Coronavairech
Posted on 27. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Se ci fosse stato uguale urgente affanno per le precedenti epidemie, o per l’inquinamento lucano, o per la carenza di parcheggi o per l’esosità delle tasse, oggi saremmo un popolo diverso.
Credo.
O forse no.
Il risultato più importante, comunque, questo vairus lo ha prodotto nel portare in tv il duo Conte e Speranza in maniera superiore, addirittura, alla pubblicità di Tim.
Io, notorio zozzoso, ora dovrei lavarmi le mani con consapevolezza Zen dieci o più volte al giorno. Io, che mangio quel che è caduto per terra e dormo col cane sul letto. Io, che una saponetta mi dura un mese e mezzo. Ma mi piace obbedire. Quindi lo farò.
La magia dell’obbedienza sta nel non aver bisogno di capire il perchè, limitandosi a eseguire gli ordini. Porta serenità e felicità. Nei limiti, beninteso, ma diamine, funziona così.
Vuoi mettere col tormento del raziocinante senza tregua. Via via.
Mi dovessero ordinare di fare la fame la farei.
Zozzoso ma soldato.
Quando mi prescrivono una dieta, semplicemente la faccio.
Unica deformazione, oserei dire professionale, sta nel pretendere uguale comportamento da chi nell’obbedire deve relazionarsi con me.
Esempio: se un tipo deve aprirmi una porta alle dieci e non lo fa mi arrabbio. Ma se un mio superiore gerarchico mi dice di stare calmo, mi calmo.
Ma non ho superiori gerarchici.
Vocazione da soldato e destino da cane sciolto.
I migliori soldati sono quelli che non lo sono.
Mi piace vairus. Bravo Di Maio. Anche io storpio le parole all’inglese. Invece di “studio” dico “stadio” infatti. Oppure, inventandomi nuovi idiomi, finisco tutte le parole in ech, tipo da gallo a gallech. Vedrà Di Maio che è ancora più bello. Coronavairech, tipo, insomma.
A ogni modo mi piacerebbe mi ordinassero una quarantena, obbedirei col piglio del kamikaze al quale si ordina di andare incontro alla morte. Ma nessuno ci pensa, uffa.
Quando feci outing
Posted on 24. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

E insomma a un certo punto capii che non mi sarebbe riuscito di tenere oltre il segreto solo per me.
Dovevo dirlo a qualcuno.
Anzi dovevo gridarlo al mondo. Indossare una maglietta con su scritto, a caratteri cubitali, il mio segreto. Sentii dire che si chiamava “fare outing”.
Facile a dirsi, meno a farsi. Ci voleva coraggio e io decisi che ne avrei accumulato tanto da farcela.
Perché no? Mi era riuscito, con la sola forza della volontà, di fare 160 km in bici di seguito, fermandomi solo per fare pipì, bere e mangiare, mi era riuscito di guardare un’intera partita del Potenza, senza gol, senza emozioni, senza niente di quello che si chiama calcio, mi era riuscito di leggere un intero numero della Lettura del Corriere senza prendere sonno, di provare a meditare per un’ora senza capire cosa esattamente stessi facendo, quindi, mi sarebbe riuscito anche mettere assieme il coraggio per gridarlo al mondo, diamine.
Ai genitori, agli amici, ai professori, al parroco, ai vicini e ai conoscenti, sì, l’avrei detto a tutti. Già mi immaginavo la mia futura andatura, anche nella corsa o nelle salite in bici, senza quel fardello, sarebbe stata più lieve, più agilmente spedita.
Quindi cominciai a lavorare sulla mia testa. Ci misi mesi. Ma alla fine ero pronto.
E lo dissi.
Cominciai coi familiari, genitori e fratelli. Passai agli amici e poi a tutti gli altri, finii per dirlo anche a chi non conoscevo e mi stava accanto nella fila per la comunione.
Ai genitori lo dissi balbettando, ma con gli altri finii per essere sempre più disinvolto.
Andò più o meno così la prima volta:
-Sono etero
-Come?
-Etero
-……….
-Mi piacciono le donne.
-Ah!
-Non posso farci niente. E’ così. La natura ha voluto questo!
-Vabbè, poteva andare peggio. Dai, vieni qui e fatti abbracciare. Noi ti ameremo lo stesso.
E così con gli amici, qualcuno incredulo, qualcun altro, più sveglio, mi confessò di averlo sempre saputo, ma tutti, dico tutti, più o meno, compresero.
E io mi sentii finalmente un altro. Non dico fiero della mia tendenza sessuale, che di questi tempi, insomma, non aiuta tanto, ma sapete che vi dico? Noi, intendo come popolo, siamo molto più avanti di quello che comunemente si pensa. Ecco.
