Democrazia, governo della legge.
Posted on 27. gen, 2019 by L.P. in Argomenti

Cosa differenzia la democrazia da un sistema totalitario?
Di certo non il numero di chi comanda, in ogni caso risicato; piuttosto è la possibilità, regolamentata per legge, di controllare che chi esercita il potere non degeneri.
Questo presuppone che le istituzioni funzionino per come sono state inventate.
L’abuso del voto di fiducia, per approvare una legge disegnata da chi tanto non dovrebbe fare normalmente, ma solo in casi eccezionali e con verifica successiva, per esempio, comporta una limitazione al funzionamento della democrazia parlamentare, quindi un controllo importantissimo in meno che mina l’effettiva democrazia.
Il dibattito parlamentare non sarebbe inutile, infatti, laddove ognuno, singolarmente, divenisse portatore di una diversa interpretazione, nel confronto delle quali, provare a prendere la decisione migliore.
L’esercizio della democrazia, infatti, per dirla con Popper, non è governo del popolo, ma governo della legge, il rispetto della quale ne costituisce il primo fondamentale pilastro.
In democrazia non si chiede al popolo di adottare decisioni, ma di esprimere un giudizio.
Per esprimere un giudizio il popolo deve avere capacità critica, ma soprattutto uscire dall’orto dei propri interessi personali o di gruppo, quindi non guardare al proprio personale problema ma ai problemi e agli interessi pubblici e ritenerli come propri.
Senza di queste elementari regole democratiche, semplicemente non si ha democrazia.
E vengo alla Basilicata, dove i colpi di coda di un sistema che ha fallito e si sta disgregando nella lotta di successione continuano imperterriti con la distribuzione degli incarichi ai fedeli di quel sistema Basilicata che con la democrazia ha davvero poco a che fare.
Bene, siamo in procinto di scegliere chi comanderà per i prossimi cinque anni. Il sistema esistente si tutela con l’occupazione delle poltrone, volani del consenso, in una maniera spocchiosa, arrogante e totalitaria, ma la domanda è solo una: sarà capace la Basilicata di scegliere assecondando la sua, se esistente, capacità critica? Saprà uscire dall’orticello del proprio interesse personale e ritenersi affrancata, finalmente, dalle “cortesie” ricevute sotto forma di raccomandazione e suoi succedanei?
La Basilicata aspetta risposte concrete, in questa maniera affidandosi alla scienza, anche questa se esistente, di una classe politica scadente. Sarebbe il caso di cominciare, invece, a porsi delle domande, anziché aspettare delle risposte a problemi neanche superficialmente studiati. Domande su cosa sia necessario, prioritario e urgente, su cosa vogliamo diventare, come società e come territorio, sull’esigenza di una migliore diffusione delle conoscenze e una scuola migliore, sullo stato etico delle istituzioni, su quello della società, su come uscire dai personalismi, su come affrancarsi dal potere dispotico di chi comanda senza scrupoli, su come crescere come comunità, su come vediamo l’esercizio della democrazia. Le domande più sono numerose, più liberano l’immaginazione. Senza avere certezze, chè queste non sono proprie della democrazia, ma di altri regimi, senza volerle vendere con un tweet o con un post su Facebook, ma con la consapevolezza della molteplicità della verità, mai assoluta, mai per così dire finita, ma in continua evoluzione, provando, quindi, a starle dietro, ognuno con la propria visione da offrire e scambiare gli uni con gli altri. Questo se vogliamo difendere la democrazia, da noi mai seriamente atterrata, e non passare da un padrone all’altro. Perché se è vero che il centro sinistra ha fatto della Basilicata un ignobile feudo, è altrettanto vero che l’attuale opposizione né formata né matura, sarebbe capace solo di perpetuare il potere cambiando qualche protagonista ma confermando il metodo.
Sogno programmi elettorali zeppi di domande, risparmiando a tutti risposte apodittiche, irrealizzabili e/o pittoresche, altrimenti chiamate promesse. Mi ritroverò, invece, una campagna elettorale misera, come sempre, temo.
In fondo chi verrà proposto come governatore non ha molta importanza, anche perché si prospettano, sempre più, candidature che potrebbero riproporre uno schema già collaudato dalle nostre parti, che parte da un lato per finire a un altro, laboratorio, chissà, di un futuro politico nel quale Forza Italia e quel che resta del PD potrebbero riproporre quel compromesso che ha di fatto accoppato la democrazia in Italia.
Stato della democrazia.
Posted on 16. gen, 2019 by L.P. in Amenità, Città di Potenza, Commenti, Regione Basilicata

Stato della democrazia.
Diagnosi: difese immunitarie della popolazione al livello di guardia. Rischio infiammazioni, contaminazioni, malattie virali, peste e lebbra. Il sistema di difesa ha alzato bandiera bianca e non filtra più i tweet, le foto, le divise indossate da ministri sempre in clima carnevalesco. Del pari i virus provenienti dalle opposizioni varie colgono impreparati i cittadini, bersaglio fisso dei social e del televisore.
I leader, in continuo contatto unilaterale con la popolazione, respingono ogni tentativo di mediazione, rimanendo arroccati nella suite extra lusso riservata alla casta dei politici, i quali vivono ai confini, o meglio fuori della realtà.
Terapia: spegnere televisore durante i talk show, rimanendo collegati solo per campionato e champion, eliminare l’applicazione Twitter o segnalare come sgraditi i leader, bannandoli inesorabilmente. Durante le occasioni di incontro coi politici, indossare mascherina bianca, guardare per terra ed evitare i contatti.
