Tarallucci e slogan, dal Quotidiano del sud
Posted on 31. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Non lo so, continuo a pensarci su e non mi raccapezzo.
Per farla breve Conte mi è sembrato un gigante quando ha ridicolizzato politicamente Salvini nel dibattito in Parlamento. E va bene. Ma lui è stato comunque l’interprete, calato dal cielo, di un governo sui generis, perché fondato su un contratto. Questo contratto è stato risolto in barba a tutte le norme che regolano la risoluzione dei contratti, e lui gliene ha cantate, a Salvini, dico. Perfetto. Ma da qui a rendersi disponibile per un governo antitetico al suo stesso primo governo, ne corre.
La vicenda doveva finire lì, per Conte: dimissioni e punto, dopo diventa commedia all’italiana. Come può oggi garantire il nuovo umanesimo, la riappacificazione, un programma con alleati che sono l’esatto contrario dei suoi alleati di ieri? Va da sé che le intese politiche avranno altre basi di ragionamento e altre finalità e/o urgenze, quindi, come può fare Conte a garantire il contrario di quello che aveva garantito fino a ieri?
Il discorso vale pari pari per i 5 Stelle.
Avrebbe avuto più senso un governo di larghe intese, ove mai possibile, di responsabilità, nel quale fossero confluiti tutti i partiti maggiori per garantire obiettivi importanti per il comune bene. Neanche da bambini si cambiava amici con tale superficialità, anzi.
Ma se un uomo come Conte, che ha dato ampia prova di dirittura e coerenza, oggi cede alle lusinghe di un governo alternativo a quello di ieri, vuol dire che è davvero un pupazzo buono per ogni commedia, e io non credo a questa versione.
Ma poi, può essere mai che un uomo tutto di un pezzo, per un anno e passa abbia digerito tutto quello che ora vuole cambiare, avendo, alla fine, finanche sposato la causa della Lega sul Tav?
Evidente che l’obiettivo è solo uno, evitare il voto, cosa, peraltro, formalmente legittima, ma subdola, perché non mira all’interesse del paese, ma a quello, squallido, di bottega.
La situazione crea ancora più confusione di quella che c’era prima e ancor di più un clima irrespirabile da stadio. Salvo l’italico salire sul carro del vincitore che porterà una percentuale di ambulanti da destra a sinistra, per il resto sarà bagarre politica, beninteso, a parole o anche paroloni, parolacce e post al vetriolo. Gilet gialli, infatti, noi non ne abbiamo, ma solo un popolo indignato, a parole, i rivoluzionari prendono polvere in soffitta e l’indolenza civica ha infettato anche i più esagitati.
Insomma, nemici per la pelle sui social, ma poi aperitivo assieme, questa è la vita nel nuovo secolo, che ci evita sommosse e manifestazioni violente, ma ci relega al ruolo di cittadini inutili e inconsapevoli.
Alle partite di calcetto, lo storico celibi/sposati ha lasciato il posto a un più coerente curva sud/curva nord e ….. vinca il migliore. Da noi tutto finisce a tarallucci e slogan.
Stato e antistato, quale miglior connubio
Posted on 29. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

C’è democrazia e democrazia. Quella inglese, per esempio, dove ci si lamenta della sospensione delle attività del Parlamento, e quella italiana dove in Parlamento si alza una mano e si recitano i copioni imposti dai capi dei partiti. C’è quella britannica dove è consentito manifestare in piazza e quella italiana dove solo citare le piazze rievoca chissà quale spettro del passato. C’è quella inglese dove il popolo decide se uscire dall’Europa, e c’è quella italiana dove i governi decidono di far parte dell’Europa, anzi di uscirne, no, si scherzava, di rimanerci.
Non c’è dubbio che in Gran Bretagna la democrazia si mastica da secoli, mentre da noi se ne scimmiotta il tipo più scadente dal dopoguerra; vero che la Gran Bretagna è Stato da tanti secoli, mentre noi siamo un condominio dal diciottesimo secolo soltanto. Ciononostante noi italiani abbiamo il saccente cipiglio di chi di democrazia se ne intende, oh!, se se ne intende, salvo sposarne solo i principi che ci fanno comodo.
In Italia, infatti, esiste, vive e vegeta un vero e proprio antiStato, fatto di delinquenza super organizzata, lavoro nero, evasione, raccomandazione, corruzione, lobbismo, clientelismo, ed è l’Italia, dispiace dirlo che, a suo modo, funziona. Pensate agli ammortizzatori sociali o al sistema previdenziale e assistenziale della malavita: impeccabile; vai in galera ma ti comporti bene? Alla tua famiglia ci pensiamo noi, tu devi solo stare tranquillo, e via discorrendo.
L’Italia ufficiale è, invece, a pezzi e usa come bastone l’antiStato, che alla fine è essenziale e in cambio chiede poco, solo una leggera ma significativa infiltrazione nello Stato ufficiale.
Quindi la democrazia poggia su basi deboli, inconsistenti, perché l’antiStato, quello che funziona, non è democratico per nulla, pur funzionando e avendo i bilanci sempre superattivi.
Quindi a scimmiottare lo Stato democratico ci mandano i portaborse di ieri, quando ci va bene, oppure avventurieri che non trovano un’altra occupazione, che a scuola non andavano bene e che oggi vestono casual, ballano e cantano, ruttano in pubblico e per le scorregge manca davvero poco. Meglio non metterci gente capace, che potrebbe anche mettersi in testa di aggiustare l’Italia facendo la guerra all’antiStato.
