Buongiorno vorrei un loculo. Fanno 5.000.
Posted on 29. nov, 2017 by L.P. in Città di Potenza

Generalizzare non è giusto, ma aiuta.
Ecco, quindi proviamo a generalizzare. Se in un Comune, per anni, si fa compravendita illecita di loculi e nessuno se ne accorge, ovvero nessuno denuncia, ovvero ancora qualcuno subodora ma non viene servito a domicilio con tanto di nomi , cognomi e fototessera, quindi tollera col dubbio che si possa delinquere, cos’altro accadrà mai al Comune di Potenza?
Ma figurati! E che diamine, ci vogliono le prove! Le hai? Allora fammi il piacere di non generalizzare.
Va bene allora rimaniamo ai fatti.
Si legge sui giornali che il Gip ha motivato il suo provvedimento cautelare sulla circostanza che il sistema cimiteriale potentino andava avanti da anni. Orbene, ma gli assessori, i sindaci e tutti i controllori o presunti tali davvero non sono capaci di bonificare gli uffici marci?
E’ tanto difficile? E se hanno dei sospetti perché non si fanno aiutare dalle Autorità a tanto deputate?
“E’ vero che ogni tanto si vociferava di affari loschi all’interno del cimitero, ma nessuno mi ha portato fatti per quanto li abbia chiesti”, ha dichiarato il Sindaco, come riferisce un quotidiano locale.
Quindi c’erano sospetti ma non si denunciava. Peccato. Abbiamo una Procura apposta per indagare.
Quindi, vogliamo provare a generalizzare?
Non se ne parla proprio!
Ok, buon loculo a tutti.
Il vero miracolo italiano
Posted on 27. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
L’Italia ha paga da caporale e vizi da generale, da sempre.
Pensate quanti lussi si permette.
Tanto per cominciare un Berlusconi che discetta sulle cose da fare e che non ha mai fatto in tanti anni di governo. Un uomo di ottanta e passa anni, pluricondannato, che non solo rischia di governarci di nuovo, ma che è acclamato da una fetta di italiani, quasi fosse un eroe.
O pensate a un parlamento totalmente inutile che non fa leggi, ma alza una mano o pigia un tasto elettronico a comando.
O pensate all’esercito di amministratori corrotti che ci rubano tanti di quei soldi coi quali fare la spesa.
O pensate a quel gruppo di politici che si proclamano di sinistra dopo aver votato l’invotabile con Renzi e che ora prendono le distanze con la certezza di essere credibili.
O pensate a quei giovani avventurieri in giacca e cravatta che scimmiottano i più famosi politici facendosi riprendere in giro per l’Italia nella più antica attività dei politici, cioè quella di promettere l’impossibile.
Ma noi italiani non siamo stanchi di tutto questo, anzi ne vogliamo di più.
Sono lussi che, in fondo, siamo abituati a pagare, offrendo la nostra dignità e il nostro portafogli con l’illusione che un giorno possa toccare a noi di avere il giusto politico che ci spiana la strada.
Conserviamo l’umiltà del suddito non avendo ancora consapevolezza dei diritti di cittadinanza che ci competono.
Ma vuoi mettere il piacere di poter ostentare i nostri viziosi lussi?
Un Berlusconi che promette l’eternità, quasi fosse una condanna, è un diamante da esporre sul bavero della giacca quotidianamente, cioè una inutile e costosissima esibizione e così tutti gli altri, già menzionati di sopra.
Come quando si hanno i buchi nelle scarpe ma non si rinuncia al prosecco per aperitivo.
Il fatto è che di essere veri cittadini non ne abbiamo voglia. Ci opprimono gli oneri prima di essere gratificati dagli onori. Fra una città sporca e senza fastidi di differenziare, e una città pulita che ci vede protagonisti in prima persona, preferiamo la prima. Ci piace poltrire, anche se maltrattati, discutere al bar più che impegnarci.
Certo, poi non ci facciamo mancare l’indignazione per quei fatti di cronaca che ci scorrono davanti, ma non alzeremmo mai seriamente un dito per impedirli.
La nostra è una esistenza di facciata, siamo nell’infanzia della civiltà, ai primordi della democrazia, agli albori della responsabilità, e siamo nel ventunesimo secolo.