Da allora sono cresciuto finalmente più sereno e da grande mi è riuscito davvero di essere me stesso, pur fra mille difficoltà, ma responsabilmente etero.
Quindi non abbiate timore, fate outing anche voi pochi che siete come me. Nessuno farà salti di gioia, ma almeno ora si può finalmente dire. Sono finiti i tempi bui di una volta.
Evviva.
Commissariare l’Italia.
Posted on 23. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Che senso ha bloccare il nord e non il resto d’Italia?
Che senso ha chiudere la Corte di Appello di Milano e non la Cassazione dove arriva gente da tutt’Italia?
Balordi, irresponsabili, cialtroni.
Nominate un Commissario.
Da Palazzo Chigi, Gigio Gigi, cronista per caso.
Posted on 23. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Parliamone.
Siamo passati dal “cazzo vuoi che sia, è tutto sotto controllo” al “non aprire quella porta”. Dalla tranquillità di Stato all’allarmismo che porta Conte e Speranza a fare anche gli straordinari, e senza passare dal via.
Una via di mezzo proprio no.
La conferenza stampa governativa è stata mitica. Un buon 25% è trascorsa in ringraziamenti. Come quando si vince qualcosa, tipo un campionato e chi rappresenta il team vincente ricorda tutti quelli che hanno contribuito al successo, dal magazziniere al cassiere, da chi stacca i biglietti a chi massaggia i muscoli dei giocatori. Però non avevamo vinto niente, salvo cavalcare in solitaria la classifica europea dei contagi, che pure è qualcosa, suvvia.
Il ministro Speranza, che ricordo da quando non diceva niente al Comune di Potenza, per ritrovarmelo a non dire niente da ministro, il che dimostra coerenza e barra fissa, ha, col piglio di chi ci capisce qualcosa, se non tutto, rovistato nel suo forziere di banalità per aggiungere le sue a quelle di un Conte raddoppiato (dicesi raddoppiato quel modo d parlare nel quale si ripete il concetto sempre due o tre volte, usando parole diverse ma con lo stesso significato, e in questo è bravo assai, il premier per caso), ha recitato la poesia di Natale davanti al popolo italiano. In piedi, con i pantaloni all’inglese e i calzettoni blu, dondolando a ogni rima, ha sciorinato il vademecum del “ministro per caso”.
Ma la ciliegina sulla torta va al “coronavairus” di Di Maio. Una perla, una gemma -vedete come ci si Contizza- un diamante in questo deserto culturale. Lui è ministro dell’estero, parla un inglese fluente, ma tanto fluente da trasferire anche nell’italiano le modalità di pronuncia. Di Maio è un mito. Se non ci fosse l’avrebbe inventato l’autore dei Simpson durante una gita a Napoli, giusto per.
Ma è caduta la linea e devo la Arbia. C a o. All pr sa ma.
Gigio Gigi, cronista per caso.
Gocce di sudore virtuale
Posted on 22. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Vivere da rifugiato oggi in Italia.
Evitare i social, non guardare la televisione.
Sfuggire alle telecamere della vita virtuale.
Evitare l’inquinamento mediatico.
Purificarsi.
Speranza è al suo primo vero lavoro, angosciante, non fosse che lo affronta come una partita di subbuteo.
L’avv. De Bonis non è ai domiciliari, è solo diventato Nero Wolfe.
La prescrizione e le bestialità di moda
Posted on 11. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

In TV e sui giornali si sentono e leggono tante di quelle bestialità sul problema della prescrizione e si urlano tanti di quegli inutili slogan da far accapponare la pelle.
A ogni modo quello che sconcerta è che nessuno e dico nessuno pone il problema su quello che davvero non va, e cioè i processi troppo lunghi.
Anche le vittime di reati davvero importanti o comunque raccapriccianti, non se la prendono mai con chi è responsabile della durata dei processi, ma confidano in un blocco della prescrizione, preferendo rimanere nel processo una vita e accettando, quindi, supinamente, che un processo duri una vita.
E’ sconcertante.
Che siano i magistrati o che siano i governi, i responsabili vanno indicati e additati.
Che si tratti di magistrati che non lavorano abbastanza o di situazioni critiche dove non si può lavorare data la scarsezza di mezzi e di persone, il rimedio va posto, una volta per tutte. Inutile parlare dell’esempio americano, perché lì i processi si fanno velocemente, quindi la prescrizione è un dettaglio davvero trascurabile.
Bisogna infatti parlare anche di quegli imputati che sono innocenti e che tali saranno per la giustizia solo dopo troppi anni di vicende giudiziarie.