Forse fra qualche secolo di tentativi riusciremo a essere una nazione, senza antiStato, seria e civile; forse. Ma può anche essere che questo miracolo non ci riesca. Il genio italico non soccomberà, però, il quotidiano allenamento sul crinale fra Stato e antiStato forgia uomini forti, elastici, duttili, anche se poco sensibili al bene comune, ma fa niente.
Viva le Italie, dunque, quella ufficiale e quella che funziona.
Sun Tzu e Salvini, dal Quotidiano del Sud
Posted on 29. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Sun Tzu non è rientrato nelle letture di Matteo Salvini, c’è da pensare; il suo “manuale” l’arte della guerra non deve averlo affascinato, sebbene abbia messo in mostra, di sé, proprio quella parte che definire da combattente sembrerebbe proprio scelta appropriata.
L’arte della guerra spiega come, il più delle volte, l’intelligenza tattica e strategica ha la meglio sulla forza bruta o su un avversario più potente; è necessario, però, portare il nemico sul proprio campo di battaglia, quello che si conosce meglio, è fondamentale avere chiaro il contesto nel quale si svolgerà il combattimento, è prioritario conoscere bene l’avversario, anticiparne le mosse, mostrarsi cedevole e tante altri bei trucchetti che servono nelle battaglie, anche, della vita.
Il guerriero padano, ben accettato anche dal sud che tanto aveva schernito negli anni, vero e proprio miracolo, questo, della italica natura, che conserva intatto il timore per il potente, tanto da ambire a servirlo umilmente, fintantochè possa servire a qualcosa, ebbene, nella recente puntata della serie televisiva “Al voto, anzi no”, nella quale il protagonista principale compie il gesto eroico del suicidio politico per applicare i principi cristiani, che ormai lo dominano oltre ogni ragione, tanto da indurlo dal baciare il rosario in ogni occasione, dell’umiltà e della misericordia, che gli hanno suggerito di farsi da parte per aiutare i più deboli, ecco, il nostro, ha dato ampia dimostrazione di non aver studiato attentamente la situazione, sempre che, nonevèro, non abbia appunto scientemente abdicato al consenso popolare crescente con un umile, discreto e salvifico “no, grazie”. Sempre cristianamente, quindi, da primo è diventato ultimo, probabilmente auspicando un giudizio universale elettorale, prossimo venturo, nel quale, spavaldamente possa tornare a diventare primo.
Il suo popolo non deve aver gradito. I suoi generali, sparsi nelle regioni appena conquistate, provano a scimmiottarlo con indignati slogan contro la iena che si è buttata sulla carcassa del M5S per mangiarne le spoglie da lui stesso scartate, ma nel loro intimo si avverte un brontolio condito di bestemmie e imprecazioni alimentato dal terrore che il giro in giostra costituisca un fatto isolato e pronto a finire. Mettiamo, infatti e per esempio, che il governo regionale lucano salti, per un qualsiasi motivo, tipo che Eni si metta di traverso perché non gradisce le nuove condizioni contrattuali proposte, siamo sicuri che la Lega abbia lo stesso successo di qualche mese fa? Suvvia, non scherziamo.
I potenti siedono sempre al tavolo di chi governa, salvo sfruttare l’opposizione quando chi governa non ha orecchie per sentire ragioni, le loro.
In definitiva, Matteo Salvini farebbe bene a leggere Sun Tzu, per la seconda vita politica che, forse, gli tocca, come pare stia toccata a Renzi.
Quanto a noi, beh, lo spettacolo è gratis, cioè mica tanto, visto che siamo noi a stare male, ma vuoi mettere? Negli spazi temporali fra Gotham e Orange is the new black, c’è spazio anche per il Matteo Salvini Show, che segue il Matteo Renzi Show e precede il prossimo Giuseppe Conte Show. Il palinsesto è ricco, basta sedere comodi, telecomando-muniti, per gustarsi lo spettacolo.
Costa cara la coerenza
Posted on 27. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Costa cara la coerenza. Sembra una virtù, ma ti rende la vita difficile assai. Il compromesso, invece, aiuta a campare. La democrazia è figlia del compromesso, a meno che non si individui una forma di governo maggioritaria, senza condizionamenti. In quel caso si può continuare a provare a essere coerenti. Ma in area di proporzionale è un’impresa.
Per essere coerenti rischi di perdere il bel posto al sole, il guadagno lauto e una vita da prima pagina. Che poi, in fondo, la coerenza è anche sorella della stupidità. Ti sembra mai possibile sacrificare tutto quello che si è raggiunto perché una volta, o cento o mille, quello disse che col PD mai, spiegandone anche dettagliatamente i motivi?
Meglio la Boschi, dai, che dall’alto della sua professione di banalità saccente afferma che i 5 stelle rimangono incompetenti ma “ci servono”, e chissà se il verbo servire lo intenda nel senso di essere utile o di stare al servizio di.
La coerenza, poi, non è intima parente del radicalismo più cocciuto? E allora, lo vedi che la coerenza è un orpello inutile, un indumento elegante ma poco pratico, utile solo per i convegni?
La coerenza, infine, non è di moda e da un pezzo. In politica se ne contano pochi, e tutti martiri. Certo, come dice Scanzi, la memoria è altamente selettiva e cancella gli eroi di una stagione e ricorda quei pochi coerenti martiri. E vabbè, ma che me ne faccio della gloria nella storia se oggi devo fare il miserabile? Questione di gusti: c’è chi predilige l’oggi e chi preferisce l’eternità. Questione anche di spessore, diamine e oggi va il modello carta velina, quanto a spessore.
