Dibattito politoco-filosofico, editoriale del Roma Cronache Lucane
Posted on 28. ago, 2017 by L.P. in Argomenti

Dibattito politico-filosofico.
-La domanda è: può un partito sostenere attraverso i suoi maggiori rappresentanti due idee completamente contrapposte senza creare confusione quantomeno fra i suoi sostenitori?
In altri termini può un partito sostenere il bianco e il nero senza sembrare ridicolo?
-Il problema è mal posto, mio caro. Esistono le opinioni personali ed esistono le posizioni politiche dei partiti. Le persone possono, ma che dico, devono pensarla diversamente, ma, attraverso il dibattito interno, producono la linea di partito che si traduce in atti politici.
-Il che comporta, però, un’altra domanda. Possono i rappresentanti politici di un partito esternare al di fuori del dibattito del partito, o almeno prima di questo le loro idee contrastanti?
-Dipende tutto dalla disciplina del partito, ovvero dal suo modus operandi. Può valer la pena esternare le diverse opinioni in uno alla linea ufficiale del partito, dimostrando il percorso logico-politico seguito per stabilire la linea comune. Determinando il percorso di maturazione di una politica partendo dalle monadi costituite dai singoli. Del resto ci si unisce in un organismo poitico per portare avanti una idea comune, sebbene sia ammissibile, naturale e fisiologico avere delle posizioni di partenza differenti. Indiscutibilmente ci sono sacche di tematiche che i partiti possono lasciare alla libertà etica di ognuno, senza dhe un tanto comporti confusione, ma se un partito è fondato sui singoli, questo non può significare annullare le coscienze di fronte a problemi spiccatamente morali.
-Negli ultimi anni si è verificato un fenomeno impensabile solo l’altro ieri e cioè che un partito possa non avere una idea su un determinato problema, ovvero farsela secondo e seguendo gli umori della maggioranza.
-Vero. Ma questo è dovuto alla politica speculativa, quella del “se non governiamo cosa esistiamo a fare?”, caratteristica, questa effettiva e realissima, di vera e propria antipolitica. Guarda, mio caro, spesso, troppo spesso, per antipolitica si spaccia altro, ma la vera antipolitica è assenza di pensiero, vuoto culturale, immaginazione delegata, valori imposti da lobby funanziarie. Il politico innanzitutto, invece, pensa, non può farne a meno.
-Ma questa specie, oggi, è rara.
-Magari. È invece inesistente, o rinvenibile in autonomi microrganismi sociali non determinanti per le sorti comuni e coi quali è stata interrotta ogni comunicazione scientemente. Chi pensa non può pensare anche ad altro in maniera significativa, per esempio a fare soldi, il politico ha un pensiero avulso dall’egoico approccio scarsamente valoriale.
-Quindi, in definitiva, venendo al quotidiano, un politico cosa deve pensare degli sgomberi forzati a Roma, e così come deve comportarsi un partito?
-Dovrebbe ragionare in termini di leggi, diritti umani, opportunità e programmazione della risoluzione completa. Niente che competa oggi a nessuno. Provano a dire quello che gli passa per la mente sperando di farsi nuovi proseliti, robetta tipica del deserto culturale in atto.
-Ma ti riferisci a grillini?
-Mi riferisco a tutti. Perchè tu hai sentito qualcosa di sensato che rispondesse a un ragionamento compiuto?
-No, per niente.
-Come volevasi dimostrare. L’antipolitica imperante. Ma la politica non può morire, le sue braci non devono spegnersi, la fiamma tornerà a riscaldare l’umanità.
-Dici?
-Dico. Ma ci vorranno molti anni e tanto disagio, materiale e soprattutto morale.
-Cioè a noi non toccherà rivedere la luce?
-Non credo, a noi compete, però, conservare le braci.
Democraticamente autoritari, edit. del Roma Cronache Lucane
Posted on 25. lug, 2017 by L.P. in Politica nazionale

A chi capitasse di fare un giro nella vita dei partiti, non sfuggirebbe come gli stessi non conoscano neanche un briciolo di democrazia.
Gli incarichi vengono conferiti dall’alto, e, sebbene il più delle volte rimangano sulla carta, non traducendosi in attività politica, è davvero raro che vengano conferiti attraverso una decisione comune, cioè, appunto, democraticamente.
C’è una gerarchia di capi e capetti, ognuno con la sua sfera di potere, ma diciamo che il potere si suddivide fra due grandi poli: quello nazionale e quello regionale.
C’è il capo che investe in giovani, quello che investe nell’esperienza, quello, ancora, che investe nelle donne, usa molto oggi, ma giusto per apparenza ci scommetterei, e quello che investe in tecnici con competenze specifiche. Ma in ognuno di questi casi il requisito comune è quello di piacere al capo.
Ma oltre a piacergli bisogna che il capo abbia piena fiducia nel nominando, fiducia che viene ricambiata con fedeltà e capacità di autonoma obbedienza particolarmente spiccate.
Sull’autonoma obbedienza c’è da soffermarsi un attimo. Sembra infatti una contraddizione, ma tale non è. E mi spiego. E’ necessario obbedire, su questo non si discute, ma nell’ambito del mandato può esserci una certa libertà; in altri termini l’incaricato, nell’ambito dello specifico compito, può anche lavorare di fantasia, anzi più è originale e più fa brodo. L’interpretazione, pertanto, della funzione ha un certo valore, utilizzabile a fini di carriera. Sia chiaro, però, che, se c’è da scegliere fra fedeltà e originalità, vince la prima; mentre se le due cose si abbinano possibile che diventi ministro giovanissimo, se solo il tuo capo nazionale finisce al governo.