Invito chiunque a guardare come procede un’udienza penale per farsi un’idea, senza sproloquiare a vuoto. Il fiato lo risparmiasse per altre e più serie cose.
La verità è che ci sono tribunali che funzionano e tribunali che non funzionano e a nessuno frega granché.
Sezioni bloccate per mesi per mancanza di magistrati, ruoli appesi, decisioni contingentate, fissazioni di udienze dopo mesi e mesi. BASTA!
Ma gli avvocati non sanno badare a se stessi e il legislatore è un broccolo lesso da troppi decenni, salvo mostrare bravura nell’aumentare i costi di una giustizia che non funziona col solo scopo di disincentivarne l’accesso.
Che Repubblica delle banane, l’Italia.
E ora la finissero coi loro discorsi quotidiani. A volte penso che anche la prescrizione sia diventata un diversivo per distrarre la massa da veri e più importanti problemi, oppure è la solita manfrina perché un partito vuole una cosa e un altro partito un’altra. Ma vergognatevi.
La Nausea, da Sartre alla Basilicata.
Posted on 09. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

La politica dell’occupazione delle poltrone.
Ma è possibile che un fanatico della politica, che la fa attivamente da giovane, punti, inequivocabilmente, solo a una poltrona di un qualsivoglia ente? Non è preferibile farla, la politica, con le mani libere, senza cioè faccende amministrative da svolgere e senza il legaccio di un indennizzo più o meno pingue?
La politica è nauseante.
Notare come interi nuclei familiari siano in ascesa o in picchiata a seconda di chi comanda è sconfortante.
Dicono che le persone per bene non si avvicinano alla politica. E’ sbagliato. La verità è che le persone per bene vengono cacciate dalla politica o, al più, relegate in un angolo e rispolverate per un convegno o congresso, per la vetrina.
Il cambiamento viene sbandierato come un mantra capace di portare la felicità, ma è uno slogan che fa ormai solo sorridere.
Non c’è un politico diverso da un altro. La razza si è affinata.
Lo ammetto, soffro di una forma di razzismo latente, è quello che riguarda i politici nei confronti dei quali non riesco a nutrire più alcuna considerazione, pur restando costretto a subirne le evoluzioni da circo: oggi la piroetta la fa uno, domani un altro. Ma la piroetta è sempre la stessa, un carpiato con spiccata tendenza all’egoistica affermazione.
Non curano più neanche la preparazione personale, si avventurano in vicende che dovrebbero essere più grandi di loro, ma che ormai hanno portato giù al loro livello senza provare a elevarsi loro, e noi si vivacchia secondo il caso.
Io non mi fido da anni di nessuno e i fatti mi cosano, quindi ciccia.
E ora facciamo lo stadio. Dodicimila posti? Ma facciamo quindici e non se ne parli più.
Davinik colpisce ancora.
Posted on 06. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Diceva Epitteto che abbiamo due orecchie ma una sola bocca per poter parlare la metà di quanto ascoltiamo.
Se però tutti ci comportassimo così, finiremmo per stare tutti sempre zitti, perché io ascolterei diciamo 10 e parlerei 5, chi mi ascolta a sua volta parlerebbe 2,5 e via discorrendo.
Quindi diciamo che era un consiglio per pochi.
Oggi si parla molto, forse troppo. Oppure diciamo che le fonti di provenienza delle parole altrui sono considerevolmente aumentate.
Ha cominciato la radio, seguita dalla tv, ma con l’arrivo di internet e dei social siamo in grado di percepire il pensato (poco) e il parlato (molto) di tutti o quasi gli esseri umani.
Se il discorso squilibrato di un ignorante una volta rimaneva circoscritto al suo bar, oggi lo tracima e ti arriva sul cellulare assieme al risultato della Juve. Ma nel contempo anche il pensiero illuminato di una persona intelligente segue lo stesso percorso, così come l’ironia di tanti, oggi, ti arriva a casa, talchè il video esilarante si diffonde, per esempio, più velocemente dell’influenza e una notizia, che sia bella o brutta, ti colpisce quasi in diretta.
Evidente che il ritmo della nostra vita è aumentato a dismisura e una insensata velocità caratterizza i nostri comportamenti. Ancora per esempio, se ti viene una battuta hai l’ansia di condividerla col mondo e solo dopo ti senti soddisfatto. Sembra una malattia e forse lo è davvero.
Quando frequentavo l’università, ricordo che le telefonate coi miei genitori erano settimanali. Oggi genitori e figli, anche se nella stessa città, si telefonano almeno tre o quattro volte al giorno, se non di più.