La coerenza, insomma, è un articolo di nicchia, escluso dalla globalizzazione, non la trovi al mercato, più facile trovarla alla Caritas di Klagenfurt, rovistando nei cassetti di qualche vecchio armadio acquistabile a 75 uero.
Chi è coerente scagli la prima pietra, si potrebbe dire, per gustarsi lo spettacolo delle teste chine che sfilano.
E tu, che parli tanto, sarai un maestro di coerenza, allora?
Non lo so, non sta a me giudicarmi, ma a occhio e croce, visti i miei fallimenti relazionali in politica, forse lo sono davvero.
E bravo il fesso.
E sì, un campione di fessaggine.
E se Salvini ……
Posted on 26. ago, 2019 by L.P. in Commenti

Allora, ragionando, e fantasticando, viene fuori un’ipotesi finora inespressa, o solo inimmaginabile nell’ortodossia politica.
Facciamo che Salvini sulla spiaggia ci sia andato al culmine di una strategia che lo allontana pesantemente dal galateo istituzionale volutamente, dal momento che tutto quello che vuol fare gli viene impedito da quella che ritiene una vera e propria ipocrisia governativa.
Facciamo che, al culmine del sacrilegio, e cioè l’inno di Mameli ballato dalle cubiste, lanci l’appello “tutti al voto”, sapendo che non avrebbero giammai consentito, con la Lega al 38% nei sondaggi, che gli italiani solo si accostassero alla cabina elettorale.
Facciamo che ora, al pensiero di un governo M5S-PD si stia fregando le mani, nella certezza che il primo passerebbe per inaffidabile e attaccato alle poltrone come un democristiano d’altri tempi, mentre il secondo farebbe la figura della iena sulle spoglie del governo volutamente distrutto.
Facciamo che Salvini sa che il governo che sta nascendo cancellerebbe la riforma sulla sicurezza, facendo passare per idioti i grillini che il giorno prima lo avevano votato, che cancellerebbe quota cento, facendo insorgere centinaia di migliaia di possibili pensionati.
Mettiamo che Salvini dia per scontato che la politica sulla migrazione cambierebbe contro la volontà della maggioranza degli italiani, che la finanziaria non la digerirebbe nessuno e che “se non hanno mai saputo governare sufficientemente, difficile gli riesca ora”.
Bene, mettiamo tutto questo, ci sarebbe da prevedere qualche mese di governo sbandato, confusionario, arrogante e supponente, ma per nulla efficace e poi elezioni che, a questo punto, regalerebbero davvero pieni poteri a Salvini, consegnandogli su un piatto d’argento il 51% dei voti; beh, se tutto questo fosse stato frutto di un ragionamento e quello che è accaduto fosse stato messo in scena così come fantasticato, ebbene Salvini sarebbe uno spregiudicato bluffatore, un pokerista di gran classe, ma anche un politico sopra le righe, ma di tanto, uno da temere davvero e che potrebbe governare per, diciamo, venti anni.
Se invece tutto fosse accaduto per un capriccio, un colpo di sole, un caso di miopia acuta, beh, sarebbe solo robetta, cioè roba da uomini piccoli che non meritano neanche una nomination, in futuro, in Chi l’ha visto, quando, cioè, saranno scomparsi, dalla scena.
Depressione iperattiva, ovvero: Sessantotto e Berlusconi, gli ingredienti del nuovo nulla.
Posted on 25. ago, 2019 by L.P. in Argomenti, Attualità, Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Da Berlusconi in poi la politica è cambiata. Ha cambiato linguaggio, dai partiti si è passati alle persone simbolo; dando l’impressione di volersi avvicinare alla gente, ne ha mutuato i toni da strada, fingendo di essere più decifrabile, rispetto al “politichese” e rifuggendo ogni tipo di ideologia, tanto da sembrare, oggi, tutta dello “stesso sapore”, come i gelati statunitensi di qualche anno fa che cambiavano colore ma non sapore.
Infatti certo non può essere distinta la politica sui migranti di un Minniti e di un Renzi (aiutiamoli a casa loro) da quella di un Salvini che ha provato a chiudere i porti, per la verità più a parole che coi fatti.
Se parli con un politico dei nostri giorni, lui stesso non sa se definirsi di destra o di sinistra, o, anche quando lo fa, se ci parli gli senti dire cose che una volta sono tipicamente di destra e una volta di sinistra.
Non si tratta delle conseguenze del crollo delle ideologie, ma del crollo del ragionamento politico, che, è bene dirlo, non poggia più né su fedi radicali, né sullo studio, ma solo sull’opportunità del momento per quei pochi che si avventurano nella politica con la speranza di trovare uno stipendio e quell’autorevolezza altrimenti mai raggiungibile.
La scuola non mi sembra che formi come qualche decennio fa, poche nozioni appiccicate con la saliva, con pochi cervelli che ben presto capiscono che qui non si può crescere.
E’ come se la massa della popolazione mondiale sia stata espropriata di ogni capacità critica, proprio attraverso una scolarizzazione sempre più flebile. Non dico una stravaganza se affermo che culture solide siano ormai un vezzo costosissimo, intraducibili nell’unica cosa che appassiona, cioè il guadagno, e quindi corollario per lo più di pochi ricchi gaudenti del tipo depresso iperattivo.