Ma tiriamo a campare, con i bulli che si contendono il governo (erano due e ora sono tre) e la Ferrari che arriva sempre seconda, la Juve che sbatte di fronte all’Europa e le monetine che preferiscono Amsterdam a Milano.
Non so cosa ci tenga in piedi, di sicuro non noi stessi. E questo è forse il vero miracolo italiano.
Il fascino del processo penale
Posted on 22. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Oggi si è celebrata una udienza penale dalla quale non è uscita una sentenza. Quasi un record.
Per la verità non si è ascoltato neanche un teste o fatto altro che avesse un significato serio.
Si chiamavano le cause, si ripetevano sempre le stesse formule, da parte di un giudice che le ripeteva a memoria, e si rinviavano i processi.
Uno spettacolo inguardabile e anche noioso e c’è gente, tipo me, che se l’è sorbito dalle nove e trenta alle tredici e quarantacinque.
Una goduria, roba che fare l’avvocato manco morto, a saperlo prima.
Ma è la giustizia e c’è pure qualcuno che a questo teatro ha partecipato con tanto di toga, perché non si confondesse un avvocato con un perdigiorno, quasi oggi ci fosse differenza.
Mi fossi laureato perdigiorno, oggi avrei svolto una prestazione impeccabile. Il Muppet Show al processo penale all’italiana gli fa un baffo.
Il sogno di Gigio Gigi, mancato campione di calcio.
Posted on 19. nov, 2017 by L.P. in Argomenti

Mamma che sogno, stanotte.
Ero un calciatore e finalmente avrei giocato la mia prima partita. Ma non ero un ragazzo, no, ero quello che sono, un uomo attempato coi capelli bianchi, ma era giunto il mio momento.
L’allenatore mi dice di scaldarmi, tocca a me.
Io comincio a correre, saltellare, ma sento già la fatica, diamine, penso nel sogno, ma come fanno a fare riscaldamenti che durano un’ora senza poi farsi ricoverare? E invece quelli lì, i giocatori veri, miei nuovi colleghi, è dopo che cominciano a correre.
Vabbè, tocca a me, dio mio che bella maglietta e che pubblico. Ma ecco l’imprevisto, sono senza scarpette, scalzo. Corro a prenderle nello spogliatoio, ma non le trovo, o forse sì, eccole, ma sono in alto sullo scaffale, prendo una scala, ma, che ansia, farò a tempo a entrare?
La partita continua, non avranno mandato un altro in campo per me?
Dai ne ho messa una, ma l’altra non vuole entrare, intanto loro continuano a giocare, ma ci sono, torno in campo, ecco, però, il cancello è chiuso, grido e me lo aprono, ma come non sanno chi sono? Devo entrare in campo, diamine, c’era il cartello alzato, col mio numero. Corro, ma la pista è sempre più lunga e ho l’affanno, vedo la panchina, dai arrivo, devo dribblare raccattapalle, guardalinee, addetti vari, ma quanta gente c’è?, e il tempo passa, su, non posso perdere l’occasione della vita. Mamma che ansia. Ansia che basta a svegliarmi senza che abbia toccato palla.
Figuriamoci se giocavo. Seppur in sogno.
Vabbè sarà per il prossimo sogno. Forse fra un mese o dieci anni. L’ultima volta che ho sfiorato il campo da gioco con una vera maglietta in un vero stadio è stato in un sogno di circa cinque anni fa.
Esiste una interpretazione possibile senza scomodare testi sacri, psichiatri o altri specialisti, che magari riveli che mi si prospetta un futuro radioso, un successo imminente, salute e soldi?
No?
Meglio così. Altrimenti domani ero già in fila per un provino.
Giustizia sommaria a pranzo e cena
Posted on 18. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
La giustizia sommaria è sempre esistita ed è praticata da chiunque. Non bisogna essere alti magistrati e neanche magistrati onorari; non è necessario avere conoscenze giuridiche o particolare spessore morale; non è neanche da malvagi o sanguinari, ma è praticata da gente normale, laboriosa, pacifica.