Ma il bello arriva ora, perché i partiti, gestiti in maniera ben più che autoritaria (basti notare che se la pensi diversamente vieni emarginato in un battibaleno e privato di ogni strumento per discutere democraticamente), devono a loro volta contribuire a formare un sistema che è democratico. Cioè, i partiti, la democrazia non la conoscono o la aborrono letteralmente, ma partecipano a competizioni democratiche, democraticamente governano o amministrano o comunque dividono ogni forma di potere o di controllo del potere, se pensiamo all’opposizione, democraticamente.
Quindi se i partiti sono le monadi della democrazia, è bene chiarire che hanno altra consistenza e sono caratterizzati ben diversamente: la democrazia la praticano solo all’esterno, insomma, avendola abolita al loro interno.
Il tanto criticato sistema elettorale dei nominati, pertanto, vige ufficialmente in ogni partito e varrebbe la pena sussurrare, quantomeno, a quei partiti che inneggiano al ritorno delle preferenze, che ben farebbero a cominciare a usarle anche nel loro interno, altrimenti si potrebbe dire, come usa moltissimo, e con una espressione davvero brutta ma gettonata dai politici appunto nominati, “ma di cosa stiamo parlando”?
A chi poi volesse far presente che nel M5S non è così, basterebbe chiedere un minimo di pazienza e comunque far riferimento ai casi eclatanti di Genova o alle facili espulsioni di Pizzarotti e altri, oltre alla facile osservazione che il voto in rete segue pedissequamente le indicazioni del capo, salvo che per quegli argomenti lasciati in pasto alla famelica rete come l’osso in bocca ai cani feroci.
A conti fatti, forse, la democrazia è solo un’idea oppure ha una sola declinazione: la spartonza, questa sì democratica.
Comunque, visto che mi trovo, mi nomino tesoriere a casa mia, perché coi tempi che corrono, dovessimo indire una elezione familiare, possibile che non becchi neanche il mio voto.
Macron e il non partito. Editoriale del Roma Cronache Lucane del 25 aprile 17
Posted on 26. apr, 2017 by L.P. in Argomenti, Commenti, Politica nazionale

È partita la ricerca del Macron italiano. I più accreditati (?) dicono che sia Renzi, sebbene le stesse fonti dicano che hanno perso i partiti e Renzi ne sia, appunto, l’espressione massima.
Ma anche Brunetta e Berlusconi guardano al nuovo prodigio francese con benevolo e lussurioso desiderio.
Ma torniamo all’assunto che fa da ritornello alle primarie d’oltralpe. I partiti classici non li vuole piu nessuno. La finalissima Macron-Le Pen direbbe ciò.
Può essere, dai, la teoria non è peregrina affatto. Ma è solo il risultato di una legge di mercato: quando la mediazione fra produttore e consumatore costa troppo si cerca di eliminarla. Mutatis mutandis, se una lobby vuole governare un paese per fare le politiche che più preferisce, non è più conveniente affidarsi ai partiti, meglio candidare direttamente un proprio uomo e finanziargli la campagna elettorale. Ed è presto spiegato il perché. I partiti per garantire il loro sostegno, tradotto nelle leggi che gradisce la lobby di riferimento, ormai in cambio chiedono troppo: devono sistemare i generali, le loro famiglie e gli acquisiti; poi, devono sistemare i tenenti e poi i caporali e infine i soldati semplici, insomma costano troppo. E poi c’è sempre il bastion contrario, non soddisfatto appieno di quanto ricevuto, c’è chi vuole vendicarsi e chi, con il voto segreto, vota contro. Poi c’è chi vuole i soldi sonanti, chi li vuole all’estero e chi vuole che il figlio entri nel dato studio. E non è che il risultato sia garantito. Per un nonnulla dicono che non si è potuta fare la tal legge e che si deve discutere e nanì e nanera. Ecco, i partiti sono diventati una bulimica e immobile balena che vuole sempre e solo mangiare.
Ragion per cui, farne a meno, è diventata un’esigenza ovvero una oculata scelta economica e strategica. Quindi tu lobby, per esempio, finanziaria, ti scegli un quisque, già ben testato con una esperienza di governo, e lo lanci nell’agone politico. Gli studi campagna elettorale, slogan, abiti e cravatte, gli metti in bocca un discorsetto qualunque che con un discorso di uno statista vero è in rapporto di uno a trecento, ma tanto che ti frega, i partiti fanno addirittura di peggio, e provi a vincere le elezioni. Casomai ti riesce, perché sai come si fa. Fra l’altro l’avversario vero, quello che non ha fatto da comparsa pagata, è tanto amato quanto odiato, sfida il mondo con promesse di decisioni radicali, che fanno sempre paura a chi non vuole veder disturbata la cena a base di insalata e frittata con contorno di programma politico sul tipo dello pseudo dibattito, magari gridato, o moderato ed elegante, oppure, tiè, sussurrato e il gioco potrebbe essere fatto.
Certo, mai gridare alla vittoria prima della chiusura dei conteggi veri, sai com’è, a volte pure i forti e potenti perdono, soprattutto se i deboli diventano troppi e la classe media te la sei giocata con crisi e tasse, quindi profilo basso e un bel cornetto in tasca. Ah, mi raccomando, una bella promessa populista non guasta, anche in bocca a chi populista non può esserlo per definizione, appartenendo ad altra e superiore classe sociale, e col popolo non dividerebbe neanche il tempo della ricreazione.