Ogni tentativo di approfondimento, nello studio siccome nelle professioni, rimane appannaggio di pochi strambi, la stragrande maggioranza preferendo quel tipo di approfondimento light tipico da wikipedia, ricerca su google o passaparola, approfondimenti paragonabili ai Bignami di una volta.
E quindi la politica oggi sembra accessibile a tutti, per il semplice motivo che quelle ovvietà che si sentono finanche dal Presidente della Repubblica, sono davvero alla portata di tutti.
E questo da Berlusconi in poi. Dopo il sessantotto, la seconda rivoluzione culturale, e si badi bene, tutt’e due in peggio, è quella berlusconiana. Dal diciotto politico del sessantotto al ricco che gioca a fare lo statista. Questi due momenti hanno dato la stura a un processo democratico nel senso deleterio del termine: cioè non solo pari opportunità per chiunque, ma uguale possibilità di raggiungere una meta, senza verifica dei requisiti.
L’Italia si è impoverita, culturalmente e spiritualmente, per finire alle comiche di un governo nato in vitro, morto per un colpo di sole e di un altro governo che si appresta a nascere in laboratorio. I cervelli, invece, non nascono in laboratorio, ma finiscono presto nel congelatore.
L’Italia, non è una nazione, ma è un condominio, dal Quotidiano del Sud
Posted on 24. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Mattarella ha dato i 4 giorni per un’intesa di governo 5 Stelle – PD. Insomma questo matrimonio s’ha da fare, avrebbe detto all’incontrario Manzoni. Il problema è che non sono neanche fidanzati. Quindi è un matrimonio di interesse. Nessun corteggiamento, anzi, neanche un gelato assieme o una serata al cinema. Le loro mani non si sono neanche sfiorate, eppure devono provare a piacersi.
Fra i sensali, c’è chi spinge per un approccio più sbrigativo, tipo Renzi, che guarda lontano, o più castigato, con richiesta di dote sostanziosa, tipo Zingaretti.
Il pensiero corre al nascituro governo: sarà femmina o maschio, sano o, come sembra più probabile, con lieve handicap?
Certo dal non volersi accordare con nessuno e sognare di rimanere zitella a cambiare un marito all’anno, ne corre. E niente, un mutamento genetico profondo è in atto nel movimento dei movimenti: paura delle elezioni? Paura di non poter essere candidati per la terza volta? Paura della solitudine? Non scherziamo: l’obiettivo è la riforma delle riforme, quella epocale sulla quale si rifonderà la politica. La riforma del mondo del lavoro? Ma dai. La riforma del sistema fiscale? Non scherziamo. Giustizia sociale che diminuirà il divario tra i pochi ricchi e l’esercito dei nuovi poveri? Sciocchezze. E allora? La diminuzione del numero dei parlamentari, ecco! Il male che, da decenni, affligge l’Italia. Sono troppi, li vedi la sera a ingolfare le trattorie romane, o a fumare il sigaro d’ordinanza nelle nottate in centro, o, il sabato, a rinserrare le truppe nel loro mandamento d’origine, o a sbaragliare coi loro likes sui social. Dopodichè tutto sarà diverso, la giustizia produrrà sentenze ad horas, e i giudici non trameranno più, la disoccupazione morirà di un male incurabile, sarebbe ora e scusate il pensiero cattivo, e l’Europa sembrerà il paradiso terrestre, il petrolio sgorgherà disinfettando l’ambiente e gli ultimi saranno i primi, le galere si svuoteranno e gli ospedali restituiranno pazienti sani e sorridenti alla società.
Ma Zingaretti dice che no, pur avendo un ingombrante Renzi che dice che sì.
Mattarella, dopo aver detto l’ennesima e pare obbligata ovvietà -la crisi deve durare pochissimi giorni- ha però dato i quattro giorni, dai, troveranno un’intesa, pure sul pranzo nuziale e il viaggio di nozze. Poi chissà se lo consumeranno davvero questo matrimonio, il maschio sembra impotente, la femmina frigida. Ma sì, dopo la cerimonia ognuno per i fatti suoi. Così è l’Italia, la sua virtù e il suo difetto. Accettiamolo, non siamo una nazione, ma un condominio.
Conte, il non politico che le suona a tutti. Dal Quotidiano del Sud
Posted on 22. ago, 2019 by L.P. in Argomenti
In questa sgangherata Italia, dove i parlamentari siedono alle camere come occupassero un posto in curva allo stadio nel giorno del derby cittadino, dove in un giorno, evangelicamente, gli ultimi diventano primi -leggi Renzi-, e i primi ultimi -leggi Salvini-, salvo scambiarsi” posizione nel giro di pochi mesi, dove guai a parlare di cosa davvero non ha funzionato e cosa e come dovrebbe funzionare, dove ci si affida al caso, dove si vive alla giornata e dove un pensiero profondo, politicamente parlando, è un miraggio da dispersi nel Sahara, brilla lo stile del già premier Conte.
Viene da un altro mondo, è evidente, da un mondo dove si studia, innanzitutto, e poi si riflette, dove ci si mette in gioco quotidianamente, per vincere una causa o alleggerire il peso di una sconfitta, il tutto per guadagnarsi da vivere con dignità, autorità e autorevolezza.
La differenza è palpabile, sfacciatamente evidente. Salvini, nel confronto, ne esce ridimensionato, anzi esce fuori la sua vera duplice statura, cioè di gigante, se davanti a un pubblico di fedeli, di nano, se davanti al Parlamento.