Questa gente, evidentemente, visto che la giustizia sommaria esiste da sempre, dai roghi delle streghe a tornare indietro e venire avanti fino ai nostri giorni, dopo i sacrifici quotidiani, le ansie, le fatiche, l’obbedienza a un sistema che la stritola, poi, alla fine, ha bisogno di dare sfogo a un sentimento primitivo che cova dentro e che si libera in un momento, forse catartico, nel quale da umile lavoratore o da singolo cittadino, diventa giudice, arbitro delle sorti altrui.
La giustizia sommaria si pratica in gruppo, anche se dalle piazze di una volta, quando si eseguiva una pena capitale, si è passati al salotto di casa davanti a un televisore, o a un salotto televisivo direttamente, e anche se non c’è più spargimento di sangue.
E’ di questi giorni la condanna a quel personaggio di Tavecchio, di Ventura, ma anche del presunto mafioso Spada o dell’ormai defunto mafioso Riina.
Tutti a mostrare il pollice verso, per qualsiasi motivo, imputazione o accadimento, anche da parte di chi sa poco e nulla dei personaggi o dei fatti da condannare.
La giustizia sommaria si dà per sentito dire, seguendo l’umore generale, tutti giudici severi, per una volta, molto poco cristianamente, per la verità, ma sembra una necessità assoluta della quale una società non può fare senza.
Potrebbe anche essere considerata una festa e per taluni lo è o lo è stata, non facesse danni irreparabili.
Il fenomeno, poi, si acuisce, quando la giustizia sommaria viene guidata da esperti in comunicazione i quali si prefiggono un obiettivo e lo perseguono scientificamente.
Penso ai più acclamati talk show dove l’imputato, ingenuamente offertosi, pensando a un processo televisivo quantomeno paritetico, viene accerchiato e fustigato da impertinenti e una volta tanto coraggiosi soloni che discettano delle umane vicende con supposta divina sapienza.
Io li trovo un segno di inciviltà.
Li mascherano da cosiddette inchieste, ma tali non sono, perchè una inchiesta non parte per condannare o per assolvere, ma soltanto per preparare un giudizio, dando modo alla controparte di poter fare altrettanto.
In TV si passa dalla inchiesta alla imputazione alla sentenza, che, si badi bene, non viene pronunciata, ma solo subliminalmente e seccamente diffusa, inoculata, regalata a beneficio di chi, oggi spettatore, fino a ieri non gliene fregava niente o che semmai si era fatta tutt’altra idea.
Il bello è che il legislatore si sta adeguando e i processi veri sono sempre più una farsa che, con la verità, hanno in comune soltanto il frontespizio.
Ma se giustizia sommaria deve essere allora lo sia per tutto e tutti:
cari talk show fate tutti schifo, siete tendenziosi, inutili e provocatori, di parte in maniera spudorata, democratici solo di facciata, equi manco a pensarci. Siete come le arene di una volta. Mostrate il sangue dei vinti e la gente applaude felice per poi tornare alle ingiustizie di ogni giorno. Mai coi vinti ma sempre coi vincitori.
Vengo con questa mia …..
Posted on 17. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Vengo con questa mia a rappresentare i segni della mia stima a chi, come Malagò, predica di dimissioni per gli altri senza immaginarle per se stesso.
Insomma, mi piace così. Col dito puntato sempre verso gli altri, che goduria.
Ego mi absolvo, col che elimino ogni trave dai miei occhi e posso dedicarmi a travi e pagliuzze degli altri.
Ma io non ho travi nè pagliuzze nei miei occhi, potrebbe protestare il bello dello sport in giacca e cravatta. Può essere, non lo nego, anche se, a occhio e croce, non mi sembrerebbe, vista la situazione italica sullo sport in genere, soprattutto per le giovani leve alle quali hanno levato i cortili senza restituire campi di gioco e palestre.
Ma c’è Lotti che pure non le manda a dire, eheh. Che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Sarà, ma detto da un bambino dai riccioli d’oro schiacciati dal cuscino e così conservati, anche per le telecamere, non sembra credibile. Anche perché mi piacerebbe studiare il suo personale curriculum, nel quale, forse, oltre all’amicizia con Renzi, non si trova altro, tranne, immagino, una sconfinata passione per i fumetti.
