, in Basilicata, di referendum ne ha persi due, non è dato capire.
Renzi sta alla Basilicata come De Laurentis alla Juventus, cioè se non nemici, quantomeno acerrimi avversari. Quindi schierarsi con Renzi significa avallare politiche di sfruttamento del nostro sottoterra a tutto tondo, in barba anche alla convenienza più ruffiana, ben in uso da altre parti del PD.
Il risultato è che Pittella sembra diventato il primo nemico della Basilicata.
Schiera un Arpa spuntata, perché senza soldi, uomini e accreditamenti, al suo fianco, quasi fosse un’armata contro chi volesse solo ipotizzare uno sfruttamento illecito, e, nei fatti, attraverso anche altri minori interpreti del suo pensiero, avalla ogni forma di sfruttamento del territorio.
Ora non è che le estrazioni debbano essere combattute pregiudizialmente, ma uno strumento per tranquillizzare tutti se lo possono inventare o noi si deve sempre avere un comportamento solo fideistico nonostante fiammate, macchie, sversamenti e processi giudiziari?
Pittella è un uomo che si mostra sempre molto sicuro di sé, zeppo di certezze, ma non basta. Anche Renzi si mostrava così e non gli è bastato. Io ho spesso accomunato i due politici anche per scimmiottamenti comportamentali e addirittura per un modo di presentarsi in pubblico uguale, tipo camicia bianca e microfono in mano. Per la verità già praticato da Obama. Beh, scimmiottamento per scimmiottamento, non vorrei che, a cascata, dalla sconfitta dell’originale (Obama) e da quella immediatamente successiva della prima imitazione (Renzi) non arrivi anche quella della imitazione della imitazione.
Del resto può mai una imitazione riuscire meglio dell’originale? E a maggior ragione l’imitazione della imitazione?
L’Orlando molto poco furioso. Editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 04. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Diritto e giustizia, Politica nazionale

Il ministro Orlando si e’ candidato alla segreteria del PD dall’alto del suo rapporto di fiducia con l’ex premier Renzi. Renzi lo scelse per riformare definitivamente la giustizia, si’, quel trabiccolo che si barcamena fra una prescrizione e un arresto cautelare, con contorno di processi civili lunghi e costosi. Orlando e’ stato confermato da Gentiloni, chissa’ se per rispetto o sottomissione a Renzi, per mancanza di alternative, per pigrizia o per ponderata decisione.
Orlando ora si candida in alternativa a Renzi. Facile pensare che sia una strategia per polarizzare parte dell’opposizione all’ex premier e nulla piu’. Ma potrebbe anche darsi che il ministro e’ cresciuto e da signor quasi nessuno, passando per una riforma solo annunciata della giustizia, sia pervenuto alla convinzione di poter guidare il secondo partito italiano.
Il suo curriculum, beninteso privo di laurea, ma di questi tempi una laurea e’ scomoda, inutile (meglio andare a zappare si diceva una volta), ma soprattutto sempre al vaglio di malpensanti che sono sempre al lavoro come i becchini, prevede appunto un bel fallimento nella riforma della giustizia. Non gli sono bastati circa quattro anni per rivoluzionare, alla Renzi, il pianeta piu’ machiavellico della nazione. Le soluzioni fin qui maturate trovano il disappunto dei magistrati; il che potrebbe anche essere secondario, visto quali sono i criteri adottati dalla prestigiosa categoria. Il problema e’ che la riforma e’ ferraginosa e melmosa. Sembra, come troppo spesso capita ai nostri politici, guardare al presente e non ai prossimi venti anni, come una riforma necessariamente dovrebbe.
Le linee guida sono dettate dalla cronaca giudiziaria quotidiana o degli ultimi anni, dalle polemiche correnti. Nascono, quindi, con un requisito sbagliato, cioe’ quello di non darla vinta a qualcuno, sottrarre strumenti processuali oggi molto in voga, ovvero condizionare un potere dello Stato. Una riforma dovrebbe essere altro, guardare molto lontano, basarsi su principi giuridici fondanti, laddove esistenti, risolvere preventivamente questioni costituzionali, avere un obiettivo di efficienza, giustizia e massimo diritto di difesa. Presuppone una scelta metodologica basata su fondamenta giuridiche solide. Insomma ci devono lavorare prima giuristi, fior di giuristi, e poi i politici, e anche in questo caso dovrebbe trattarsi di fior di politici, non gli ex portaborse che, dopo una onorata carriera da autisti qualificati, oggi occupano le aule del parlamento, salve le poche eccezioni, ovvio.
A ogni modo, in queste occasioni si palesa il deficit democratico italiano. Al popolo e’ sottratta qualsiasi decisione, perche’ dovremmo avere i nostri rappresentanti che le prendono per noi. Costoro, in Parlamento, devono votare o meno una fiducia, coi ricatti che questa comporta e senza dibattito alcuno, quindi, con buona pace dei doveri di rappresentanza nei nostri confronti, la cosiddetta riforma compete a pochissime persone le cui qualita’ di riformatori vengono bocciate metodicamente dalla Corte Costituzionale o dal Consiglio di Stato. Insomma, poteva andarci meglio. Intanto la giustizia fa acqua da tutte le parti e il restauratore Orlando vola verso alte mete politiche che, stanti i risultati del suo lavoro, ha poche chances di raggiungere.
Vabbe’, andra’ meglio alla prossima tornata. Affidiamoci a Dio, o al caso, e non se ne parli piu’.
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