Ricordo che un mio coinquilino di Marsala telefonava alla madre soltanto quando finiva i soldi, e la sua conversazione, gridata e quindi udibile anche dal vicinato, consisteva in una esplicita e imperiosa invocazione “ i suordi! Mannaia la miseria, i suordi!” e chiudeva con grinta la cornetta per evitare di spendere troppo.
Da un paio di giorni sto sperimentando un uso contingentato dei social e di ogni divagazione consentita dal palmare, tipo giochi vari e messaggistica, per lo più inutile, e mi sono accorto di avere a disposizione tanto di quel tempo in più per poter realizzare progetti che avevo in testa e che mi sembrava di non poterli portare avanti per mancanza, appunto, di tempo.
Ma il richiamo del palmare è forte. Bisognerà resistere però, con tenacia e vigore, per vedere come andrà a finire.
In fondo è meglio leggere un libro in più che disquisire eccessivamente sul nuovo stadio di Potenza; per quest’ultimo argomento, diventato importante come lo fu la caduta del muro di Berlino, ma forse anche di più, a margine che due risultati negativi e un abbattimento del numero degli spettatori sembrano aver già infranto l’incantesimo e appassito gli ardori -pensa che ti fa un rigore sbagliato, per dire- basterebbe un post al mese, diciamolo francamente, ogni post in più rischia di infrangere il principio di Epitteto, in fondo, sempre che si ritenga di far parte dei pochi destinatari del pensiero del filosofo, presunzione a parte, ovviamente.
Ma con questo cosa volevo dire?
Non lo so, ma i conti mi cosano e quindi ciccia.
P.S.: il titolo, evidentemente, non ha alcun collegamento col contenuto del post, per specifica scelta editoriale che affonda la sua logica nella tecnica della rete da pesca. Si scherza, ovvio.
Prescrizione e quant’altro.
Posted on 05. feb, 2020 by L.P. in Argomenti

Da qualche ambiente della magistratura si assume che il blocco della prescrizione sia qualcosa di inopportuno. A margine le labili e rare discettazioni sulla sua antigiuridicità e le inesistenti considerazioni sulla circostanza che il problema non è la prescrizione e il suo blocco, ma i processi che non finiscono mai, rimane lo sconcerto per la fatica immane che appare all’orizzonte.
Le Corti di Appello, siccome la Corte di Cassazione non potranno più sfoltire i ruoli con sentenze di applicazione della prescrizione, ma dovranno fare i processi, tutti. Quindi se questi sono già lunghi l’impossibile, con il blocco della prescrizione diventeranno eterni e causeranno una stasi della giustizia immane.
Per gli avvocati, parliamoci chiaro, prescrizione bloccata significa più cause e più introiti, ma si battono contro il suo blocco per un motivo di civiltà giuridica.
Verrà capito questo passaggio?
Ne dubito, perché gli avvocati hanno torto a prescindere, come sostenuto dal duo Davigo-Travaglio.
Gli avvocati sono arrivati a un punto tale di irrilevanza da far vergognare i padri della professione, quelli che per autorevolezza e situazione economica, spessore giuridico e morale, erano molto rispettati, e da tutti.
I magistrati, prima, lavoravano e punto. Oggi vanno in televisione, fanno i politici, scrivono gialli o romanzi che scalano le classifiche di gradimento dei lettori e non di rado scrivono di diritto, su riviste o attraverso monografie o voci di enciclopedie, tanto che la voce stipendiale, già notevole di suo, perché aumentata nei decenni in maniera superiore a ogni altro stipendio, può diventare il contorno di maggior e più lauti guadagni. Hanno insomma acquistato una credibilità superiore anche agli effettivi meriti, in linea generale, tanto da superare senza danni anche i non rari casi di corruzione che non arrivano ad intaccarne la generale fiducia.
E’ il mondo che cambia, cari avvocati, accettate la situazione e magari bofonchiate di meno: un Davigo o un Travaglio ve li siete proprio meritati, infatti avete deciso, o accettato, che il numero si ingigantisse oltre ogni necessità, mediante un accesso alla professione quantomeno bislacco, che il livello medio si abbassasse sempre di più e che il credito morale della categoria, prima inestinguibile, si esaurisse. Ricostruire non sarà facile, perché l’avvocato non sembra più generalmente affidabile, non è tutelato nei guadagni ed è anche sfruttato dallo Stato che fa ricadere su di lui i costi del patrocinio gratuito, riconoscendo quattro lire ai difensori dei non abbienti e liquidandole, queste quattro lire, dopo troppo tempo. Una categoria ormai debole e, appunto, totalmente irrilevante.
Pazienza. Tanto io, almeno, insegno i Riti Tibetani, vuoi mettere?
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