E i partiti mi fecero responsabile alla comunicazione interna
Posted on 20. giu, 2012 by L.P. in Amenità

E i partiti inventarono l’incarico senza oneri.
Correvano gli anni ottanta e avere un incarico da un partito significava qualcosa.
Poi arrivarono gli anni novanta e avere un incarico da un partito incominciò a significare qualcosa di meno.
Con gli anni duemila la rivoluzione: avere un incarico non significa un cazzo.
-Ti nomino responsabile alla comunicazione interna!
-Wow, e cosa devo fare?
-Amico, non ti allargare ora.
Però fa tanto. Ti senti parte integrata di un gruppo, hai un ruolo, sei qualcuno, nel partito. Ma l’enfasi che accompagna l’incarico (comunicati stampa ecc.) ti fa sentire qualcuno anche nella vita.
E qui cominciano i guai, perché ti scontri con la realtà. Insomma potresti trovare pur qualcuno che della tua importanza non solo non gliene importa un fico secco, ma che non te la riconosce affatto.
Ma tu tiri dritto, perché c’è il partito con te, alle tue spalle, diciamo dietro di te. E, quindi, prova a non piegarti troppo.
Ma in fondo per il partito questo e altro. Perché un giorno si ricorderà di te o dei tuoi figli. Da quell’incarico vuoto di contenuti alla prebenda, alla cortesia, al posto.
I politici, in fondo, hanno ragione a prendersi gioco dell’Italia; fin tanto che esisteranno individui felice di avere un incarico, di portare quella coppola con fierezza (sono il responsabile alla cultura del partito gnegnegnè!), con l’unica speranza di avere a disposizione la scorciatoia della vita, ebbene, continuassero così, che ce lo meritiamo.
E ora tutti a sorbirci il convegno sulla Italia che sarà, se solo porteremo avanti i nostri politici.
Augh!
Bossolo, l’ottavo nano.
Posted on 13. apr, 2012 by L.P. in Attualità

Non mi dispiace la fine che sta facendo la Lega. Si riempivano la bocca con volgari, anche se veritieri, slogan.
Che Roma sia ladrona, è una verità sacrosanta. Ma lo sono anche Milano, Napoli, Bari, ecc. Dove c’è politica c’è ladrocinio, anche autorizzato, perbacco. Vedi i rimborsi ai partiti.
Filtri e controlli non esistono più. Man bassa.
E Monti ci stritola, a noi che paghiamo tasse, facciamo sacrifici, e abbiamo perduto la speranza.
Con un colpo di genio Monti potrebbe azzerare i finanziamenti ai partiti, dimezzare gli stipendi, dimezzare il numero dei parlamentari, abolire le Province, umanizzare le prebende delle Autority, eliminare scorte e auto blu, a ogni livello. E poi potrebbe ritirare le truppe dai territori di guerra. Combattere seriamente l’evasione, andando a cercare i patrimoni nascosti. Velocizzare la giustizia. Insomma una serie di cose dette e ridette, ma che Monti non ha alcuna intenzione di fare.
Lo spread sale e scende indifferente alla “cura montiana”, e tutto sommato dovremmo cominciare a impostare ogni politica ben diversamente dall’attuale sistema che ci vede succubi della finanza, sia buona che cattiva.
In Italia le rendite che non diminuiscono mai il loro valore sono quelle da posizione, le uniche, cioè, che non dovrebbero valere un fico secco.
Ma del resto come possono fare buona politica apprendisti stregoni, imbroglioncelli da quattro soldi, emeriti incolti, gente senza un mestiere né un’arte, quali sono il settanta per cento dei politici d’Italia?
Ho conosciuto politici locali non in grado neanche di mettere quattro o cinque parole una dietro all’altra, figuriamoci i pensieri. E vanno anche per la maggiore.
Dicevano che l’Italia doveva vergognarsi quando, su palcoscenici mondiali, era rappresentata da Berlusconi. Era vero, ma dovremmo vergognarci di tanti altri nostri rappresentanti.
Quando c’è un convegno politico, a parte la “star” e cioè l’invitato di turno, prima dell’intervento clou si fa a gara a recitare slogan, ognuno ne ha un paio quale patrimonio culturale, e va avanti con questi, senza provare vergogna.
Comunque, tornando a bomba: Bossi ha detto che se risulterà che il figlio ha ricevuto soldi per uso personale -quest’ultimo se è consentito con la droga, figuriamoci col vil danaro- lo restituirà. Ma che bravo, che onest’uomo. Io penso che la sola eventualità dovrebbe far vergognare, oltre che dimettere.
Ma c’è una formula per sintetizzare tutto: che schifo.
E un’imprecazione da usare ogni quattro frasi: merda secca.
Per concludere. Le vicende della Lega fanno apparire Bossi piccolo piccolo, quasi un nano, rispetto al gigante di qualche tempo fa. Va bè, fa niente, magari lo chiemeremo Bossolo, e i nani saranno otto.
Ve lo supplico, ve lo perfavoro!
Posted on 12. apr, 2012 by L.P. in Attualità

Quello che più mi squinterna è che la legge sul finanziamento, rectius –rimborso-, se la debbano fare proprio quelli che ne godono.
Pacifico che, poi, prendano tempo e discutano esclusivamente sulla trasparenza dei bilanci e non sulla sua abrogazione.
Ma facciamo un po’ di storia.