Quindi il buon Tavecchio resta in sella, beato lui e Ventura, per aver fatto lo sconcio che ha fatto, prenderà un botto di soldi anziché restituirli.
Tutto a posto, quindi, perché ora arriva Ancelotti. Perfetto. Costruirà la squadra del futuro, per ora gustiamoci la Svezia-Sarnese ai mondiali.
AntonMaria Ubaldo De Cristofaro, professore emerito eccetera.
Posted on 17. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
“Discutiamone”, acconsentì benignamente il dottor AntonMaria Ubaldo de Cristofaro, professore emerito della Facoltà di medicina all’Università Fate Bene Fratelli di Mantova, nonchè proConsole Italiano presso l’ambasciata del Lussemburgo, Conte della Val Prenosta, Cavaliere del Lavoro, Commendatore e medaglia al valor militare.
Il giovane Fernando Scapoloni intravide una via d’uscita dignitosa e si apprestò a raccontare i fatti secondo la sua versione, che corrispondeva, invero, alla realtà dei fatti così come accaduti nel lontano novembre di un 1963 funestato da piogge torrenziali e vento d’uragano.
“Non ho molto tempo, però”, soggiunse il professor emerito eccetera, “quindi proverà a contenere il suo racconto in tempi, diciamo, europei, come si dirà fra qualche decennio, oso prevedere, che indico in cinque minuti, meglio un secondo in meno che non in più.”
Il professore emerito eccetera quindi poggiò le spalle alla poltrona, incrociò le gambe e si predispose all’ascolto col ghigno beffardo di chi mostra apertamente di non aver voglia di sentire ragioni.
Fernando Scapoloni, che aveva avuto un rigurgito di speranza, si abbattè di colpo, intravedendo l’inutilità di ogni spiegazione. Quindi assunse una decisione, che di lì a qualche anno avrebbe definito epica, e, richiusa la borsa che aveva appena aperto per estrarne delle carte utili al racconto, si alzò con voluta lentezza e, godendosi il panorama della sorpresa disegnata sul volto del dott. AntonMaria Ubaldo de Cristofaro, professore emerito eccetera, gli sussurrò con voluta sensualità “professore?” e, alla faccia interrogativa del dottor AntonMaria Ubaldo de Cristofaro rivolse una sonora, pimpante, irriguardosa, veemente pernacchia.
Seguirono urla indignate, l’arrivo di due gendarmi, interrogatori e verbali che, però, nessuno ebbe intenzione di registrare. Si ricorda solo che il professore emerito eccetera fu colto da malore e il giovane non continuò gli studi.
Più di qualche enigma accompagna il racconto di Mario Scaldaferro (1952-1979), novelliere della bassa friulana, per esempio di cosa fosse accusato il giovane e quale ruolo rivestisse il professore emerito eccetera nell’occasione.
Evidente è il contesto ironico di una istituzione (ma quale poi?) volutamente tenuta nascosta al lettore, all’alba della nascita della burocrazia più aggressiva che poi sconvolgerà l’intero paese fino al parossismo della stagione delle riforme delle riforme delle riforme che mai riformarono ma piuttosto portarono il paese sul lastrico, economico e morale.
L’autore visse chiuso in se stesso, al riparo dalle istituzioni, che ebbe modo di dichiarare ufficialmente, riteneva pari a “latrine putride al pari variamente frequentate”, esagerando di sicuro, ma prefigurando la stagione della corruzione ben nota al lettore.
Morì, ironia della sorte, sotto la Prefettura della sua città per l’accidentale caduta di una tegola che, riferiscono i pettegoli, volle centrarlo in fronte per evitargli un penoso processo per comportamento anarcoide.
In onore dello scrittore esiste ancora un circolo culturale che porta il suo nome, guardato a vista dalla pubblica sicurezza, per tutto il giorno e la notte, benchè sia frequentato solo da un gruppetto di ottantenni dediti solo alla chiacchiera spensierata attorno a un fiasco di vino.