Stato della malattia: grave.
Tempi di guarigione: un paio di generazioni, un paio di anni di 5G, salvo complicazioni. In alternativa intervento chirurgico, con asportazione totale del corpo politico tutto e quarantena di tre mesi in ambiente sterile.
Manifesto per una democrazia reale e una giustizia sociale
Posted on 27. dic, 2017 by L.P. in Argomenti, Diritto e giustizia, Politica nazionale, religione, Società e costume
Manifesto per una democrazia reale.
Parte Prima
Il Garante
In democrazia ci si è inventata la figura del Garante quale baluardo di specifici interessi, ritenuti preminenti e di attenzione superiore, di carattere diffuso e concernenti settori importanti della popolazione.
I cittadini, cioè, vengono considerati in gruppi, ognuno contenente specifiche caratteristiche. L’infanzia, i consumatori, i risparmiatori, i lavoratori, ecc. Molte di queste fasce di popolazione si è pensato abbiano dei diritti, spesso affidati, per la loro tutela, a una figura di garanzia che è appunto chiamata, spesso, garante.
A prescindere dalla effettività di queste figure nelle dinamiche sociali e giuridiche che sfiorano questi interessi particolari, spesso prive di poteri effettivamente incidenti nei processi decisori o sanzionatori, può essere utile riconsiderarne ruoli e poteri in termini di democrazia effettiva.
Le figure dei garanti andrebbero innanzitutto tipizzate, quindi la loro autonomia non dovrebbe essere solo dichiarata ma concretamente realizzata.
Tanto per cominciare andrebbe consolidato il filo diretto che lega il garante alla fascia di popolazione che deve tutelare, indi bisogna rendere questa tutela effettiva.
Ne consegue, innanzitutto, che la loro nomina non possa essere politica: dovendo rappresentare e tutelare gli interessi della popolazione nei confronti, anche, dell’attività propriamente amministrativo-governativa provvedimentale e di controllo, che rimane di appannaggio della politica, la loro nomina non può che discendere da libere elezioni circoscritte al territorio di competenza.
Il momento elettorale, inoltre, non dovrebbe vedere protagonisti i partiti per le medesime considerazioni che soddisfano l’esigenza di autonomia della figura del garante.
Conseguenza ovvia per chi scrive, meno per chi fa politica, è che un garante non possa fare politica, neanche dopo la scadenza del suo mandato e per un considerevole lasso di tempo, per evitare che l’esercizio della sua funzione possa essere determinato proprio da un obiettivo personale politico.
Il garante deve diventare, poi, interlocutore privilegiato, in ogni ambito che solo lambisca gli interessi tutelati, se non con poteri autentici di veto, quantomeno con poteri che condizionino l’attività amministrativa in termini significativi.
Corollario di tutto questo è che il garante costituisca figura di sicuro spessore e competenza., non garantita dal semplice favore di un diffuso consenso. E’ immaginabile realizzare una specifica scuola per garanti, anch’essa gestita con autonomia dalla politica, dalla quale sia possibile ottenere un titolo utile per la candidatura.
In tempi in cui la scienza, tutta considerata, è asservita al potere politico ma soprattutto economico e finanziario, però, contemporaneamente sarebbe il caso di garantirne la totale autonomia, anche della scienza, attraverso misure di salvaguardia che rendano effettiva la democrazia.
Sono misure minime di salvaguardia della democrazia, se proprio questo deve essere il sistema politico del futuro, da attuare immediatamente. Misure che dovranno tener conto di ogni momento decisivo della vita di un popolo, se non di più popoli, se è vero che un futuro non è prevedibile se non in una visione unitaria, e non solo di Europa.
Un governo del mondo presto sarà immaginato e realizzato concretamente, soprattutto con riferimento a quegli argomenti di comune interesse, quali l’ambiente, la salute e la giustizia.
Segue.
Democraticamente autoritari, edit. del Roma Cronache Lucane
Posted on 25. lug, 2017 by L.P. in Politica nazionale

A chi capitasse di fare un giro nella vita dei partiti, non sfuggirebbe come gli stessi non conoscano neanche un briciolo di democrazia.
Gli incarichi vengono conferiti dall’alto, e, sebbene il più delle volte rimangano sulla carta, non traducendosi in attività politica, è davvero raro che vengano conferiti attraverso una decisione comune, cioè, appunto, democraticamente.
C’è una gerarchia di capi e capetti, ognuno con la sua sfera di potere, ma diciamo che il potere si suddivide fra due grandi poli: quello nazionale e quello regionale.
C’è il capo che investe in giovani, quello che investe nell’esperienza, quello, ancora, che investe nelle donne, usa molto oggi, ma giusto per apparenza ci scommetterei, e quello che investe in tecnici con competenze specifiche. Ma in ognuno di questi casi il requisito comune è quello di piacere al capo.
Ma oltre a piacergli bisogna che il capo abbia piena fiducia nel nominando, fiducia che viene ricambiata con fedeltà e capacità di autonoma obbedienza particolarmente spiccate.
Sull’autonoma obbedienza c’è da soffermarsi un attimo. Sembra infatti una contraddizione, ma tale non è. E mi spiego. E’ necessario obbedire, su questo non si discute, ma nell’ambito del mandato può esserci una certa libertà; in altri termini l’incaricato, nell’ambito dello specifico compito, può anche lavorare di fantasia, anzi più è originale e più fa brodo. L’interpretazione, pertanto, della funzione ha un certo valore, utilizzabile a fini di carriera. Sia chiaro, però, che, se c’è da scegliere fra fedeltà e originalità, vince la prima; mentre se le due cose si abbinano possibile che diventi ministro giovanissimo, se solo il tuo capo nazionale finisce al governo.