Nel 1993 un referendum indetto dai Radicali portò all’abrogazione della legge sul finanziamento dei partiti. Questi ultimi già nel 94 fecero un’altra legge che consente tuttora il rimborso elettorale, che è uguale se non peggio del finanziamento. Una vera e propria truffa, se è vero, come è vero, che con i soldi dei rimborsi si fanno affari, si pagano i dentisti e le multe, o si fanno finanziamenti all’estero e chissà cos’altro.
Pensate un po’, nel 2008 il Popolo delle Libertà ottenne 160 milioni di euro, una enormità.
Sono decenni che il popolo italiano viene truffato.
Aveva espresso una volontà, ed è stato gabbato.
E anno dopo anno viene depredato di milioni, Monti ci tartassa, e Bossi paga la macchina al figlio coi soldi dei rimborsi.
Più che il paese di Pulcinella il nostro è un far west senza pistole, dove il potere è un bandito neanche mascherato, appostato all’angolo di ogni strada per rapinare i malcapitati cittadini.
In Italia non si può fare niente di serio, c’è sempre lo zampino di un politico a imbastardire tutto.
Ora si parla anche di Vendola e del suo primario, inserito in un concorso con un’illegittima riapertura dei termini di partecipazione al concorso. Sarà pure una bufala, ma il contesto è sempre e comunque nauseabondo.
L’unica consolazione è che un tale sfascio sembra parente stretto del crollo definitivo di tutto il sistema. Ma, fino a quando le tavole rimarranno imbandite nelle case degli italiani, il ladrocinio continuerà. Magari ci fosse un rigurgito d’orgoglio civile, che io sollecito col cuore, che porti a una rivoluzione pacifica ma senza tentennamenti. Una disobbedienza civile da portare avanti fino a quando l’ultimo dei cattivi politici non avrà cambiato mestiere e avrà cominciato a guadagnarsi seriamente la pagnotta.
Perché non cominciamo coi fischi?
Prossimo consiglio regionale, tutti lì a fischiare sonoramente ogni decisione, discorso, istanza, mozione, spartizione ecc.
Basterebbe essere in cento di dentro, e cinquecento di fuori. Pensateci e organizziamoci.
Ve lo supplico, ve lo perfavoro, come diceva il mio nipotino. Un segnale è necessario. Forte e chiaro.
Ecco di seguito il testo della canzone che accompagna il post:
Lasciati dire come andrà
Uno per te, diciannove per me
Perchè sono l’uomo delle tasse
Sì, sono l’uomo delle tasse
Se il cinque per cento ti sembra troppo poco
Sii riconoscente perchè non ti prendo tutto
Perchè sono l’uomo delle tasse
Sì, sono l’uomo delle tasse
Se guidi un’auto, tasserò la strada
Se provi a sederti, tasserò la sedia
Se prendi freddo, tasserò il riscaldamento
Se fai una passeggiata, tasserò i tuoi piedi
Uomo delle tasse!
Perchè sono l’uomo delle tasse
Sì, sono l’uomo delle tasse
Non chiedermi per cosa lo voglio
(Ah-ah Signor Wilson)
Se non vuoi pagare di più
(Ah-ah Signor Heath)
Perchè sono l’uomo delle tasse
Sì, sono l’uomo delle tasse
Dunque il mio consiglio per chi muore
Dichiarate le monetine sugli occhi
Perchè sono l’uomo delle tasse
Sì, sono l’uomo delle tasse
E state lavorando solo per me
I partiti politici, la tomba della politica e della democrazia
Posted on 17. mar, 2012 by L.P. in Argomenti

Il 15/5/2010 scrivevo il post che segue.
Dopo circa due anni posso serenamente affermare che anche i tentativi di Roberto Speranza non hanno sortito effetto. I partiti in genere, ma soprattutto in Basilicata, sono la tomba della politica, e i loro personaggi dei buffi esseri con una miopia che rasenta la cecità, ma premia i personalismi; e questo, evidentemente basta. A loro. E a noi?
“La politica è completamente imbavagliata, e i partitiSimone Weil sosteneva che i partiti politici andrebbero soppressi. Espresse una requisitoria contro il crimine di abdicazione dello spirito che, invece, provoca il modo di funzionamento dei partiti.
Diceva, ancora, che nessuno aveva conosciuto qualcosa che assomigliasse davvero a una democrazia, in quanto nessuno aveva mai visto il popolo partecipare ad una scelta per così dire collettiva, ma, al più, a indicare qualche nome.
Andrè Breton auspicava quantomeno che le consultazioni elettorali potessero riportare in vigore un sistema di scrutinio che non sfavorisse più, sistematicamente, il candidato che si ponesse come responsabile di fronte ai propri elettori, a vantaggio di chi non deve fare i conti con altri che col partito.
I partiti, in effetti, dovrebbero essere un mezzo per perseguire il bene. Sono diventati, invece, un fine. E il fine di ogni partito è quello di acquistare sempre maggior potere. Hanno un elemento costitutivo assolutamente totalitario, che consiste nel avere come obiettivo solo quello di aumentare il proprio consenso. Leggere Weil fa capire come dopo sessant’anni la situazione, in Francia, come in Italia, non sia cambiata, anzi, se vogliamo, sia molto peggiorata.
Oggi ho sentito che il PD lucano, per voce del suo segretario sta facendo le prove di una democrazia finalmente partecipata, attraverso dei forum e altro. Plaudo all’iniziativa. Anche se unse piovesse, oste!, partito difficilmente recepisce il pensiero di altri, semmai pure esterni al partito, quanto piuttosto cerca di indottrinare i suoi elettori e di conquistarne altri. Meglio sarebbe se la democrazia germogliasse fuori dei partiti, per evitare contaminazioni e condizionamenti. Ma, indiscutibilmente, vedere l’agonia degli altri partiti presenti sulla piazza, a fronte dell’attivismo indiscutibile di Speranza, consacra definitivamente l’assoluta incapacità di buona parte dei politici lucani di fare vera politica, segnando molti punti a favore del giovane segretario del PD.