Il trionfo del cazzeggio, di Mario d’Ecclesiis
Posted on 17. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Il cazzeggio, di nobili natali , perché discendente diretto dell’otium
(celebrato da Virgilio nelle Bucoliche…o Meliboe, deus nobis haec otia
fecit) si è evoluto sino a diventare strumento di selezione sociale. Mi
spiego: gli stoici definivano l’ozio padre dei vizi. Ai bimbi era
consigliata la paradigmatica lettura di Pinocchio, nel quale Geppetto e la
Fata Turchina lo invitavano a studiare, ma lui indulgeva nel cazzeggio,
tanto da preferire, con Lucignolo, il Paese dei Balocchi, diventando un
asinello, destinato a subire la malasorte di un animale “servile”, fatta di
botte ed umiliazioni.
Tutte stronzate!
Il cazzeggio è la sublimazione di un animo sereno, senza pensieri e
dedicato a piacevoli passatempi, passeggiate, discussioni sul calcio. E
attraverso quest’esercizio spirituale e contemplativo, lontano da quei
fastidiosi ed ingombranti libri scolastici ed universitari, che si può
ambire e ricoprire ruoli apicali. Che so: puoi diventare ministro,
consigliere regionale, segretario regionale di un partito, esperto di
stracazzo, ecc., realizzando il sogno di tutti i veri cazzeggiatori doc:
avere sulla propria carta di identità, alla voce professione, la
prestigiosissima qualifica di “Fancazzista” e la soddisfazione di essere un
asino a cavallo!
(Mario d’Ecclesiis)
Un chiodo fisso
Posted on 16. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
In questi giorni ho un chiodo fisso.
Sono tormentato dall’idea che i politici e quelli nominati dai politici in giro per le amministrazioni, non sappiano neppure da dove si cominci.
Penso ai giudici onorari, che decidono più del 50% del contenzioso e che vengono selezionati col sistema di chi si presenta volontario è il benvenuto, e mi faccio una idea di come vada avanti l’Italia.
Penso ai presidenti degli enti di nomina politica, agli assessori, talvolta indicati da una corrente di un partito e scelti per rapporti personali, ai sottosegretari e agli avvocati di partiti e sindacati e patronati. Nessuno ha meriti diversi da quelli dell’appartenenza.
Di modo che è la mediocrità, se non l’ignoranza, a fare ufficiale ingresso negli affari, nelle relazioni economiche e in quelle politiche.
Quindi l’inciso iniziale “ma se questi non sanno neanche da dove si comincia”.
Eppure ce li dobbiamo tenere e subire le loro traballanti e spocchiose decisioni, basate sul sentito dire o suggerite da altri, o adottate col sistema della simpatia, dell’amicizia o del tiro a sorte.
L’approssimazione fatta metodo, la sapienza orecchiata e il merito sepolto.
Quindi alcuna sorpresa per un ministro della giustizia senza un titolo di studio e un ministro allo studio che non ha studiato affatto.
Il miglior titolo è non sapere niente e non aver fatto niente nella vita, limpidi, vuoti, come una lavagna pulita dove altri possano scrivere quello che si vuole, imboccando un discorso, suggerendo un provvedimento, imponendo una scelta.
Geniale.
Laureato ragioniere.
Posted on 16. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Il ministro Orlando, forte del suo diploma al liceo scientifico, che, insomma, è sempre un fior di titolo (poi qualcuno mi spiegherà la meraviglia degli americani sulla mancanza di titoli di studio di Di Maio quando alcuna piega fanno verso i nostri ministri diplomati) sta riformando la giustizia con la stessa accattivante sapienza che io potrei avere nel rimettermi a posto l’armadio.
Spazio ai giudici onorari, scelti con criteri basati sulla fiducia, devo ritenere, del tipo posta la domanda “aspirante giudice ti senti all’altezza di questo gravoso compito, cioè di giudicare l’uomo in terra?”, e ottenuta la risposta all’incirca “certo che sì, perbacco”, ecco bell’e fatto un giudice onorario a quattro soldi -chè evidentemente tanto deve ritenere che valgano, il prode ministro senza laurea- i quali, giudici onorari, reggono una grossa (qualcuno direbbe importante) percentuale delle pendenze; largo al contributo ammazza diritti e vai con le leggine destabilizzanti, utili solo a creare inammissibilità e decadenze.