Ma il bello arriva ora, perché i partiti, gestiti in maniera ben più che autoritaria (basti notare che se la pensi diversamente vieni emarginato in un battibaleno e privato di ogni strumento per discutere democraticamente), devono a loro volta contribuire a formare un sistema che è democratico. Cioè, i partiti, la democrazia non la conoscono o la aborrono letteralmente, ma partecipano a competizioni democratiche, democraticamente governano o amministrano o comunque dividono ogni forma di potere o di controllo del potere, se pensiamo all’opposizione, democraticamente.
Quindi se i partiti sono le monadi della democrazia, è bene chiarire che hanno altra consistenza e sono caratterizzati ben diversamente: la democrazia la praticano solo all’esterno, insomma, avendola abolita al loro interno.
Il tanto criticato sistema elettorale dei nominati, pertanto, vige ufficialmente in ogni partito e varrebbe la pena sussurrare, quantomeno, a quei partiti che inneggiano al ritorno delle preferenze, che ben farebbero a cominciare a usarle anche nel loro interno, altrimenti si potrebbe dire, come usa moltissimo, e con una espressione davvero brutta ma gettonata dai politici appunto nominati, “ma di cosa stiamo parlando”?
A chi poi volesse far presente che nel M5S non è così, basterebbe chiedere un minimo di pazienza e comunque far riferimento ai casi eclatanti di Genova o alle facili espulsioni di Pizzarotti e altri, oltre alla facile osservazione che il voto in rete segue pedissequamente le indicazioni del capo, salvo che per quegli argomenti lasciati in pasto alla famelica rete come l’osso in bocca ai cani feroci.
A conti fatti, forse, la democrazia è solo un’idea oppure ha una sola declinazione: la spartonza, questa sì democratica.
Comunque, visto che mi trovo, mi nomino tesoriere a casa mia, perché coi tempi che corrono, dovessimo indire una elezione familiare, possibile che non becchi neanche il mio voto.
Renzi non è Balotelli.
Posted on 15. feb, 2014 by L.P. in Argomenti, Commenti

Magari a pensarci bene è giusto che vada così.
Renzi almeno un po’ di curiosità la suscita. Letta neanche un tantino, era apparso vecchio, stantio, polveroso e inadeguato fin dal primo istante.
Sulla linea del “saputello” c’è continuità, anche se il saputello Renzi sembra uno di quei primi della classe vivaci, un genere raro alla mia epoca, quei primi della classe capaci di ridere e fare scherzi e talvolta prendere una nota. Però, dicevo, c’è continuità. Monti e Letta lo erano di sicuro, saputelli.
Prima di loro non c’era un saputello, c’era uno squalo, sorridente, ma squalo.
Bypassando la considerazione, spontanea, che uno solo bravo proprio non ci tocca, è giusto che vada così.
Il PD ha sempre fatto miracoli, nel senso che è sempre riuscito a comandare, a dare le carte, a monopolizzare tutto il quadro politico, senza averne le capacità. Ed è tanto vero che, ogni volta che ha governato, dopo pochissimi anni, sempre meno del tempo di una legislatura, ha perso sonoramente le elezioni, senza tesorizzare mai il periodo di governo.
Ma ora non ci casca più. Ha capito che il problema si risolve semplicemente non votando. E quindi dopo un Letta neo maestro Zen, ecco un altro nominato da Napolitano e dal PD, tal Renzo Renzi.
La speranza, che non muore mai, fa pensare a più di qualcuno che Renzi, novello mago, cacci dal cilindro riforme e benessere, e lui fa opera, abile, di illusionismo. Inutile dire che non farà sfraceli, sebbene ce li prometta a ogni discorso che fa.
Certo, ci riuscisse,e non importa come, sarebbe un superman. Siamo a un tale punto di cottura, di sfasamento, di depressione, che pur di stare meglio saremmo disposti se di sinistra a dar la caccia agli immigrati, e se di destra a nominarli ministri.
Dice non ci sono più le ideologie. Per un attimo mi viene da chiedere se siano mai esistite, nella pratica, oltre che al bar, da un lato, e dall’altro che senza ideologie viene meno proprio la speranza che poi, fideisticamente, andiamo a riporre nel primo bischero che si fa largo.
L’amore per un’ idea, quando viene sostituito da quello per una persona, verso cui diventiamo veri e propri acritici fan, comporta il venir meno del senso critico personale e di popolo, il venir meno di ogni concetto di democrazia partecipata, per far spazio a un’idea distorta della democrazia, forse dipendente anche da un eccesso di democrazia che, anziché elevare le sorti, livella in basso pretese, sogni e risultati. A sinistra prima avevano delle idee, ora hanno un Napolitano e un Renzi, persone cui si appellano con fede condizionata al buon esito, pronti, al primo spirar di vento contrario, a buttarli nel cestino e salire sul carro del frescone di turno. Lo abbiamo visto coi Bersaniani che ora sono Renziani e che domani saranno testimoni di una nuova eccellenza, di una nuova persona capace di “cambiare passo”, espressione davvero balorda, poco raffinata ma coerente col livello di democrazia eccessiva di cui si diceva prima.
