Nolė e Saverio
Posted on 07. ago, 2017 by L.P. in Città di Potenza, Provincia di Potenza, Racconti
Il commissario Nolè aveva deciso: avrebbe avuto un compagno di vita, un cane.
Scelse un bull terrier.
Lo prenotò per tempo presso un canile di Napoli, e quando ricevette la tanto attesa telefonata, non vide l’ora di mettersi in viaggio.
Lo fece il sabato successivo, partenza alle sette di mattina per essere al canile attorno alle dieci.
Nolè, in auto, non superava mai i 130 Km orari, ma, per compensare il comportamento di rispetto della legge quanto ai limiti di velocità, non indossava mai la cintura di sicurezza.
Quando se lo trovò davanti fu vero amore: il cane era tutto bianco con un occhio nero. Bruttino, invero, ma per Nolè era una meraviglia.
Aveva meno di tre mesi, e, ricevute le istruzioni per i primi tempi, salutò e scappò via.
Il cane aveva già un nome, ma Nolè decise subito di cambiarglielo, e lo chiamò Saverio.
Lo sistemò sul sedile del passeggero e si mise in viaggio, ma non superò i novanta per timore che il cucciolo cadesse dal sedile.
Dopo dieci soste e tre ore e mezzo di viaggio arrivò a casa.
Non gli aveva ancora messo il guinzaglio.
Saverio guardava il commissario con amore, dolcemente ricambiato.
Dopo una domenica passata a leggere riviste sui cani, e a giocare con Saverio, arrivò tristemente il lunedì.
Nolè di buon’ora si avviò per la questura con Saverio al fianco.
In ufficio lo sistemò in una bella cuccia al suo fianco, ma Saverio capì subito che avrebbe goduto di tutta la libertà che voleva.
Quando si rese necessario uscire d’ufficio, Nolè chiamò Rosaria, l’appuntato più giovane, e la pregò di dare un’occhiata a Saverio.
Doveva incontrarsi con un informatore per una fornitura di droga che sarebbe arrivata in città nella serata. Si incontrarono a Montereale, su una panchina vicino al monumento ai caduti.
Conosciuto ogni particolare dell’operazione, l’informatore si allontanò rapidamente dalla panchina. Nolè, invece, rimase seduto a fumare. Ebbe così modo di vedere tutta la scena.
Mentre l’informatore era all’altezza del belvedere, a una cinquantina di metri dalla panchina, venne avvicinato da due giovanotti che lo affiancarono. Dopo due passi l’informatore si accasciò al suolo. Nolè non badò all’informatore ma tagliò per il Dancing, per incrociare i due malviventi sulla strada che costeggiava la piscina comunale. Il più basso aveva ancora il coltello grondante il sangue dell’informatore in mano e, trovatosi Nolè davanti, glielo mostrò minaccioso. Ma Nolè con un calcio alla mano glielo fece volare via, pronto a difendersi dall’attacco dell’altro aggressore. Questi si fermò di colpo e sfilò dalla tasca interna del giaccone una pistola che puntò immediatamente contro Nolè.
Il commissario si fermò, alzò le mani, e disse “Ok, avete vinto”. Il pistolero era indeciso sul da farsi, mentre l’amico, ben più deciso lo incalzò “Dai, scappiamo”, e cominciarono a correre. Passarono davanti a una panchina dove c’era una ragazza, che, apparentemente distratta, allungò una gamba per sgambettare il malvivente armato. Quando questi cadde, mollando la pistola, il suo compagno si fermò per aiutarlo, ma la ragazza gli sferrò un calcio nelle parti basse e con un balzo recuperò la pistola. Nolè, che aveva visto tutto, aveva un diavolo per capello e apostrofò la ragazza che aveva subito riconosciuto “Dove hai lasciato Saverio?”, Rosaria sorrise e indicò la panchina dove Saverio già scodinzolava alla vista di Nolè.
“Ho pensato di portarlo qui per farlo divertire, commissario”.
Nolè sorrise beato alla vista di Saverio, e incurante dei due malviventi, come dell’informatore che stava avvicinandosi con una mano sul fianco mostrando di non aver subito grossi danni, disse a Rosaria “Pensaci tu a questi due balordi io me ne vado in giro con Saverio”, Rosaria sorrise e chiamò in questura col cellulare per chiedere aiuto.
Nolè intanto già correva per il parco inseguito da Saverio e pensava “Io il collare a Saverio non lo metterò mai”
La condanna
Posted on 06. ago, 2017 by L.P. in Letteratura, Letture, Racconti
Il giudice aveva già deciso di dar ragione all’ente convenuto in giudizio da un suo funzionario. Mancava la statuizione sulle spese del giudizio.
