Malessere
Posted on 31. dic, 2018 by L.P. in Commenti
Cosa dovrebbe essere un politico.
Un politico dovrebbe conoscere i bisogni di un popolo e, come diceva Gramsci, saper armonizzare la realtà disagiata con il minor disagio possibile per tutti.
Per conoscere i disagi di un popolo, o di un territorio, o di una specifica categoria, un politico deve condividerne la quotidianità, sentirne le ragioni, avvertire lo stesso peso del disagio sulle sue spalle, non starsene in uffici spaziosi, con un paio, quando va bene, di collaboratori, stipendiati, a fare un post o a scimmiottare la parte dello statista.
Un politico, serio, non vive al di fuori, se non al di sopra, della società, ma al suo interno; ha un obiettivo, che non può essere altro che il benessere comune, la città del domani, lui guarda lontano.
E un partito, serio, è zeppo di politici di tal fatta.
Invece sappiamo bene che oggi è l’esatto contrario. La politica si svolge al di sopra della testa di un popolo, è diventato un gioco per una speciale categoria di persone che, facendo finta di occuparsi del paese, hanno realizzato il sogno di essere famosi, importanti e ben pagati.
Un politico, oggi, è sazio, mentre dovrebbe avvertire i morsi della passione politica ogni dì.
Ma questo avviene in qualsiasi campo: nella giustizia, per esempio, un giudice è, anche lui, da subito sazio, pieno della sua autorità, mentre ogni suo singolo comportamento dovrebbe essere caratterizzato dal malessere della paura di sbagliare.
Un politico, serio, è sofferente per natura, una persona speciale, quindi rara.
Abbiamo politici di questo tipo, oggi?
Temo di no. E se ce ne è qualcuno, i partiti lo spolverano per un convegno, per rifarsi la faccia o per truffare qualcun altro, al quale rappresentano una versione della politica irreale, alla bisogna.
Per questo penso che un politico non indulge in selfie, non affolla studi televisivi, non riempie la cronaca dei giornali quotidianamente, ma lavora, soffre e lavora, fantastica e lavora. Non ha bisogno di essere abbronzato, elegante, di curare i particolari, perché ha la mente altrove.
Una marea di dilettanti, invece, ha invaso le istituzioni, da almeno vent’anni o anche di più; ha cambiato i connotati dell’uomo politico, facendone una star, un idolo, un atleta da stadio, neanche bravo, beninteso, ma non ce n’è bisogno di più bravi, anzi, quelli bravi sono stati fatti fuori, perché eccellenza significhi quello che ci viene propinato; e molti ci credono pure.
Il risultato è, però, evidente: se si vince, vincono loro, se si perde, perdiamo noi, come nei migliori aneddoti sull’avvocatura.
Ma nulla cambierà fin quando ognuno di noi non assumerà la responsabilità delle sue scelte.
Oggi c’è ancora chi baratta la libertà per una raccomandazione, facendo sì che un diritto, il lavoro, diventi un umiliante regalo che ci fa diventare debitori, orfani di libertà e responsabilità. E, da debitori, serviremo il padrone che ci ha dato lavoro.
Fa sorridere la Cassazione quando ci racconta che la raccomandazione non significa concorso nel reato, quasi che chi raccoglie la raccomandazione non sia, lui stesso, già debitore dell’incarico che ricopre, quindi obbligato a seguire l’indicazione, cioè a obbedire.
Quindi, se non c’è consapevolezza della propria cittadinanza, non c’è verso di tornare a vedere sulla ribalta veri politici, quelli che non appaiono, ma che soffrono in uno a chi rappresentano.
Niente, non mi riesce di rimanere indifferente davanti all’Italia e alla Basilicata di oggi, come invece riesce a tanti altri. Beati loro. Indifferenti, quindi sempre vincenti e mai responsabili di nulla.
I nuovi gladiatori
Posted on 29. dic, 2018 by L.P. in Commenti

Continuerò ancora a chiedermi a chi giovi la rissa.
Ma forse è un ragionamento fin troppo raffinato, nel senso che alla rissa forse si arriva seguendo impulsi primordiali che nulla hanno a che vedere con la ragione.
Penso a un Fiano, sbracato, che assalta i banchi del governo; penso a quei tifosi di calcio che fanno della violenza il loro pane quotidiano; penso a chi con la violenza ci mangia e si arricchisce.
Nel caso di Fiano, se abbia reagito a un impulso primordiale o se, il suo comportamento sia stato il frutto di un ragionata e premeditata strategia, poco cambia: se pensa in quella maniera di aiutare il popolo che rappresenta, stiamo freschi, istinto o ragione che sia. Penso piuttosto al cattivo esempio, per quanto, oggi come oggi, ce n’è a iosa, di cattivi esempi, ovunque.
Se penso ai tifosi violenti, beh, là, alla guerra, ci vanno ben preparati e, a parte l’incapacità di prevenire episodi del genere, a parte l’incapacità di educare, pure sanzionando, a parte l’indifferenza ormai generalizzata e la capacità di continuare lo spettacolo purchè il giocattolo funzioni, anche di fronte alla guerriglia, senza che lo sdegno superi il business o cos’altro, beh, a parte tutto questo c’è da chiedersi cosa covino dentro individui di tal fatta, quale sia il loro disagio ovvero la loro pazzia.
Quanto alla terza specie, cioè di quelli che con la violenza si arricchiscono, cioè i malavitosi, beh, basta guardare alla loro storia, fatta di successi e di escalation continue per capire che la loro legge si impone molto più facilmente di quella dello Stato che, purtroppo, non riesce da sempre a debellare il problema, anzi, con la corruttela tuttora in corsa alla grande, contribuisce al successo del fenomeno.
Quindi c’è a chi giova la rissa. A tutti quelli che stanno al di là della barricata. Quella ideale barricata che divide chi comanda da chi è comandato, chi è ricco da chi non lo è, chi può da chi non può.
Il divario sociale in atto è grandissimo, ma mascherato molto bene. Il web garantisce strumenti di massa che annebbiano la mente, facendoci sembrare tutti uguali, con uguali diritti e uguali possibilità. Un bluff cosmico. Il web è democratico nella misura in cui riesce a non incidere su nulla. Un’arena dove potersi ammazzare a parole reciprocamente, con la sensazione finale, anch’essa ovviamente solo digitale, di aver vinto qualche battaglia, di averglielo detto!, di aver tenuta alta la guardia!, di aver alzato la voce e di averlo(la)(li) sputtanati. Di contorno l’arena della vita, coi morti ammazzati a margine di una squallida partita di calcio, farcita da cori razzisti, con gli altri a ergersi per una sera e per il proprio idolo a antirazzisti di professione, con i Fiano a mostrare la pancia e gli altri a gridare, gridare, gridare.
Sì, la rissa serve a più di qualcuno. E noi, stupidi gladiatori, andiamo incontro alla morte.
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