Di eccesso di democrazia comincia a parlarsene seriamente là dove le idee ancora contano, e significa una egoistica interpretazione della libertà che finisce per negare quello per cui nasce la democrazia, che è il senso di popolo, che, nel non sacrificare i singoli, comunque li pone in un grado di importanza inferiore al gruppo. Una libertà scevra di responsabilità conferisce dignità a impulsi solo animaleschi, che stupidamente vengono ancora considerati manifestazioni di libertà, quando, invece, attentano alla libertà di tutti, innanzitutto, e poi di ogni singolo individuo.
E quando la democrazia degenera, attraverso gli eccessi di democrazia, cambia i suoi connotati, e diventa un sistema infernale dove vince il più ricco e il più forte, come in una ipotetica giungla, dove può arrivarsi a sostenere che se sei debole è giusto che tu perisca, sebbene democraticamente. Già succede per i milioni di disoccupati, per gli imprenditori o i depressi causa-crisi che si suicidano, per i veri emarginati, cui viene concesso anche di urlare in TV ma poi che crepassero pure, tanto lo spettacolo lo hanno offerto e quindi non servono più.
Forse questi ultimi dovrebbero rifiutarsi di partecipare al circo, come ragionevolmente il M5S e la Lega pare vogliano rifiutarsi di andare a consultarsi con re Giorgio. I detenuti non possono convivere coi propri carcerieri neanche per la sola ora di libertà, c’è poco da fare, aveva ragione De Andrè.
Considerazioni in pillole
Posted on 24. mag, 2013 by L.P. in Argomenti, Commenti

Una democrazia perfetta è sempre sospesa su un più o meno lieve equilibrio fra i maggiori partiti, che, in generale, sono due. Quanto maggiore è il divario di consensi fra forze politiche, tanto è minore il livello di democrazia. Il prevalere schiacciante dell’uno, infatti, è determinato da un controllo dei consensi anomalo. E’ quello che succede in Basilicata. A livello nazionale c’è evidentemente più democrazia, contemperata, però, da un consociativismo dei partiti di larga portata, che quindi, rende inutile la democrazia. Il consociativismo dei partiti, poi, col potere economico e giudiziario, nonchè finanziario, stravolge la forza della costituzione, delle leggi, delle istituzioni, rendendole meri paraventi delle ignominie più schifose.
Struffoli natalizi
Posted on 25. dic, 2012 by L.P. in Argomenti

Sarà una mia impressione ma ultimamente la democrazia è vista più come un intralcio alla rapidità richiesta dalle decisione cosiddette tecniche, che un valore insopprimibile della nostra società.
L’abuso della fiducia parlamentare e le caratteristiche della formazione e della struttura di vari testi normativi mi confermano l’impressione.
Sembra che l’insopprimibile urgenza di ottenere determinati risultati, che tutto sono tranne che fonte di benessere sociale e individuale, quali ad esempio il pagamento del debito pubblico, possa far bypassare i processi democratici cui cominciavamo a essere abituati.
Attraverso questi processi riuscivamo a limitare il raggiungimento di obiettivi superiori attraverso il sacrificio della maggior parte della popolazione, che, all’epoca, ancora contava su veri e propri difensori (sindacati, partiti, do you rimember?).
I processi democratici, infatti, mediano fra interessi diversi facendo in modo che un interesse non prevalga a scapito di un altro.
E quindi la democrazia sta scomparendo, piano piano, senza che neanche ce ne stiamo accorgendo, anzi continuando a credere che tutto quello che accade sia proprio il frutto, appunto, della democrazia.
Venendo meno la democrazia si moltiplicano le differenze sociali; inevitabilmente v’è una o più classi sociali che non pagano e tante altre che pagano per tutti.
Prendete la classe dei cosiddetti politici, e dico cosiddetti perché il politico di questi tempi è una forma di parassita indistruttibile, e non altro, ebbene per questi non vale la massima della Genesi (3, 19) “guadagnerai il tuo pane con il sudore della tua fronte”.
Pare che la massima sia stata interpretata all’uopo nella seguente maniera:
non ciascun individuo deve sudarsi il pane, ma è sufficiente raccogliere una quantità di sudore pari a quella che produrrebbero tutte le fronti esistenti, seppur a sudare siano soltanto alcune fronti, in questo caso anche a favore di poche che non saranno costrette a sudare.
Ragion per cui le nostre classi dirigenti hanno fatto in maniera tale che una parte della popolazione sudi anche per gli altri, garantendo il pane a tutti.
Non v’è più, se mai c’è stata, equità sociale, e uno gruppo di privilegiati (gruppo nel quale si confondono politici, mazzettari, corrotti, delinquenti, raccomandati, concussi e concussori, spacciatori e mafiosi) sfrutta il resto di malcapitati senza alcun ritegno.
Il cosiddetto mal comune riguarda solo quelli costretti a sudare, non gli altri.
E’, in fondo, una sorta di schiavismo moderno mascherato da democrazia matura.
Comunque non so come concludere questi pensieri natalizi, forse scaturiti dalla vista della cotica cucinata in famiglia cui non mi abituerò mai, non dico al gusto ma anche al solo guardarla, sarà che per la prima volta in vita mia non ho mangiato il brodo “acqua e tacchino” di mia madre, sarà che col diabete non posso obnubilare il pomeriggio natalizio nell’alcool, insomma sarà quello che sarà, ma io non riesco a concludere il post.
E quindi …. lo lascio … in sospeso …………….