Temo, comunque, che l’iniziativa difficilmente si tradurrà in vera partecipazione; mi sembra più un’operazione di facciata, fumo negli occhi, ma sarei ingeneroso se pregiudizialmente arrivassi a bocciare l’iniziativa, che, invece, merita, lo ripete un sincero plauso.
Sono partito dalla battaglia ai partiti che intraprese la Weil, perché vado convincendomi che i partiti sono la tomba della politica, e la fabbrica di avventurieri allo sbaraglio, di gente senza scrupoli che assalta, per professione, la diligenza. E, poi, sono passato a commentare l’iniziativa di Roberto Speranza, perché è stato l’unico vagito di politica che un partito abbia emesso negli ultimi decenni in Basilicata. Ho espresso le mie angosce e non ho nascosto il mio gradimento.
Chissà se a destra potrà prendere piede uguale fantasia. Solo così potremmo ambire anche noi lucani a un panorama pluralista. Costringere chi governa a farsi da sè anche l’opposizione e a monopolizzare la partecipazione degli scontenti significa abdicare al ruolo cui si è naturalmente destinati, in cambio della pagnotta per pochissimi. E ora birra come un boccale di bionda.
Vertice fra Monza Mario[1] e i tre segretari di partito che lo appoggiano, resoconto stenotipizzato.
Posted on 16. mar, 2012 by L.P. in Amenità
Monza: benvenuti, mi sono permesso di farvi trovare un piccolo rinfresco. Vi trovo bene, accomodatevi.
Bersani: Mario, ma com’è sta storia che ti chiamano Monza?
Alfano: Come come?
Casini: ci siamo tutti? Che bella sorpresa.
M: niente, una signora di Potenza mi ha infelicemente battezzato così, ma non mi pesa, ci mancherebbe, pesa più la responsabilità che un soprannome.
B: veniamo al dunque. Io propongo una briscola, e chi perde non ha voce in capitolo.
A: Non sono d’accordo, facciamo la morra..
C: ma io non la so giocare!
M: a chi lo dici. Né briscola, né morra. Al più il bridge.
B: perché non rappresentate il popolo.
A: infatti io rappresento Berlusconi, e lui il popolo della libertà.
C: io rappresento la moderazione, avanti parliamo in ordine e per ordine. Legge elettorale
B e A: non si tocca.
M: ma…
A, B e C: zitto tu.
C: Rai
A e B: non si tocca.
M: ma…
A, B e C: taci
C: lavoro.
A, B e C: non sappiamo cosa sia, non abbiamo mai sudato per lavoro.
C e A: al più per una partita di tennis
B: al più per una birra di troppo.
M: ma dove sono capitato?
C: Monza qua si comanda noi. Moderatamente.
M: vi faccio vedere io!
A, B e C: ma su, Monza, discutiamo. Ognuno si difende il proprio e non ci si calpesta i piedi.
C: Dai prendo carta e penna. Allora …., Monza cosa vuoi tu?
M: Ma sono io il premier.
B: sborone, Ti abbiamo messo noi, e ora passi il turno; dai Pier scrivi quello che voglio io.
A: io sempre per ultimo, però.
M: Io vorrei tutelare le banche.
C: scusami ma non l’avevamo capito.
M: E daiiiiiiiii
B: Monza, ma ti sei sporcato la giacca
M: dove?
B: puff, ci sei cascato. Che bagigia che sei
A: bè s’è fatto tardi, andiamo a mangiare. Si prosegue un’altra volta. Monza, e facci trovare qualcosa di più buono e raffinato.
B: la birra!
M: ciao amici, però siete forti!
[1] Così chiamato da Carmel R.
Silenzio, pensatori al lavoro
Posted on 11. mar, 2012 by L.P. in Amenità, Argomenti

I laboratori politici dei partiti italiani sono al lavoro.
Laboratorio IdV:
lo chef Di Pietro prova ricette nuove. Ho consultato il manuale di zia Concettina, e si è consultato con un vecchio e saggio contadino. Pare stia provando a inventarsi un’idea per poi metterla a seccare appesa in una stanza piena di fumo. E’ convinto che sia l’idea del secolo, e per limarla a dovere, si sta sottoponendo a una dieta drastica a base di fave e cicoria. Si vocifera che sarà un’idea rivoluzionaria, come l’invenzione del microonde. Si parla di politica del domani, roba mai vista. Il fumo, poi, darà sapore alla sua genialata.
Laboratorio PDL:
Berlusconi sta mettendo fretta ai suoi pensatori. Li ha rinchiusi in un bunker e se li coccola con gnocca e vino buono. E’ convinto che per avere una buona idea bisogna essere sazi in ogni senso.
Lui ha offerto lo spunto. Ha chiesto una politica senza ideologie, che sappia affondare sulle fasce laterali per poi crossare al centro. Inutile dire che gli schemi dovranno privilegiare il suo senso del gol.
Laboratorio PD:
Bersani è stato chiaro: una politica di sinistra non può prescindere dalla difesa dei deboli, ma non può neanche abbandonare le classi più abbienti, secondo la recente tradizione di sinistra. Ritrovare la vecchia scuola politica e rilanciarla alla luce delle esperienze dei comitati di quartiere. Falce, martello e vangelo, con una spruzzatina di filosofia agnostica e di simbolismo etnico, l’evoluzione del capitalismo in salsa vegan.
