La scelta costituzionale di limitare le capacità legiferanti dei referendum, non fu una scelta causale. Né fu dettata da una visione miope della democrazia. Tutt’altro. Soltanto si tenne conto del fatto che una democrazia rappresentativa, con le due camere perfettamente funzionanti, avesse in queste il luogo deputato per emettere una legge; un luogo dove le necessarie discussioni potessero indirizzare al meglio le decisioni. Credo che abbia influito, nella scelta dei costituenti, anche la considerazione che una decisione popolare, in genere più umorale che ponderata, più faziosa che saggia, tipo “liberate Barabba e crocifiggete Gesù”, non fosse il meglio per una democrazia, giovanissima, ma molto ambiziosa. Poi, pian pianino, l’uso del decreto legge ha soppiantato il lavoro delle camere, rendendole, ormai, ameni luoghi di inutile chicchiericcio, dove il massimo dell’espressione politica è l’obbediente alzata di mano; il che, peraltro, dovrebbe far riflettere sull’odierno meccanismo, non più rispondente ai suoi principi fondativi. Diversamente argomentando, ha un senso un referendum proposto da una forza politica assolutamente minoritaria, come lo erano i radicali, impossibilitati numericamente a imporre una discussione in parlamento, ma portatori di sensibilità particolari, mentre non ne ha davvero nessuno quando a proporre un referendum sia una forza politica dal grande consenso, meglio ancora se più forze politiche che, assieme, fanno quasi la maggioranza. In altri termini, se una maggioranza politica anziché proporre/imporre un dibattito parlamentare per proporre una seria modifica legislativa, ovvero una nuova legge, si limita a promuovere un referendum, significa che il sistema ha perso ogni forma di democrazia sostanziale, che il parlamento non conta un fico secco e che i partiti che sostengono il governo non riescono a incidere neanche sull’ora di apertura della bouvette; hanno accettato, cioè, un ruolo tanto marginale, quanto servile, nei confronti chissà se di una persona o se di una astratta entità senza nome, e la promozione dei referendum sta a dimostrare però che rimangono dei bimbi monelli, vivaci, ma nulla più. Non discuto la bontà dei referendum in via di promozione: la giustizia è al capolinea da tempo, e, in tempi di alta velocità, viaggia al ritmo delle calabro-lucane degli anni settanta; una vergogna inaudita venduta a carissimo prezzo: come essere costretti a pagare cento euro per ogni chilo di mele marce. Quella che discuto è l’ennesima, perentoria, sbeffeggiante presa per i fondelli degli italiani, costretti a convincersi che una forza di governo, per fare una legge sacrosanta, in un sistema di democrazia rappresentativa, debba chiamare a raccolta il popolo, per poi, semmai, fatta la legge, trovare il solito inganno, come chi ha memoria può ben ricordare, soprattutto in tema di giustizia, dove, evidentemente, gli interessi e i poteri in ballo sono più grandi e importanti di tutti gli italiani messi insieme e moltiplicati per due .E allora, fin quando partiti di governo promuoveranno referendum, vorrà dire che l’unica (spuntata) arma in mano alle minoranze (sociali, politichi ed etiche) è stata fatalmente espropriata e che di democratico c’è rimasta solo la possibilità di cambiare canale in TV, pensa te!, per scegliere nientepopodimenoche Gruber anziché Palombelli. Insomma, di che esserne davvero orgoglioni.
Il bene del paese, l’espressione più screditata dalle mille e una declinazione.
Posted on 22. set, 2021 by L.P. in Argomenti

Chi non evoca il bene del paese per giustificare le proprie gesta politiche?
Il fatto è che se il tal partito vuole fare una cosa, e il tal’altro partito ne vuole fare un’altra opposta e contraria, entrambi beninteso per il bene del paese, mi sorge il dubbio che si sia fatto un uso indecente dell’espressione.
Se poi, alla fine, scopriamo che il bene del paese per Draghi è ancora un’altra cosa, è chiaro che con l’abusata espressione non solo non si sa cosa si dice, ma probabilmente se ne fa un uso improprio, cioè si imbroglia la gente.
Draghi esordì col favore di tutti per l’incapacità dei partiti anche solo di mettersi d’accordo per un fine comune, importante, come la soluzione della crisi, sanitaria ed economica.
Si trovarono d’accordo soltanto per scrollarsi il problema dalle spalle e per deporlo su quelle di Draghi, evidentemente ben più possenti di tutte le loro messe insieme.
Dichiararono la loro fine, i partiti, ma ancora non ne sono consapevoli.
Si sono offerti al ridicolo, innanzitutto, ma hanno consegnato il paese nelle mani di Draghi, il quale ancora non ci ha spiegato cosa significhi, per lui, il bene del paese.
Di riforme non ne ha fatte. Ha restituito nelle fauci del fisco la fragile stabilità economica di milioni di italiani, ha abbozzato una riforma del processo civile, schiava di una veduta di parte del problema, quella dei magistrati, veduta che finora ha partorito riforme fallimentari, ma i veri problemi, sebbene ci siano soldi per rifare tutta l’Italia e affrontare tutto, sono tutti ancora lì e non si è neanche capaci di eliminare contraddizioni tanto evidenti quanto ingiuste nella battaglia sanitaria.
Dove c’è da investire, trasporti, scuola, fisco, lo Stato latita, come con Conte e con chi prima di lui; dove c’è da prelevare lo Stato risponde un presente squillante e cristallino. Eppure Draghi aveva esordito con una roboante frase “non è il tempo di prendere, ma di dare”, sottoscrivendo come ogni politucolo uno slogan destinato a rimanere tale.
Aver consegnato le chiavi della vettura Italia a un banchiere, alla fine, potrebbe risultare una mossa suicida. E tale fin d’ora è per la politica, che non esiste più, salvo che per riempire gli inutili talk show.
Gli osanna del primo giorno nei confronti del banchiere neopromosso dio in terra, lasceranno il passo a feroci ripensamenti e rimorsi divoranti, ma sarà troppo tardi.
Signori politici avete fallito e la relativa sentenza ve la siete scritta da soli. Irresponsabili, davvero irresponsabili, perché una vostra personale fine sarebbe anche stata auspicabile, ma la fine della politica no. Questo è il danno più grave che l’avvento di Draghi poteva comportare. Non lo avete calcolato, perché non siete capaci di calcolare niente. Ora mentre voi continuate a giocare, lautamente pagati, verranno fuori ferite inguaribili che gli italiani si leccheranno da soli.
Un Draghi crocerossino, infatti, non lo immagino proprio.
Il referendum, la grande presa per i fondelli degli italiani. Radionoff.
Posted on 05. set, 2021 by L.P. in Argomenti
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