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I partiti politici, la tomba della politica e della democrazia
Posted on 17. mar, 2012 by L.P. in Argomenti

Il 15/5/2010 scrivevo il post che segue.
Dopo circa due anni posso serenamente affermare che anche i tentativi di Roberto Speranza non hanno sortito effetto. I partiti in genere, ma soprattutto in Basilicata, sono la tomba della politica, e i loro personaggi dei buffi esseri con una miopia che rasenta la cecità, ma premia i personalismi; e questo, evidentemente basta. A loro. E a noi?
“La politica è completamente imbavagliata, e i partitiSimone Weil sosteneva che i partiti politici andrebbero soppressi. Espresse una requisitoria contro il crimine di abdicazione dello spirito che, invece, provoca il modo di funzionamento dei partiti.
Diceva, ancora, che nessuno aveva conosciuto qualcosa che assomigliasse davvero a una democrazia, in quanto nessuno aveva mai visto il popolo partecipare ad una scelta per così dire collettiva, ma, al più, a indicare qualche nome.
Andrè Breton auspicava quantomeno che le consultazioni elettorali potessero riportare in vigore un sistema di scrutinio che non sfavorisse più, sistematicamente, il candidato che si ponesse come responsabile di fronte ai propri elettori, a vantaggio di chi non deve fare i conti con altri che col partito.
I partiti, in effetti, dovrebbero essere un mezzo per perseguire il bene. Sono diventati, invece, un fine. E il fine di ogni partito è quello di acquistare sempre maggior potere. Hanno un elemento costitutivo assolutamente totalitario, che consiste nel avere come obiettivo solo quello di aumentare il proprio consenso. Leggere Weil fa capire come dopo sessant’anni la situazione, in Francia, come in Italia, non sia cambiata, anzi, se vogliamo, sia molto peggiorata.
Oggi ho sentito che il PD lucano, per voce del suo segretario sta facendo le prove di una democrazia finalmente partecipata, attraverso dei forum e altro. Plaudo all’iniziativa. Anche se unse piovesse, oste!, partito difficilmente recepisce il pensiero di altri, semmai pure esterni al partito, quanto piuttosto cerca di indottrinare i suoi elettori e di conquistarne altri. Meglio sarebbe se la democrazia germogliasse fuori dei partiti, per evitare contaminazioni e condizionamenti. Ma, indiscutibilmente, vedere l’agonia degli altri partiti presenti sulla piazza, a fronte dell’attivismo indiscutibile di Speranza, consacra definitivamente l’assoluta incapacità di buona parte dei politici lucani di fare vera politica, segnando molti punti a favore del giovane segretario del PD.
Temo, comunque, che l’iniziativa difficilmente si tradurrà in vera partecipazione; mi sembra più un’operazione di facciata, fumo negli occhi, ma sarei ingeneroso se pregiudizialmente arrivassi a bocciare l’iniziativa, che, invece, merita, lo ripete un sincero plauso.
Sono partito dalla battaglia ai partiti che intraprese la Weil, perché vado convincendomi che i partiti sono la tomba della politica, e la fabbrica di avventurieri allo sbaraglio, di gente senza scrupoli che assalta, per professione, la diligenza. E, poi, sono passato a commentare l’iniziativa di Roberto Speranza, perché è stato l’unico vagito di politica che un partito abbia emesso negli ultimi decenni in Basilicata. Ho espresso le mie angosce e non ho nascosto il mio gradimento.
Chissà se a destra potrà prendere piede uguale fantasia. Solo così potremmo ambire anche noi lucani a un panorama pluralista. Costringere chi governa a farsi da sè anche l’opposizione e a monopolizzare la partecipazione degli scontenti significa abdicare al ruolo cui si è naturalmente destinati, in cambio della pagnotta per pochissimi. E ora birra come un boccale di bionda.
Il suicidio collettivo
Posted on 13. nov, 2011 by L.P. in Argomenti, Città di Potenza, Politica nazionale

Viva il suicidio collettivo.
E’ l’ultima moda dei politici italiani.
Ma ecco uno schemino facile che riassume la situazione.
Gli italiani votano i loro rappresentanti, perché facciano le leggi e governino.
Bon.
I rappresentati, più o meno democraticamente eletti, danno in appalto le loro funzioni, mantenendo gli appannaggi, a tecnici assunti dietro parere vincolato dell’ente supremo.
I delegati, non avendo alcun rapporto con gli elettori, possono farne strage; unico limite rimane quello di conservare i privilegi dei politici, chè, altrimenti, perdono la delega.
Questa è la nuova frontiera della democrazia. L’ultimo colpo di coda di un sistema in crisi profonda.
Ma in fondo non è un male grave, suvvia.
Se solo pensaste alla lentezza che caratterizza la capacità di intervento del sistema parlamentare, ve ne fareste subito una ragione.
Basta pensare, per fare un esempio, alla riforma delle professioni. Con la legge sulla stabilità sono state aboliti i minimi tariffari. Bravi, bene, bis.
In effetti i minimi sono aboliti di fatto da una vita, anzi, troppo spesso sono state abolite le tariffe e il diritto di essere pagati. Gli avvocati, infatti, di numero spropositato, per acquisire nuova clientela o mantenerla, i minimi se li sono giocati autonomamente da anni, e spesso non riescono a farsi pagare neanche un obolo forfettario, perché la gente soldi per gli avvocati non ne caccia più.
Ma oggi passa come una riforma. Quando è solo un provvedimento che fa ridere.