Insomma il ministro con diploma sta mettendo mano alla giustizia alternando colpi di machete a colpi di fioretto, col bel risultato di non azzeccarne una.
Ma ora sta per arrivare sul quarto binario il giusto compenso.
Cioè dopo che le pubbliche amministrazioni, le banche e le assicurazioni hanno proletarizzato gli avvocati, ora si accorgono che non possono pretendere, questi informi soggetti, una difesa senza pagarla.
Viva Orlando, viva l’Italia. Viva la giustizia, viva i diplomati.
Che poi mi chiedo, io per fare l’avvocato mi sono laureato e ho superato un esame. Chi decide della mia vita, invece, non ha studiato se non da galoppino, e la mia vita dipende anche da lui.
Mondo boia, dovevo anche io fermarmi con gli studi. Un bel titolo di “laureato Ragioniere” come disse con disprezzo un pizzaiolo di Bari del proprio sfaticato figlio, aggiungendoci una bella bestemmia in dialetto, e magari diventavo sottosegretario, presidente, luminare, in una parola “politico”.
Bah!, tornassi a nascere, giuro, non studierò e forse sarà, ovviamente, la volta buona che per fare i politici bisognerà dimostrare di capirne qualcosa.
Perché, alla fin fine, buona parte dei nostri politici, non sanno neanche da dove si comincia. Parola di Gigio Gigi.
Vacanze in Grecia, istruzioni per bere.
Posted on 15. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Giovani, meno giovani, amanti delle vacanze in Grecia, state attenti a quello che bevete.
Per la legge greca, infatti, il ritiro della patente scatta con un tasso alcoolemico più basso che in Italia. Dopo di che la Grecia, invece di restituire il documento alla Motorizzazione italiana immediatamente, perché questa faccia quello che ritiene, per esempio restituirlo all’avente diritto anche perché in Italia non sarebbe stata ritirata, lo ripone in un cassetto e aspetta che il tempo passi e Dio provveda. Beninteso non se lo tiene solo per il periodo di sospensione, bensì fino a quando l’interessato non si faccia vivo, battendo i pugni sul tavolo, scrivendo a Mattarella, al Ministero, all’Ambasciata, al Console, alla Grecia e al proprio santo protettore.
Può accadere che l’Ambasciata italiana intervenga e anche significativamente, ma nel frattempo la tua patente te la sogni per un periodo ben eccedente quello di sospensione.
Quindi consiglierei ai compaesani che si apprestano ad andare in Grecia di seguire le seguenti regole comportamentali:
1) non bere che acqua e suoi distillati, come gazzosa, idrolitina, e acqua zuccherata;
2) se proprio non si può fare a meno di bere, camminare per dodici chilometri a piedi, rincasando senza mettersi alla guida;
3) se proprio non si può fare a meno di guidare e si è bevuto un sorso di birra, se ti fermano piantare un pianto, mò ci vuole, greco, raccontando delle sventure della nonna che non può andare dalla callista senza che ce la portiate voi con la vostra auto;
4) se non attacca raccontare di un italiano che si è vista restituire la patente dopo un periodo doppio di quello di sospensione e che per tale motivo ha fatto causa alla Grecia e che è stato risarcito con un bel benebravobis, pacca sulla spalla e dieci euro in da spendersi in una osteria di Atene e che quindi venderete cara la pelle appellandovi anche a Zeus che li fulmini vivi;
5) se non funziona niente convertitevi alla bicicletta chè fa pure bene alla salute ma attenti ai guidatori della domenica che come niente vi fanno cadere e vi fate male alle costole e poi mannaggia qua e mannaggia là com’è che non passa mai sarà il diabete;
6) ovvero, non andate in Grecia e punto.
Il presente vademecum viene offerto gratis all’indomani di una avventura greca durante la quale per una birra qualcuno ha conosciuto le mirabilie del treno, del pullman e di quanto faccia politico alla moda farsi scorazzare dalla fidanzata o dagli amici.