Ma, nel giorno del giudizio universale, nel quale risuscitano i morti -rileggi Renzi- a brillare, oltre lo stile dell’avv. Conte, peones della politica fino a ieri alle quindici, ora esempio di dignità politica, quella dispersa nel dopo De Gasperi, dicevo a brillare è il nulla, il deserto delle idee, l’apoteosi dell’incirca, del forse, del più o meno, il festival del pressappoco, il trionfo dell’approssimazione.
Bravi tutti a polemizzare, a puntare il dito, a marchiare l’avversario come infetto, ad autocelebrarsi, nessuno capace, però, di indicare una meta, di proporre una vera soluzione di uno dei mille problemi che, è utile ricordarlo, mortificano gli italiani.
Sì, l’aumento dell’iva, ecco, da evitare, come?, non si sa, poi il vuoto pneumatico come quello per confezionare le arachidi tostate e salate. Il mondo, per i politici, martedì pomeriggio, finiva con l’IVA, il resto?, mancia, chi vivrà vedrà.
Quindi, che sia un governo giallorosso, che sia un governo del Presidente, tecnico, politico o metà e metà, che sia la riedizione del minestrone o della polpetta, dove ci si ficca di tutto, la paura è che non cambierà nulla.
Dicevamo che non c’è più un governo, sapessi la novità! Che l’Italia sia ancora da fare, lo abbiamo visto martedì in Senato, nel quale i parlamentari hanno saputo litigare alla grande, anche folcloristicamente, senza, però, interpretare la loro funzione, o semplicemente senza esserne all’altezza. Ma il futuro non è più nero di quello che può sembrare: sono anni che andiamo avanti con bulli e tifosi. Magari ci fossero cento Conte. Ma è impossibile: uno ci è capitato per caso, figurati più di uno.
Il colpo di sole
Posted on 20. ago, 2019 by L.P. in Argomenti
Un colpo di sole. Non può spiegarsi diversamente la serie di autogol messa in fila da Salvini nelle ultime settimane. Fidatosi, evidentemente dei likes su Facebook, ha pensato di poter plasmare l’Italia, ma che dico, l’Europa, a sua immagine e somiglianza. Pare che non gli sia riuscito. Forse il popolo dei likes è meno influente di quello che si crede. La globalizzazione brucia i personaggi in men che non si dica. Certo, poi li resuscita pure, in men che non si dica. Penso a un Renzi ormai destinato a condurre trasmissioni su reti locali, restituito al suo antico splendore, per dire.
Avevamo le vacanze, che significavano distacco dal lavoro, dallo stress, dai ritmi quotidiani, dai talkshow, dal calcio e dalla politica; ci hanno scippato pure quelle: dalla campagna acquisti e cessioni dei calciatori, che non finisce più, al melodramma della politica che, quest’anno, ha deciso di non fare ferie. Non ci sono spiegazioni se non quella che, di questi tempi, è meglio tenersi stretto quello che si ha, nel caso specifico la poltrona. Metti che di ritorno, abbronzati, a settembre, ci trovavano l’esercito, oppure i replicanti o gli alieni, alle camere? Meglio presiedere la postazione, tenersi stretti ai braccioli della poltrona. Ed ecco che i parlamentari anche ad agosto pontificheranno sul nulla. Per sradicarli ci vorrà l’acetone, come per lo smalto sulle unghie.
Che poi neanche si è capito se sarà crisi o no. E se sarà crisi come si evolverà. Molti zombie hanno ripreso a camminare e finanche a parlare, vagano per il centro di Roma in attesa che aprano le porte delle camere e, solo al loro posto naturale, dismetteranno lo sguardo vitreo e riprenderanno colore. Perchè i politici non muoiono mai davvero, entrano soltanto in uno stato di torpore, una specie di letargo, in attesa di una nuova primavera, che, perbacco, arriva sempre, benedetta natura!
Ma dicevamo, sarà stato un colpo di sole, troppa spiaggia senza protezione, chissà. I fans di Salvini sono perplessi: credevano nelle elezioni future prossime bulgare, oggi sono già pronti a mettere in dubbio la tattica senza senso del loro leader. Ah!, come va veloce il mondo.
Ma una costante ci stabilizza sempre: cambiano gli scenari, fanno una gran confusione, si alleano, bisticciano e si alleano con gli odiati avversari di ieri, ma noi italiani, grazie a Dio, stiamo sempre male.
Aperipolitica, dal Quotidiano del Sud.
Posted on 14. ago, 2019 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Il taglio dei parlamentari giustificato esclusivamente dalla necessità di risparmiare un po’ di danaro è scelta misera. Diciamo che è una semplicistica maniera di incrociare il consenso popolare confermandogli che il sistema parlamentare costituisce uno spreco.
Lo è, in effetti. Ma non perché i parlamentari siano tanti. Lo è perché non contano niente. Lo è perché oggi costituiscono un gregge insignificante che non incide in alcuna delle scelte legislative, perché obbedisce ai dictat di pochi capetti e nulla più.
Una democrazia che si basi sull’obbedienza dei parlamentari contraddicendo la natura umana che ci ha fatti esseri critici, in grado di farci un’opinione e di operare autonome scelte, è una finta democrazia.
A questo punto i parlamentari non vanno limitati nel loro numero, ma eliminati del tutto: fra loro e un gregge al pascolo c’è poca differenza, transumanza inclusa, da un partito all’altro, da un’alleanza a un’altra.