Laboratorio terzo polo:
moderazione, meditazione, educazione, sì a tutti, un sorriso e un abbraccio e i saluti alla signora.
Laboratorio Grillo:
chiuso per ristrutturazione.
Mai tanta progettualità in campo, perbacco. L’Italia aspetta solo un cenno per cominciare a percorrere la nuova via. Non fa niente se i politici saranno sempre gli stessi. L’importante è che abbiano nuove idee. Chiedo scusa, l’importante è che abbiano idee. Anzi l’importante è che ne abbiano almeno una. Mezza. Un quarto.
Ok, vada per un quarto. Aggiudicato. E se son rose fioriranno.
Parliamo di esperienze sconvolgenti
Posted on 05. mar, 2012 by L.P. in Attualità

Parliamo di esperienze sconvolgenti, dai.
Per esempio un congresso di un partito politico, celebrato, semmai, per mettere qualche coppola in testa a qualcuno, cosa che dalle nostre parti ancora ha un significato pregnante.
In genere non manca niente: un bel manifesto, un tavolo della presidenza stracolmo di supponenza, in genere, talvolta di finta modestia. I big, coi meno big al seguito, a mò di Volpino da compagnia, sorrisi a trentadue denti, e mano sempre tesa a distribuire solidarietà, fratellanza, comunione di intenti e di sacrifici.
Si respira, insomma, un’aria comune, una volta intrisa di ideali comuni, ora solo di interessi comuni, ma comunque qualcosa che accomuna, unisce, addirittura fonde.
E poi gli inni, spesso anche quello d’Italia, da sentire rigorosamente in piedi, con mascella protesa verso un futuro rosa, occhio umido, espressione ispirata.
Poi cominciano le relazioni, in genere incomprensibili, e matematicamente zeppe del nulla più cosmico immaginabile, i saluti e gli interventi.
E allora, dicevo, i congressi dei partiti, soprattutto se locali, laddove manca anche quell’esiguo numero di persone che sanno affabulare meglio, che hanno un minimo di psicologia della platea, e che in fondo sanno spacciare una stronzata per un’idea, ebbene sono davvero un’esperienza sconvolgente.
La visione che traspare è quella particolare di ognuno degli interventori, perché ognuno parte dal suo orto ritenendolo al centro del mondo.
Gli slogan tracimano con un’irruenza potente, le idee latinano, le autocritiche sono formalmente sottolineate ma sostanzialmente inesistenti, i discorsi stucchevoli.
Poi, all’improvviso, il miracolo: la gente si entusiasma e applaude, a una espressione colorita o a uno slogan che conclude una tirata apocalittica con decibel in crescendo.
Alla fine, quando il nulla è stato debitamente celebrato, arrivano i saluti, già più freddi di quelli iniziali, le strette di mano più rapide e meno vigorose; la stanchezza si fa sentire, e l’appetito comincia a fare capolino.
E alla fine i comunicati.
Ed è in quel preciso istante che ti accorgi di aver partecipato a un’altra manifestazione, perché non riconoscerai i risultati epocali, la storicità dell’evento, le rivoluzionarie mozioni approvate, e, alla fine, il convergere unanime di valori, interessi, passioni e pulsioni.
Non riuscirai a mettere in collegamento quello che hai visto e sentito, con quello che viene spacciato nei comunicati. Quando sentirai “Storico congresso” e via blaterando comincerai ad avere dubbi sulla tua capacità di comprensione, perché tu, quelle cose, non le hai sentite, viste e vissute. Anzi ti eri terribilmente annoiato.
L’unica consolazione è che questi spettacoli ancora li danno gratis, anche se a vederli e a subirli sono costrette solo le truppe costituite di ogni corrente del partito. Nuove facce non ce ne sono mai. Qualche giornalista, convinto della necessità di fare informazione raccontando il nulla dei congressi, o forse costretto a tanto dalla linea editoriale, qualche cugino, qualche moglie, e qualche questuante che approfitta della presenza dell’onorevole per avanzare la sua bella richiesta.
L’idea di esprimere un’opinione sui congressi politici me l’ha fornita il recentissimo congresso del PDL, e i comunicati conseguenti, che raccontano di un’esperienza importante, ma il clichè è uguale per tutti i partiti, davvero nessuno escluso.
E questo è il dato più sconfortante.
Ai congressi si distribuisce qualche coppola, si celebra la divisione del potere, frutto di guerre intestine, faccia a faccia, scontri e confronti, compromessi e quant’altro, tutta roba consumata all’ombra di interessi particolari, mai al servizio di una idea comune, del bene comune. Questi ultimi sono inutili accessori.
Ma pare stiano servendo il dessert, e le libagioni sembrano finalmente finite. Il governo tecnico sta seppellendo quello che rimaneva della democrazia. Questa si dovrebbe reggere su maggioranza e opposizione, e sulla libera circolazione delle idee, sulla libertà individuale, e su pari opportunità per ogni cittadino e, infine, sulla convinzione che il mondo possa darci prima o poi giustizia. Tutte cose scomparse, e ufficialmente abolite.
Ma animo, da martedì torna la Champions e allora …….
Parlamentare offresi. Formula convenienza.
Posted on 24. feb, 2011 by L.P. in Amenità

Verdini è rimasto scandalizzato dalle richieste che qualche parlamentare gli ha avanzato perché cambiasse partito.