E allora brindiamo. In fondo una classe politica che finalmente riconosce la sua inutilità è un buon punto di arrivo e di ripartenza.
Augh!
Si starà meglio quando si starà peggio.
Posted on 13. nov, 2011 by L.P. in Commenti

Noi non vogliamo un parlamento di nominati, non scelti dagli elettori, ma designati dia partiti.
Molto meglio un governo di nominati, non scelti dagli elettori, e designati dal Presidente della Repubblica.
E se qualcuno dovesse notare qualche contraddizione nelle mie parole andasse a scopare il mare, una volta per tutte.
Noi non vogliamo la riforma delle pensioni, se deve deciderla un governo di centro destra. Ma la stessa riforma delle pensioni sarà ben accetta se imposta dall’Europa.
Noi vogliamo libere elezioni, perché siamo democratici. Ma non vogliamo incidere sulle scelte dei governi, perché c’è chi lo fa meglio di noi.
L’Italia è una repubblica parlamentare, formalmente, ma sostanzialmente è una repubblica presidenziale. E scusate se è poco. L’Italia fonde il bello di due sistemi. Anzi, di più. Pur concedendo ai suoi cittadini di votare liberamente, concede anche a chi comanda nel mondo di decidere i nostri governanti. Più democrazia di così si muore.
Noi, non voteremo al buio, ma siamo già soddisfatti di quello che deciderà Monti.
Napolitano ha fatto le consultazioni e preparato il governo prima che si dimettesse Berlusconi, ma le consultazioni le ha fatte con l’Europa, con i partiti italiani c’è sempre tempo, casomai le farà in occasione degli auguri di Natale.
L’Europa è contenta della scelta di Monti. Grazie l’aveva scelto lei.
E gli italiani? Sono contenti di Monti?
E chissenefrega.
Del resto quando gli italiani scelgono sbagliano sempre.
I mercati ora sono fiduciosi. Gli italiani meno.
Berlusconi ha accusato un calo di tensione. Pare che stanotte non gli si è drizzato. L’Italia esprime solidarietà.
Si apre un periodo di vacanza molto lungo per senatori e deputati.
Un altro?
In Italia vige un sistema che si chiama “parlamentarpresidenzialebastachesimagna”.
Gli italiani hanno fischiato Berlusconi quando ha fatto l’unica cosa seria.
Bossi andrà all’opposizione perché da padano di pianura non può accettare un governo di Monti.
Molti politici cominciano a chiedersi se non si siano fatti scippare il pallino di mano.
Gli italiani che ieri esultavano, fra qualche giorno saranno disperati, perché le riforme li tartasseranno. E a quel punto ci vorrà la rivoluzione per abbattere un governo di bocconiani che rispondono ad altri padroni.
Ma Monti abolirà le Province? O è già d’accordo per non eliminare i privilegi della politica?
E il PD, PDL, FLI, che appoggeranno Monti, ne hanno già condiviso il programma?
E quale è il programma?
E dimezzerà il numero dei parlamentari?
Già rido.
Augh!
Democraticamente sudditi
Posted on 26. feb, 2011 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

La democrazia. Ma cosa è davvero la democrazia? E la democrazia, quella che si vive in questa epoca, è davvero democratica?
Prendete un dittatore. Per quanto illuminato, prima o poi, la gente si ribella. E poi un dittatore, non avendo un consenso popolare alla base, impone le sue decisioni, e, anche solo per questo, è sempre inviso.
In democrazia, invece, una legge passa a maggioranza dei rappresentanti politici. Il concetto di rappresentanza ci fa metabolizzare che una legge è passata con il consenso della maggioranza degli italiani. Che, di conseguenza, non possono lamentarsi di quella legge, ma, semmai, ironia delle ironie, devono pure sostenerla. Eppure non hanno partecipato a creare quella legge. In verità neanche i rappresentanti eletti ci hanno partecipato. La legge viene imposta dal governo, e i nostri eletti alzano o meno una mano per ratificarla. Pure quando fa tanto schifo da essere, il giorno dopo, bocciata perché anticostituzionale.
Se non alzano la mano, o se decidono secondo scienza e coscienza, rischiano di essere cacciati dal partito, del quale sono semplici dipendenti.
E allora quanto c’è di democratico in una legge qualsiasi?
Se i nostri governanti godessero, poi, di una massiccia fiducia almeno potremmo credere che fanno il nostro bene senza la necessità di andare a verificare, alla cecata, per così dire, per un atto di fede. Ma visto che vengono coinvolti, in larga misura, in procedimenti giudiziari, misure cautelari, sentenze di condanna, evidentemente non possono oggettivamente godere della nostra fiducia. E, del resto, se chiedete agli italiani cosa pensino dei politici, sarà molto difficile sentire belle cose.
Ma poi se un premier dice “cambierò la Corte Costituzionale, sono solo comunisti”, oppure “farò la riforma della giustizia”, non v’è chi non veda che in quelle parole non c’è seme di democrazia, perché un premier non può neanche pensare di poter, da solo, fare leggi e cambiare il mondo. E questo perché semplicemente non è previsto dalla legge. E se lui anche questa legge intende cambiare, attraverso la farsa della votazione alle camere, ebbene vuol dire che quello che pensa Berlusconi della democrazia si ferma alla croce che si mette nell’urna. E cioè al momento della sua investitura a padrone del vaporetto. Un po’ poco per la patria del diritto!
E poi.