Più intelligente fu pensare alla fine del bicameralismo, almeno aveva una logica diversa, sebbene creasse comunque una camera di nominati con compiti subdolamente celati fra gli articoli e con la garanzia che i nominati, in quanto tali, non avrebbero pensato a sorprese di sorta.
Quindi la diminuzione del numero dei parlamentari è una proposta populista di nessun senso politico. Se il costituente pensò a quel numero che ancora oggi è applicato, lo fece con motivazioni di gran lunga più meritorie di quelle minimali dei 5 Stelle.
Se si deve risparmiare, del resto, basta dimezzare le indennità, fermo restando che una classe politica seria, andrebbe dignitosamente indennizzata. Quindi oggi, anziché consentire bucatini e abbacchio quotidiani per alzare una mano, basterebbe garantire una fetta di pizza, birra e caffè, per dire.
Il problema sarebbe un tantino più serio. Come rendere le camere luogo di dibattito politico teso alla pubblicazione di leggi chiare e utili, invece che cassa di risonanza delle beghe politiche?
Bella domanda.
Il marcio, credo, stia solo nei partiti. Negli anni ho dovuto constatare come siano, il più delle volte, la tomba della politica. Dietro una facciata di passione democratica e ideologica, di mantra sul bene comune e il disinteresse personale, si celano egoismi famelici, carrieristi spregiudicati e cercastipendi, commercianti di favori e caporalati di filiere del consenso, amici e amici degli amici, favoriti e raccomandati, se proprio vogliamo dirla tutta.
Ora è in onda il nuovo balletto con nuovi o ritrovati ballerini, dopo la decisione di Salvini, corona del rosario munito -che poi che c’entra con la politica?- di staccare la spina a un governo che, lo giurava lui, sarebbe durato fino a scadenza. Renzi ha rialzato la cresta e tirato fuori idee sicuramente originali, ma, come sempre, estemporanee, non sistemiche. Finanche la Boschi ha trovato il fiato per spararne un paio e nessuno degli nostri eroi sa che pesci prendere.
Sarà un Ferragsoto caldo, a dispetto del calo delle temperature previste: quindi o la doccia gelata delle elezioni anticipate o quella di un governicchio di nuova progettazione, destinato, come gli altri, a creare un altro mito e bruciarlo subito dopo, magari con annessa ennesima, inutile, legge elettorale. Lo spettacolo è vario in un contesto noioso, come una serie televisiva, con episodi esplosivi in una trama generale misera.
E allora facciamola questa serie.
Il titolo? Semplice: Aperipolitica, costa poco e riempie la pancia.
Uno buono proprio no. Dal Quotidiano del Sud
Posted on 11. ago, 2019 by L.P. in Argomenti
In quanti si sono avvicendati alla guida dell’Italia negli ultimi anni? Tanti, vero? La gamma è ampia e soddisfa ogni tipo di gusto: centro destra, centro sinistra, destra, sinistra, movimentismo, non ci è mancato nessuno. Dai tromboni ai cavalieri, dai giovani rampanti ai professori, giovani e meno giovani, dagli avvocati a digiuno di politica ai vecchi cannoni della vecchia democrazia cristiana. Eppure il risultato è stato sempre e comunque un costante lento declino che, con una pazienza certosina, ci ha portati a uno stato di crisi grave e ben superiore a quello che indicano gli occhi.
La giustizia va a rotoli e costa cara, la disoccupazione ecc. ecc., la sfilza è lunga e la conosciamo tutti molto bene, ma la cosa più grave è che stiamo male e non abbiamo granchè speranza per il futuro, prossimo e meno prossimo.
Berlusconi, Prodi, Letta, Renzi, Salvini, Gentiloni, Conte e Di Maio, ne dimentico qualcuno? Ah, sì, Monti, perbacco, dimenticavo proprio lui.
La diagnosi, quindi, è chiara e non necessita di ulteriori indagini: la classe politica italiana è scadente. Senza appello. Incapace, da destra a sinistra, passando dal centro, di risollevare le sorti dell’Italia, affidata, come sempre, più alla sagacia degli italiani che alla sapienza dei politici.
Questi hanno dimostrato una generale tendenza al malaffare e una cocciuta visione egoistica, che, congiunte a una miopia congenita e a un peso specifico di vera politica misurabile in tracce, hanno manifestato spudoratamente solo la loro tendenza alla bega quotidiana, al litigio, al pettegolezzo, all’inciucio, una volta con tizio e una volta con caio.
Un parlamento ridotto ad alzamano a comando, ben nutrito e pagato, riottoso a qualsivoglia tentativo di migliorarsi.
Questo è un dato di fatto, indiscutibile, mai abbastanza messo in luce da chi potrebbe, tipo intellettuali e stampa, perché anche questi figli di un sistema che premia la manovalanza più o menofedele a discapito del valore effettivo.
Una partigianeria da stadio condisce uno status quo pietoso, nel quale l’ultimo indecente spettacolo di una crisi alla vigilia della finanziaria, in pieno ferragosto, lascia intendere che l’Italia tutta è davvero alla frutta. Il senso di responsabilità è solo nominale e un’idea politica non si fa spazio neanche sotto somministrazione di oppiacei.
Soluzioni non se ne vedono né vengono prospettate per un futuro remoto. Siamo in balia dell’inettitudine vestita a festa.
A ogni modo le esequie del buon senso e della competenza avranno luogo alla prossima seduta parlamentare. Si dispensa dalle visite. Non fiori ma opere di bene.