Con l’occasione si è anche appreso che in Grecia c’è l’allarme anarchici e che le ambasciate per esempio oggi sono chiuse e allora ridiscutiamo tutto, infatti se c’è un allarme anarchici vuol dire che in quel paese c’è dignità sociale. Certo, il tasso alcoolemico va rivisto, ma vuoi mettere?
Del che è verbale.
Il mondo del lavoro, dall’impegno di sinistra al disinteresse generale
Posted on 15. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Il mondo del lavoro è da sempre stato materia di diversa impostazione a seconda della parte politica che se ne faceva interprete.
Riandando a stagioni ormai vecchie, c’è stato un periodo durante il quale il lavoratore veniva tutelato oltre ogni limite di decenza da una magistratura ideologicamente schierata a favore del più debole.
Ora i tempi sono cambiati e la formazione culturale generale non pende più dalla parte del più debole. Oggi oggetto di tutela, verrebbe da dire, ironicamente, crescente, sono banche, assicurazioni, impresa, capitale. Ideologicamente si ritiene di poter tutelare il lavoro tutelando chi lo offre.
Si è, anche da sinistra, inneggiato alla elasticità del mondo del lavoro quale presupposto di crescita generale.
Il risultato a oggi, di tutta questa confusione e mancanza di scelte e obiettivi, è un mercato del lavoro sbilanciato a favore del datore di lavoro, il quale pure ha i suoi bei problemi economici, e a sfavore del lavoratore che, addirittura, può ritenersi fortunato se un lavoro, appunto, ce l’ha, fa niente se con una paga misera e con una prospettiva pensionistica da terrore.
In più si è aggiunta la crisi del lavoratore autonomo non imprenditore, tartassato da oneri fiscali, burocrazia, tribunali e debiti.
Lo stallo è evidente e, se è vero, come giurano, che si avvertono segni di ripresa, questi non sono significativi, nel senso che oltre che a condizionare le statistiche, poco tolgono al disagio pressocchè generale.
Ragionando poi di disoccupazione i dati sono come sempre allarmanti.
Una Europa economicamente unita dovrebbe affrontare il problema ben diversamente. Dovrebbe uniformare i sistemi, la fiscalizzazione, ma soprattutto dovrebbero cominciare a essere formati elenchi di disoccupati europei, di modo che se un italiano cerca lavoro, possa anche trovarne, attraverso un sistema regolato e trasparente, in Spagna e viceversa.
Un’Europa che si pretende unita dovrebbe lavorare in questa direzione in maniera tale da creare compensazioni fra paesi senza sconvolgere più di tanto la situazione attuale.
Un ufficio di disoccupazione europeo, di modo che ci si possa anche sentire davvero europei, senza doverlo affermare senza sentircelo dentro.
Anche i sistemi fiscali andrebbero standardizzati senza sacche di fortunati e sacche di disperati. Magari anche una redistribuzione degli impiegati pubblici, oltre alla loro razionalizzazione, evitando dli scempi siciliani, per esempio, garantirebbe un elevamento culturale della categoria con esperienze da maturare in ambienti diversi, importando una cultura della legalità più radicata.
Diversamente l’Europa la faremo solo per le banche e, talvolta, neanche per quelle, perché è di tutta evidenza che anche i controlli bancari andrebbero standardizzati e resi comuni in tutto il territorio europeo.
Solo così una impresa francese potrebbe contare sugli stessi aiuti e pagare gli stessi costi di un’azienda italiana in un contesto comune di uguaglianza di prerogative e aiuti.
Inutile dire che identica soluzione dovrebbero avere le politiche sulla migrazione o il sistema della giustizia che non può costare 10 in un paese e 100 in un altro, ovvero consentire la pubblicazione di una sentenza con tempi così inumanamente diversi.
Ma che cazzo ne capisci tu!
Io? Vero, non ne capisco nulla, ma giocavo a fare il politico e magari qualcosa in più di un Salvini-DiMaio-Renzi forse pure l’ho detta.
Ruterbio invaso
Posted on 14. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Se non sono bulli, sono delle nullità.
Poi le nullità, senza fare niente, passano per discreti e laboriosi uomini di potere.
E’ la storia dell’Italia degli ultimi decenni.
Non c’è anfratto del settore pubblico che non mostri una delle due facce sopra descritte.