Considerato che Verdini ha avuto l’incarico di rinforzare le truppe, è indiscutibile che Verdini è a caccia di parlamentari. Soltanto questo giustificherebbe richieste di ogni tipo. Del resto se la domanda supera l’offerta il prezzo sale. Gli economisti del Pdl dovrebbero conoscere queste semplici regole.
Il problema è che parliamo di un mercato speciale: un mercato di uomini-mercenari-politici che sono disposti a cambiare idea in cambio di qualcosa, e non a seguito di un travaglio interiore.
Prendete, per esempio, Barbareschi, che ha cambiato più volte idea in pochi mesi, arrivando anche a commuoversi a ogni passaggio. Cosa possa convincere un parlamentare a rimangiarsi quello che ha proclamato il giorno prima non è facilmente individuabile. Studiosi emeriti ci stanno lavorando sopra.
Nel frattempo si fanno spazio metodi di appartenenza politica per così dire precari. L’appartenenza a tempo determinato ne è un bell’esempio. E si modula così: il parlamentare si offre, col suo bagaglio di portaborse, idee, consenso personale, camicia con polsino e cravatta a tinta, per periodi che vanno da una semplice votazione a periodi di due o tre settimane. Per i fine settimana, quando generalmente non si vota, per i mesi di agosto, e feste comandate i prezzi sono da autentica svendita, ma il parlamentare garantisce un paio di comunicati stampa e apparizioni a richiesta.
Poi c’è l’appartenenza a tempo indeterminato, salvo disdetta, e viene pagata a forfait.
Poi c’è l’assenza programmata al momento delle votazioni. Costa poco e garantisce il colpo di scena, e, fra l’altro, non compromette troppo da un punto di vista diciamo strutturale, non comportando uscite ed entrate in gruppi diversi.
Di moda è, poi, l’uscita dal gruppo di appartenenza e l’ingresso nel gruppo misto. Utile per indebolire l’avversario senza rinforzare il pagante, ottimo in tempi di magra.
Poco di moda rimangono le votazioni da franco tiratore. Utili nelle votazioni segrete, ma francamente antipatiche. Buone per i vigliacchi puri, per i traditori di professione.
Decisamente out restano i cambi per coltivare un’idea diversa. Non costano niente e, per mancia, passi pure per imbecille. In genere sono l’anticamera dell’abbandono della politica giocata, o meglio pagata, cioè, e mi spiego, quella che fa vivere con un congruo reddito. Cambiare idea destabilizza, condiziona il libero mercato dei parlamentari, e rimane ancorato a valori ormai desueti, da soffitta, da imbecilli, appunto.
E ora si apra una seria discussione sul perché le squadre italiane di calcio in Europa fanno pena. Chi interviene?
Gli italiani, eterni turisti
Posted on 30. gen, 2011 by L.P. in Argomenti, Politica nazionale

Ma cosa è un partito? E’ o no un luogo ideale dove si riuniscono intelligenze che hanno un pensiero più o meno comune, per fare politica? E, se siamo d’accordo su questo punto, quali sono le dialettiche di un partito? Sono, o no, il dialogo dal quale emerge un intento comune, un fine da realizzare, una strategia da realizzare? E gli interessi di un partito sono, o no, interessi comuni a tutti?
Diversamente che partito sarebbe? Oppure, sarebbe ancora un partito o non sarebbe piuttosto altro?
E allora, i partiti, in Italia, sono davvero partiti o sono altro?
L’IdV, per esempio, è un partito, o è una struttura piramidale che si identifica con una sola persona, venuta meno la quale, viene meno il partito, non esistendo, alla base, un contenuto ideale?
Spesso si confonde una leadership, pur necessaria in un partito, con il padrone di un partito, che, come tale, dispone di tutto, dalla linea politica, al potere di vita o di morte di quelli che decide di portarsi dietro.
In fondo l’IdV, il PDL e le formazioni minori, non possono essere considerati partiti, ma organizzazioni al servizio di un uomo solo.
Nel PD, o negli altri partiti, le cose stanno diversamente, ma di poco, nel senso che, invece di un padrone, ce ne sono diversi, nulla di più.
Nessun dibattito se non di facciata, e filiere di potere, il cui fine ultimo è la perpetuazione del potere per il potere, al di fuori di ogni obiettivo pubblico o di interesse pubblico.
Altrimenti non si spiegherebbe la qualità media delle classi politiche mai così di basso livello come di questi tempi.
Non si spiegherebbe un parlamento prono alle bizze di pochi politici, e incapace di far sentire una voce significativa.
Altrimenti, infine, avremmo un governo che governa, e non un governo che fa politica e non governa.
Insomma i partiti sono morti, e la partecipazione è nè più e nè meno che la ripetizione di gesti rituali da parte di pochi fidati che interpretano la parte dei militanti, nel vano tentativo di dare l’idea del partito. invece, nei partiti, si eseguono gli ordini, anche sporchi, e l’unico immancabilmente assente è l’interesse pubblico.
A fare questa politica vengono chiamati, di volta in volta, persone fidate, pazienti e acritiche, che fanno volume in maniera statica e scevra di partecipazione intellettuale, come le sagome di legno a far da barriera in un campo di allenamento di calcio.
Per questo l’Italia non si indigna più. Perchè si sente solo spettatrice, e non parte implicata nel meccanismo. Gli italiani tutto si sentono tranne che italiani, sembrano turisti che sorridono davanti allo spettacolo delle buffe, in fondo, risse televisive e non.