Il fascino dell’indagato venuto da fuori. Dal Quotidiano del Sud
Posted on 08. ago, 2019 by L.P. in Argomenti
Che, come direttore generale alla Regione Basilicata, ci stia meglio un campano di un lucano, dai, ci può stare. Sono più esperti, non hanno la crosta di provinciale, hanno carriere più gloriose, probabilmente.
Che, poi, anche il Governatore Bardi sia napoletano, non significa niente di particolare, se non che, probabilmente, ha voluto scegliere nel suo ambiente, dove, evidentemente conosce meglio le persone e, quindi, diciamo che garantisce lui, sebbene in politica non esistano fidejussioni morali, ma si va bene così.
Che, poi, infine, sia preferibile un campano indagato a un lucano, non parimenti indagato, ma a un lucano senza carichi penali pendenti, beh, forse questo è francamente troppo.
Tipo, ma non poteva scegliere, se proprio lucano non usa, un marchigiano non indagato? O un piemontese senza archiviazioni per prescrizione, no, dico, visto che ha speso una vita al servizio della legalità?
Mistero della fede. Quella fede di cui bisogna dotarsi per non lasciarsi andare a pensieri tetri, del tipo “noi non valiamo niente”, “siamo gli ultimi finanche a casa nostra” ecc. ecc.
Una regione prostrata, forse offesa, non fosse che riesce a rimanere indifferente a tutto.
Pensate alle opposizioni. A sinistra il silenzio più tombale, ma che volete è agosto per tutti, i 5 Stelle che timidamente si ribellano e le forze di destra, che tanto hanno blaterato negli anni sulla legalità, che d’incanto si ritrovano ad avallare, senza storcere il muso, scelte quantomeno opinabili.
Certo, nessuno è colpevole prima di una sentenza definitiva di condanna, che se poi il reato si prescrive, pazienza, ma il problema è tutto psicologico: da un lato un governatore che vede di buon occhio i campani, sebbene col neo, dall’altro i lucani a sentirsi dei falliti, perché neanche le indagini fanno la differenza.
Ma mi rimane un dubbio: e se fossero proprio le indagini a conferire quel tocco di esoticità e di fascino, di mistero e di audacia, buoni per essere scelti? Altro mistero della fede.
Vabbè, fa niente. Tanto chissenefrega, cambiamento è stato annunciato e cambiamento, ovviamente, come sempre, e ci mancherebbe altro, non è stato.
Braccialetti, cravatte, politica alta, insomma (dal Quotidiano del Sud)
Posted on 04. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Quando la democrazia non è in grado di soddisfare le esigenze di un popolo, anzi, dimostra la sua speciale incapacità ad affrontare e risolvere i problemi, mostrando la sua peggiore faccia, fatta di insolenza, protervia, privilegio e corruzione, facile che vada in crisi.
Un esempio per tutti: la giustizia è da decenni in crisi. La democrazia cosa è stata capace di fare? Aumentarne i costi a dismisura, disincentivandone l’accesso, diminuendo la generale tutela dei diritti, negando sostanzialmente la giustizia quotidiana che riguarda le persone normali, rendendo impervi i percorsi processuali, disseminandoli di decadenze, restringendo le ipotesi di impugnazione, aumentando i casi di sentenze ingiuste neanche impugnate solo per il costo da sopportare, spettacolarizzando la fase più delicata e meno seria dei processi, cioè le misure cautelari e non le vere e proprie sentenze e lasciando che i tempi rimanessero lunghi.
Un risultato fallimentare che allontana il cittadino dalla giustizia.
Come per la giustizia si potrebbe parlare del regime fiscale spregiudicato, ingiusto, eccessivo a dispetto dell’evasione sempre più fiorente. Della disoccupazione, del fallimento dell’euro, dei servizi scadenti ecc. ecc.
La logica conseguenza è un senso di sfiducia generale sulla possibilità che una democrazia rappresentativa, basata sul parlamentarismo, sia una cosa seria e non un giocattolo da mettere in mano a spregiudicati, o ingenui, o sprovveduti, comunque generalmente incapaci, se non peggio, quali i politici che i partiti, per lo più, riescono fatalmente a infilare nelle amministrazioni, le massime come quelle locali.
Un tale sentimento di sfiducia, oltre ad allontanare dalle urne, alimenta consenso per quelle figure che più si contrappongono all’idea democratica pura. L’illusione che un decisionista possa far meglio si fa spazio e così l’illusione che riconoscendogli più ampi poteri le cose possano andar meglio. Il che potrebbe pure in ipotesi essere, ma nel breve periodo, giammai in quello lungo, quello cioè che interessa alla politica.
Perché ciò non avvenga, sempre che si sia tutti d’accordo che la democrazia sia il sistema meno cattivo di tutti, occorre che questaindossi l’abito buono, quello della rappresentanza qualificata. Occorre che i partiti facciano filtro e indichino amministratori e parlamentari degni di questo nome, per intelligenza, morale, capacità, cultura, trasparenza, operazione improbabile, però, visto che i partiti talvolta puzzano dalla testa.