Nei regimi democratici, soprattutto all’italiana, v’è troppo margine per il clientelismo. Il dibattito democratico serve solo a spartire, secondo le proporzioni dei risultati elettorali, la tavola imbandita.
Col bipolarismo muscolare che ci ritroviamo, ancora, le cose sono, se vogliamo, peggiorate, perché le spartizioni avvengono all’interno dell’orticello di casa, e alle opposizioni viene riconosciuto solo il cosiddetto osso in bocca per non abbaiare. E in Basilicata, al riguardo, facciamo scuola, pare.
Ma allora è meglio un regime della democrazia?
Certamente no. Ovvio e scontato. Ma questa democrazia non ha nulla da invidiare ai regimi totalitari.
Perché la democrazia, la vera democrazia è difficile da attuarsi. Alla vera democrazia servono uomini responsabili, che conoscano i propri doveri e che abbiano una coscienza. Che credano nell’etica o soltanto nella buona educazione e nel rispetto, di tutti. E che pratichino il buon governo, che rispettino le regole, anche le più semplici, come dare la precedenza ad un pedone da parte degli automobilisti, o fermarsi se si investe qualcuno, o altre cose che altrove sono pacificamente accettate e in Italia no. Nella vera democrazia a chi ricopre un ruolo pubblico, le spalle pesano per la responsabilità, chi è eletto non corre a comprare l’auto nuova, impreziosendola con gli stemmi delle istituzioni dalle quali riceve il sostentamento e i privilegi.
Nella vera democrazia il funzionario pubblico sa di essere al servizio degli altri, non di essere il dispensatore di contentini. Nella vera democrazia ognuno ha rispetto per il proprio lavoro e per quello degli altri, e la solidarietà non è di facciata, o espressa solo davanti al televisore quando danno l’ultima sciagura in diretta.
Insomma nelle vere democrazie, si ama il proprio paese, e si lavora insieme perché sia sempre migliore.
La democrazia è ricerca del bene, dialogando da parti diverse, laddove per bene si intende quello generale, e mai quello particolare.
In Italia non c’è democrazia. E gli italiani non sono pronti per vivere appieno la democrazia. Sono torbidamente portati alla scappatoia, alla furbizia, alla sudditanza comoda all’ombra di un potente.
Temo che di questo si tratti, in Italia. E quindi mi viene spontaneo commentare:” Merda secca”.
Gli italiani, eterni turisti
Posted on 30. gen, 2011 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Ma cosa è un partito? E’ o no un luogo ideale dove si riuniscono intelligenze che hanno un pensiero più o meno comune, per fare politica? E, se siamo d’accordo su questo punto, quali sono le dialettiche di un partito? Sono, o no, il dialogo dal quale emerge un intento comune, un fine da realizzare, una strategia da realizzare? E gli interessi di un partito sono, o no, interessi comuni a tutti?
Diversamente che partito sarebbe? Oppure, sarebbe ancora un partito o non sarebbe piuttosto altro?
E allora, i partiti, in Italia, sono davvero partiti o sono altro?
L’IdV, per esempio, è un partito, o è una struttura piramidale che si identifica con una sola persona, venuta meno la quale, viene meno il partito, non esistendo, alla base, un contenuto ideale?
Spesso si confonde una leadership, pur necessaria in un partito, con il padrone di un partito, che, come tale, dispone di tutto, dalla linea politica, al potere di vita o di morte di quelli che decide di portarsi dietro.
In fondo l’IdV, il PDL e le formazioni minori, non possono essere considerati partiti, ma organizzazioni al servizio di un uomo solo.
Nel PD, o negli altri partiti, le cose stanno diversamente, ma di poco, nel senso che, invece di un padrone, ce ne sono diversi, nulla di più.
Nessun dibattito se non di facciata, e filiere di potere, il cui fine ultimo è la perpetuazione del potere per il potere, al di fuori di ogni obiettivo pubblico o di interesse pubblico.
Altrimenti non si spiegherebbe la qualità media delle classi politiche mai così di basso livello come di questi tempi.
Non si spiegherebbe un parlamento prono alle bizze di pochi politici, e incapace di far sentire una voce significativa.
Altrimenti, infine, avremmo un governo che governa, e non un governo che fa politica e non governa.
Insomma i partiti sono morti, e la partecipazione è nè più e nè meno che la ripetizione di gesti rituali da parte di pochi fidati che interpretano la parte dei militanti, nel vano tentativo di dare l’idea del partito. invece, nei partiti, si eseguono gli ordini, anche sporchi, e l’unico immancabilmente assente è l’interesse pubblico.
A fare questa politica vengono chiamati, di volta in volta, persone fidate, pazienti e acritiche, che fanno volume in maniera statica e scevra di partecipazione intellettuale, come le sagome di legno a far da barriera in un campo di allenamento di calcio.
Per questo l’Italia non si indigna più. Perchè si sente solo spettatrice, e non parte implicata nel meccanismo. Gli italiani tutto si sentono tranne che italiani, sembrano turisti che sorridono davanti allo spettacolo delle buffe, in fondo, risse televisive e non.
L’apparenza è arrivata al punto che, mentre altrove si manifesta per cose serie, come ha detto oggi un editorialista, qui si manifesta per dire bravo a Berlusconi o bravi ai magistrati. Ovvio che i manifestanti sono burattini prestati alla politica, e non gente, da un lato come dall’altro, capace di interpretare il momento attuale per come è buffo. Turisti, dicevo, sembrano solo di passaggio. Tanto, poi, che gliene importa a loro?
