Esegesi di un decreto sindacale, con pernacchia finale.
Posted on 15. apr, 2023 by L.P. in Argomenti

Un decreto sindacale è più o meno come un regio decreto. Redatto, cioè, dalla massima autorità esistente sul territorio (parola, dico territorio, abusata, invero, ma proprio per questo ben riferibile a soggetti che, per naturale propensione, per scelta di vita e per una sorta di guerra dichiarata alle sofisticherie di un linguaggio forbito, fanno dello slogan una forma di poesia) autorità che, per dirla tutta, i re di una volta se li mette sotto il braccio.
E tanto è vero quanto appena detto che nel decreto sindacale che regola la scelta del prossimo amministratore Unico di Acta si trova scritto, come fosse inciso su una delle dodici tavole, che, per esempio, “i requisiti generali, ivi indicati, si uniformano di diritto alle disposizioni delle leggi dello stato”. Come dire che, pur se si trattasse di una emerita cazzata, di diritto, la cazzata si uniformerebbe alle leggi dello stato, vista, evidentemente, la natura divina del redattore.
Quello che si richiede, in via generale, al futuro A.U. di Acta sono doti di elevata qualità morale, e qui il campo si restringerebbe in maniera abnorme, non si trattasse di formule di nessuna importanza e, udite udite, competenze tecniche, giuridiche e/o amministrative adeguate. Cioè, o giuridiche o amministrative, che assieme pure sarebbe troppo.
Ma è quello che si richiede in maniera specifica che illumina. Illumina perché è una ripetizione dei requisiti generali, non bastassero loro. Ci vogliono, infatti, nientepopodimeno che competenze appunto tecniche, giuridiche e/o amministrative, non si fosse capito prima.
Non occorre una laurea, e pure è giusto, perché infatti vadano discriminati i diplomati ancora non si è capito, per cui quelle competenze tecniche e giuridiche e/o amministrative vanno provate attraverso il proprio personale giudizio ben inserito nel curriculum vitae.
Ma veniamo a un’esegesi più sottile.
Le competenze tecniche, che non vanno provate, per esempio, attraverso una laurea, possono consistere in quello che vi pare. Si potrà, per esempio, dire “riconosco bene la plastica, so capire cosa è una carta, del vetro ho ampia conoscenza avendo bevuto molta birra”. Quanto alle competenze giuridiche, visto che non occorre essersi laureati in giurisprudenza, basterà aver studiato diritto alla ragioneria, ovvero sapere bene che diritto è il contrario di storto. Per le competenze amministrative, alternativa a quelle giuridiche, basterà sapere che il Comune di Potenza è un ente pubblico e che un dirigente è parte della burocrazia, anche se non lavora tanto, per dire.
Il prescelto dovrà godere della fiducia del Sindaco, il quale opererà una scelta, nonevèro, appunto in quanto sindaco, insindacabile, perché il pallone è suo, perbacco, e il rigore lo batte lui.
Aboliti i titoli di studio, che fa tanto democratico e sei politico, conferito ogni potere alla divinità del territorio, la cittadinanza è così garantita dai criteri cosiddetti meritocratici, che di oggettivo mantengono solo l’odore, se pure.
Poi dice che i laureati, alias le intelligenze, emigrano. La laurea non è più titolo spendibile, ed era ora, perbacco, visto che di lauree, a livello di politica locale, non ce ne sono poi tante e che si sono dimostrate inutili, in favore di una versione più artigianale dell’amministrazione. Certo, puoi anche essere laureato ed essere scelto dal sindaco, ma averne escluso la necessità restituisce dignità all’ignoranza, ormai sdoganata anche nei bandi e nei regolamenti.
Un poderoso passo in avanti di civiltà giuridico e/o amministrativa, verrebbe da pensare, una rivoluzione culturale (!) che ridimensiona ingegneri e avvocati, medici e sapienti, filosofi e professori, perché competente è chi è scelto dal sindaco e punto. Insindacabilmente, of course.
PS: sebbene di provenienza regia, il decreto è impugnabile, ricorribile e soprattutto spernacchiabile.
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