L’apparenza è arrivata al punto che, mentre altrove si manifesta per cose serie, come ha detto oggi un editorialista, qui si manifesta per dire bravo a Berlusconi o bravi ai magistrati. Ovvio che i manifestanti sono burattini prestati alla politica, e non gente, da un lato come dall’altro, capace di interpretare il momento attuale per come è buffo. Turisti, dicevo, sembrano solo di passaggio. Tanto, poi, che gliene importa a loro?
Una giunta col pisello
Posted on 20. lug, 2010 by L.P. in Città di Potenza, Commenti

Abbiamo la nuova giunta, a Potenza.
Considerato quello che recita lo Statuto comunale, e tenuto conto che il nostro Sindaco ha a cuore il rispetto delle norme, statutarie e non, probabilmente dietro una facciata apparentemente esclusivamente maschile, deve nascondersi qualche femminuccia, che, però, non vuol apparire per quello che è, e, quindi, si cela dietro abiti e generalità maschili.
Dovrebbero essercene almeno un paio, a occhio e croce, se non proprio tre.
E’ subito scattata la corsa alla scoperta delle femminucce.
Ma io mi asterrò da questa ricerca, rispettoso, come sono, della privacy dei nuovi assessori.
Ufficialmente non si vede una donna in giunta da quando l’allora verde Fulgione non approvò, prima fra tanti, il piano delle antenne, eppure era verde allora.
Intervistato a riguardo il sindaco Santarsiero ha detto: “La unanime convergenza di importanti pezzi della maggioranza corona un difficile percorso che, cocciutamente, abbiamo intrapreso nella convinzione che le idee senza uomini sono come i soldi senza negozi. Andremo avanti spediti per fare di Potenza il crocevia del mezzogiorno, punto di eccellenza del meridione d’Italia nobilmente proteso verso una posizione di rilievo nazionale. La nuova giunta, che mescola magistralmente esperienza, cultura, dinamismo politico e passione giovanile, darà il colpo finale alla crisi che attanaglia la città; ma che dico!, la regione!, ma che dico!, tutto il paese.”
Le donne del PD però mugugnano: “ammesso e non concesso che dietro una giunta al maschile si celi qualche gentile femminuccia, avremmo preferito vedere una gonnella autentica e ufficiale in giunta. Santarsiero non poteva farci questo.” Poi arriva Folino e mette tutto a posto e le donne in fila: “Zitte, papere che non siete altro. Quante volte vi devo dire che non si borbotta?”.
Ma c’è qualcuna che non se la vuole tenere e vorrebbe fare la rivoluzione. “Basta un ricorso al tar”, suggeriscono i GR di tutta Italia che raccontano che questi ricorsi proliferano e vengono pure accolti.
“Sì mò ci mettiamo a fare causa, quello ci manca”.
“Bene, sfogate ci siamo sfogate, quello che dovevamo dire l’abbiamo detto; a fare ricorso non ci pensiamo neppure; donne sì, ma prima di tutto potentine, e di sinistra, ma anche se di destra cambia poco; e quindi, ora tutte a fare la pizza, anche se non è l’8 marzo”!
Dialogo fra un politico e uno schiavo
Posted on 05. lug, 2010 by L.P. in Amenità

Mettiamoci Antonio, così si frega con le sue stesse mani.
Sì, sì. Che forza che sei.
Il problema resta il candidato sindaco, opterei per Fabrizio, ma c’è il rischio che vinca. E poi chi lo tiene più. Diciamo che andrebbe benissimo da perdente. Uhm. Per vincere è meglio Fabio; con lui potremmo fare quello che vogliamo. Il Comune sarebbe nostro.
-Sì, ma come la metti con gli alleati? Loro vogliono una postazione apicale.
-Ma che corressero da soli, se ne son capaci. Guarda in politica bisogna pensarne una più del diavolo. Non devi mai accontentarti del risultato a portata di mano. Ma seminare, perchè noi politici, ogni cinque anni dobbiamo garantirci una postazione, una conferma. Mica siamo come gli impiegati che lo stipendio ce l’hanno per tutta la vita. Per noi è dura. Devi creare una rete. Non sei mai sicuro di niente. Devi guardarti sempre alle spalle. Mica sono leali come me e te.
-E’ vero. Ma forse non conviene vincere in questo momento. meglio stare alla finestra. Ci giochiamo il nome di Marcello, così si brucia e non rompe più le palle in futuro. A Mario lo mettiamo nel consiglio di amministrazione di qualche ente, e tutti sono più o meno contenti. Poi, l’anno prossimo, alle regionali, caliamo l’asso.
-E quale è l’asso? dai dimmelo, non tenermi in sospeso.
-Non devi avere fretta. Non pensarci. E stai tranquillo, per te ci sarà un bel posto.
-Minchia. Sei grande.
-E’ vero, lo so. Sai, mi sono fatto da solo. Tutto con le mie mani. Ne ho mangiato di polvere. Ne ho portate di borse. Ma ora sono qua. E decido io. E guai a chi mi ostacola. Perchè sono bello e buono, ma se mi arrabbio, non ce ne è per nessuno.
-Ehi! Non dimenticarti di Michele. Quello è bravo, ci può dare un supporto tecnico.
-Piano. Quelli bravi non possono fare politica. Questa, è roba per dritti, non per bravi. I bravi devono servire. Ogni tanto un ossicino in bocca per farli sentire sempre in corsa. ma niente di più. Di politica non ne capiscono niente.
-Ma allora, solo noi…..
-No, piccolo. Solo io.
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