E allora? Vero che in ogni epoca c’è sempre stato qualcuno che sosteneva che prima andava meglio, tanto che io mi esimo dal farlo, ma è altrettanto vero che si deve fare di più, si devepretendere di più, da se stessi e dagli altri. In fondo, forse, è solo la crosta dell’Italia che non va bene; dentro, il paese è ancora buono. E la crosta è la politica attuale, oltre la mafia, capaci, però, da soli, a incancrenire tutto. Quanti italiani sono più garbati dei loro esponenti politici? Ovviamente la maggior parte, solo che chigrida riesce sempre a sopraffare la moltitudine che lo circonda, e, dopo, a gridare saranno in due e poi in tre. Quel che si grida lo sipotrebbe dire senza megafono, senza insulti e con ricorso al miglior italiano, con la certezza che avrebbe più peso. Ma il peso di moda oggi sono i decibel e, appunto, i toni da osteria.
Forse per questo si associa ai sistemi dittatoriali una specifica ruvidità, che fa a pugni con l’intelligenza, la discussione e il rispetto; cose, queste ultime, che ci fanno apparire la vita ancora come una cosa bella.
Siamo ancora in tempo a tornare a essere umili e gentili, si è sempre in tempo.
Basta cominciare.
(Ho visto e sentito l’ultimo consiglio comunale di Potenza. Nella pochezza generale la questione del braccialetto e della cravatta rossa, non riportati dalle cronache, relativa alla discussione fra Guarente e Tramutoli, mi ha ispirato. Guarente indossa il braccialetto “prima gli italiani”, Tramutoli, che indossa una cravatta rossa, dichiara che si allontanerà dall’aula ogni volta che vedrà indossato il braccialetto, Guarente risponde che allora non si vedranno più. In estrema sintesi ecco, cioè politica davvero alta.Così, per dire. La tesi di Tramutoli è anche giustificata, ma fino alla minaccia di andarsene. Dopo diventa soltanto un infantile “eio non gioco più”).
Diritto e Giustizia, scienza inesatta.
Posted on 03. ago, 2019 by L.P. in Argomenti

Fra le scienze la meno esatta è quella giuridica. Eppure le affidiamo le nostre sorti, le nostre vicende, i nostri diritti. Non che ne abbiamo tanta fiducia, sia chiaro. O meglio, la fiducia è proporzionale a quanto il sistema giuridico ci dia ragione, o si determini nel senso che auspichiamo.
Se vinco una causa è una scienza riconosciuta, riconoscibile, applicata con un metodo perfetto o quasi. Se perdo una causa, no. E proprio quest’oscillare di opinione dà concretezza e sostanza alla sua inesattezza.
Insomma che tre + tre faccia sei, può non andarci bene ma lo accettiamo come dato di fatto ineludibile. Se tizio è innocente, invece, non lo sapremo mai con assoluta certezza, perché quel giudizio è il frutto di una ricostruzione di fatti e di una interpretazione delle norme che ha nella soggettività più assoluta la sua caratteristica principe.
Basti pensare agli errori giudiziari, quelli noti, immaginando quanti ce ne siano di ignoti, per comprendere quanto una sentenza possa essere sbagliata.
Basterebbe rimanere a discutere sull’ultimo rigore concesso alla Juventus, per scoprire quanto sia possibile, nella scienza giuridica, affermare il bianco o il nero con la stessa sicumera.
Pensate a una deposizione testimoniale e ai sensi che possono darsi a un’espressione facciale del teste: chi lo vedrà timido, chi spavaldo, chi bugiardo e chi sincero. Ma pensando al diritto, una norma può trovare mille applicazioni, l’una diversa dall’altra, senza che si possa affermare che l’una sia più giusta dell’altra in maniera schiacciante. Del resto se uno si prendesse la briga di dedicarsi alla lettura delle sentenze di merito, ne troverebbe tante contrastanti fra di loro, e non parlo di Cassazione, sebbene sia uguale, soltanto perché in Cassazione ora ci possono andare solo i ricchi sfondati. Io sono convinto che in moltissimi casi si decide prima cosa sentenziare per poi costruirci sopra la motivazione adatta.
Ecco potremmo definirla una scienza umana, troppo umana, inesatta. Quindi insuscettibile di atteggiamento rispettoso senza se e senza ma.
La conseguenza è che una sentenza è sempre discutibile, benchè pesi per gli interessati come il risultato di un’addizione.
E’ il compromesso che hanno individuato le società civili per provare a evitare il far west. Il risultato è comunque ben scarso, perché il far west non è evitato, tanti reati rimangono impuniti e il cavillo regna sovrano.
A volte poi, questa scienza inesatta, riesce a fermarsi ai nastri di partenza. Penso ai rilievi formali, di carattere processuale che i giudici più abili ricercano con passione per evitare di affrontare il merito delle questioni. “La sua domanda è inammissibile” perché tardiva, per esempio, e ingiustizia è fatta, perché semmai quello aveva ragione da vendere, ma visto che lo spettacolo deve continuare, cioè la vita deve andare avanti, l’accertamento dei diritti viene cosparso di mine antidiritto, le cosiddette decadenze, che fanno scoppiare il richiedente aiuto col suo diritto in mano, senza che nemmeno ne conosca il motivo.
Insomma c’è materia per ritenere che la giustizia sia solo un palcoscenico dove vanno in scena atti, più o meno drammatici, da subire come i talk show la sera, dal lunedì alla domenica e senza che la vera vita sia messa in scena, ma solo la sua parodia. Una parodia con effetti devastanti, comunque, per gli interessati.
E niente. Ci mancava solo che ai magistrati si desse più importanza e autorità del necessario per completare una autentica frittata.
Come se ne può uscire? Ma abolendo la giustizia!
Ma no, dai, scherzavo.
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