Non c’è modo di sbagliarsi, o il bullo sloganmunito o il piatto burocrate che passa le carte mettendoci di suo solo la faccia e il silenzio.
Fra le due figure ci sono persone capaci che vengono, però, letteralmente e metodicamente saltate, non è mai il loro turno.
In entrambi i casi, comunque, la macchina amministrativa procede per i fatti suoi, indifferente al teatro dei bulli o al silenzio degli altri, e procede come sempre, cioè male, senza colpi di coda, fra una concussione e una corruzione, fra una riforma sbagliata e una legge incomprensibile.
I partiti sono artefici di questo andazzo, sazi delle loro coppole e poltrone, distribuite secondo manuali del malaffare in uso nella democrazia moderna.
Del che è verbale.
Amen.
Augh.
Così sia.
Italietta parte seconda.
Posted on 13. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Mi ha dato una spinta, non vale.
E dimmi chi è stato?
Quello alto e biondo.
Speriamo non finisca così, stasera. Una volta le botte le davamo noi, con Gentile, Benetti, Furino, Tardelli e prima ancora Trapattoni e Burgnich. Ora le signorine d’Italia si lamentano per una gomitata e la loro chiocchia auspica che l’arbitro punisca semmai anche uno sguardo torvo.
Comunque vada, stasera, sarà una sconfitta. Dovessimo vincere 5 a 0, non recupereremmo credibilità.
La formazione sembra sperimentale. Cioè, a parte gli inamovibili, avessero pure cento anni, per il resto si improvvisa e quindi oggi giocherà una ex riserva del Napoli, che gioca in una squadra inglese tipo Udinese, uno che fa il terzino nella Roma, ma in nazionale giocherà mezz’ala e altri valorosi eroi.
Ci vuole un miracolo. Ma “ce la faremo” tuona il mito Buffon dall’alto del suo potere in Federazione.
Mi sbaglierò, comunque, ma a nessuno gliene frega niente. Se non siamo in una semifinale all’italiano basta poco per l’indifferenza assoluta.
Abbiamo, evidentemente, amore e passione solo per la squadra della nosta città. L’Italia, come Stato, è rimasta ai tempi dei comuni.
Cionondimeno non mi esimerò dal banale Forza Azzurri, tanto non costa niente e fa guadagnare almeno un paio di like.
La merdocrazia
Posted on 12. nov, 2017 by L.P. in Argomenti
Proviamo a capire.
Perché due persone ugualmente brave hanno percorsi differenti se una delle due ha una amicizia importante?
Semplice, perché il nostro sistema democratico premia l’appartenenza, non in genere, beninteso, ma una certa appartenenza.
È una regola non scritta ma cogente, oh!, se cogente.
La situazione si fa più tragica quando le due persone dell’esempio sopra riportato non hanno uguale bravura e, la meno brava, si ritrova a percorrere una strada in discesa, ricca di successi, mentre quella più brava arranca fra mille difficoltà.
Tipico esempio di ingiustizia sociale che si traduce anche in decrescita, imbarbarimento e perdita generale.
L’Italia, in questo gioco al massacro, è principescamente prima, fra i paesi che si pretendono civili, mentre altri paesi si avvantaggiano seguendo la regola, tanto banale quanto vincente, che i migliori devono andare avanti.
A voler invertire questa rotta, che ci porta tutti nel baratro, non ci prova nessuno: non i politici, che anzi sono i maestri, non chi potrebbe, perché il malcostume è talmente diffuso da poterlo definire capillare. Temo avvenga, addirittura, anche nello sport o nel giornalismo o nel cinema.
Alla raccomandazione, intesa come viatico di carriera, si affianca la molestia, subita ben volentieri all’inizio della carriera e denunciata a carriera fatta, secondo un prudenziale schema nel quale vige il principio che il fine giustifica i mezzi.
Arriveremo anche al ripudio della raccomandazione, dopo quello della molestia, ci manca poco, ma allora, e solo allora, il cerchio dell’ipocrisia sociale sarà chiuso e potremo, a ragione, ritenerci un paese che non ha paura di guardarsi dentro, magari a fine carriera, ma con la severità che ci contraddistingue.
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