Mi oppongo!
Posted on 10. ott, 2010 by L.P. in Città di Potenza

La Regione Basilicata tende la mano al Comune di Potenza. E l’opposizione borbotta. Cosa ci sia da borbottare proprio non so. Ci sono altri comuni che stanno in cattive acque, sostengono due consiglieri regionali, guarda caso non di Potenza. Sarà anche vero, ma un aiuto al capoluogo di Regione, prostrato dai debiti, non mi sembra manovra né ingiusta né inopportuna.
D’altronde, in tutta sincerità, non mi sembra che il Sindaco Santarsiero, da me spesso criticato, abbia aumentato il debito, che, invece, ha completamente ereditato. Certo, da sindaci della sua parte politica, ma questo è un discorso ben diverso che coinvolge tanti altri aspetti.
E allora lasciare che il capoluogo sprofondi sempre più in basso, quanto a servizi da offrire? O intervenire? Considerato che Potenza serve, quotidianamente, anche i lucani della provincia e non solo, ciò rende doveroso l’aiuto, che, semmai, è da ritenere addirittura tardivo.
E poi cosa c’è da lamentarsi se la Regione aiuta il capoluogo di regione in cronica crisi di liquidità?
Davvero sconcertante.
Mi immagino che se De Filippo avesse rifiutato l’aiuto, l’opposizione avrebbe avuto comunque da ridire. Anzi scommetto che sarebbe andata così. E allora questa opposizione diventa risibile.
L’opposizione non deve farsi sempre e comunque e su qualunque cosa; e, poi, su quanti temi molto importanti l’opposizione è stata a guardare? Direi pressappoco sempre. Sicchè la sparata di questi giorni sembra proprio stonata. Un coro fuoricampo che recita sempre una solita stanca filastrocca. Così, signori miei, non si cresce.
L’opposizione deve fare il salto di qualità, in Basilicata, come in Italia. Direi che il male della nostra democrazia è proprio un’ endemica mancanza di seria e costruttiva, oltre che responsabile opposizione. Solo a parti invertite fra la Basilicata e l’Italia.
Io dico, quindi, bravo Santarsiero, che ha cavato soldi alla Regione che, diversamente, probabilmente, sarebbero serviti a rimpolpare le filiere della mala politica. Meglio pagarci le mense, perbacco.
Riflessioni sulla democrazia
Posted on 02. nov, 2009 by L.P. in Argomenti

Democrazia è partecipazione così come una democrazia senza discussione non è democrazia. Ma, alla fase della discussione, segue quella della decisione. Talvolta si hanno anche decisioni adottate all’unanimità, ma è un caso raro. Nella stragrande maggioranza dei casi, le decisioni vendono prese a maggioranza. Il che significa che se, prima di una discussione, si organizza una maggioranza, la discussione è una finzione, perchè la maggioranza ha già deciso. In questi casi, che costituiscono la generalità, la democrazia consiste nel fatto che, trascorso un certo periodo di tempo, possono prevalere maggioranze diverse. Il tutto si traduce nel fatto che, sempre e in ogni caso, le discussioni democratiche lasceranno spazio a decisioni a maggioranza. Le decisioni prese a maggioranza sono, per definizione, decisioni di parte, anche se la parte che le sostiene sia più numerosa di quella che le contrasta. Ciò non toglie, però, che queste decisioni siano tutto tranne che democratiche. Viviamo, quindi, un quotidiano assolutamente non democratico, mentre rimane democratica la periodica decisione di chi debba adottare decisioni di parte. Un tale sistema, che, nel quotidiano amministrativo e legislativo, democratico non è, necessita, quindi, di controlli, affinchè si eviti che le decisioni siano arbitrarie, contrarie alla legge, o soltanto ingiuste. Il sistema dei controlli, però, in Italia si è fortemente indebolito negli anni. Mentre qualche decennio orsono il sistema dei controlli, pur esistente ed efficace, lamentava, talvolta, corrosioni illecite. Il controllo, oggi, lo fa esclusivamente la magistratura, ma trattandosi di controllo esercitato al di fuori della politica e della amministrazione, diventa un controllo esercitato da un altro potere, con la conseguenza che detto ultimo potere può influenzare il primo. Circostanza, invero, inopportuna assai, perchè rischia di trasformare in normalità quella che dovrebbe essere soltanto una estemporanea eccezione. Il controllo dovrebbe, invece, essere prima di tutto interno alla politica, e affidato alla opposizione, che, per giustificare anche la propria esistenza, dovrebbe svolgere un ruolo, appunto, di controllo effettivo, di denuncia, di difesa dei diritti eventualmente calpestati. Una opposizione di questo tipo comporta la necessità della inesistenza di qualsivoglia forma di consociativismo, invece, ben avanzato in Italia, soprattutto ai livelli più bassi, ma non escluso neanche in quelli più alti. In conclusione, si può serenamente affermare che in Italia non esiste vera democrazia perchè nell’ordine: abbiamo la dittatura della maggioranza, l’opposizione non effettua alcun controllo, maggioranza e opposizione spesso si spartiscono il piatto. A peggiorare la situazione esiste un conflitto fra poteri di inaspettata mole. In questa situazione sperare che le cose vadano bene diventa una scommessa, ogni giorno che passa, difficilmente vincibile. Se si aggiunge che è venuta meno anche la possibilità di discutere all’interno dei partiti, come si dice, la frittata è completa. E allora sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche e rifondare questa squinternata repubblica.
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