Aveva ampia discrezionalità, sapeva che poteva scrivere quello che voleva; la legge non gli poneva particolari condizioni. In genere, in quel tipo di cause, le spese venivano compensate, e cioè veniva statuito che ogni parte avrebbe soddisfatto le ragioni del proprio avvocato. Ma avrebbe potuto condannare anche la parte soccombente a pagare le spese della parte vittoriosa.
Il giudice posò gli occhiali e ci penso su.
Avrebbe potuto condannarlo non foss’altro che per educare la gente a non adire la giustizia con tanta facilità, ma sapeva che non sarebbe stato giusto.
Era tentato, insomma, ma qualcosa lo frenava.
Usare il suo potere per svolgere una funzione diversa, pedagogica, non gli apparteneva, a differenza di tanti suoi colleghi molto inclini a sentirsi veri padreterni in terra.
Sarebbe stata la sua prima volta.
Aprì il frigorifero e prese una birra, andò a sistemarsi dietro la finestra e indugiò a guardare i passanti.
Finì la birra e tornò alla scrivania. Impugnò la bic nera e scrisse: condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giustizia liquidandole in €. 15.000,00.
Una cifra spropositata.
Era eccitato, riaprì il frigorifero e prese un’altra birra.
Capì che fare il giudice poteva dare piacere insospettabili; sorrise soddisfatto e si dedicò ad altro.
La bierra
Posted on 18. giu, 2017 by L.P. in Racconti

Li guardava gesticolare. Parlare animatamente. Non poteva sentirli, però.
Provava a capire gli argomenti, e forse, qualche volta, riusciva anche a capirli, chissà.
Da quando guardava i programmi televisivi senza audio si divertiva di più.
Spense la televisione e andò a prendere una birra dal frigo. Era gelata. La bevve con avidità.
Accese distrattamente l’Ipod già sistemato sull’amplificatore e partì un ritmo degli anni settanta che meritava di essere ballato. E lo ballò.
Poi, sempre ballando, cominciò a sfilare davanti allo specchio, ogni volta inventandosi una boccaccia diversa.
Fu in quel momento che lo colse la moglie sopraggiunta silenziosa. Non parlò, ma lo guardò con aria tra il falso preoccupato e lo sdegnato.
Lui continuò per qualche secondo e poi smise. La poesia era andata in fumo.
Finì la birra borbottando “la bierra”, come diceva il nipotino.
Represse un rutto, perché gli dava fastidio quel rumoraccio, limitandolo ad uno sbuffo, e andò sul balcone a guardare le stelle.
Roberto de Roberti, 77.
L’autore visse in una grande città senza condividerne ritmi, ansie e sfrenatezze. Convinto assertore dell’esistenza dei fantasmi cercava di offrirne la prova in maniera stramba, per esempio se si sentiva un tuono era un peto di gradimento di un fantasma importante. Per questo odiava i rumori corporali, per rispetto, diceva, al popolo immenso dei fantasmi. Morì a 47 anni e nel rione dicono che il suo fantasma, ogni giorno, alla controra, beva una birra accovacciato in un angolo della strada mentre recita poesie di Taratufolo, poeta sconosciuto ai più, ma molto stimato dal nostro.
La battaglia
Posted on 07. giu, 2017 by L.P. in Racconti

L’uomo aveva un’aria concentrata, i capelli lisci arruffati e le maniche della camicia arrotolate.
In ginocchio sul tappeto disponeva un esercito di soldatini armati di fucile in fila, nell’atto di marciare contro un altro esercito di soldatini con una divisa diversa. Ai lati dell’esercito dispose soldatini nell’atto di lanciare una bomba. Ogni tanto l’uomo sorrideva, ma era un attimo, perché subito prendeva a posizionare diversamente i soldatini in una scena nuova di quella immaginaria battaglia.
Un colpo alla porta lo riportò alla cruda realtà. “Si”?, disse ad alta voce, “Vostro Onore la stanno aspettando per l’udienza”.
Il magistrato sospirò, si alzò malvolentieri, indossò la giacca prima, e la toga dopo e uscì dal suo studio adattato a campo di battaglia.
Entrò nell’aula spettinato come prima, ma con una faccia severa, fra l’austero e il disturbato, espressione abbastanza tipica dei magistrati in quel periodo di tempo nel quale erano diventati protagonisti anche della vita politica del paese.
Sedette e aprì il fascicolo che trovò sul bancone.
Gli avvocati stavano immobili ai loro banchi, uno sparuto numero di persone sostava nello spazio destinato al pubblico, l’ufficiale giudiziario aspettava ordini. Il Pubblico Ministero, invece, prendeva appunti.
Il magistrato vide l’avv. Melchiorri e lo chiamò al bancone. Sorridendogli gli disse “Sa, sono riuscito a trovare un artigiano che ha riprodotto in maniera, pare, eccellente i plotoni giapponesi del periodo antecedente la prima guerra mondiale. È un artigiano svizzero che vende anche per corrispondenza”.
“Giudice ma questa è una grande notizia. Mi dia l’indirizzo provvederò a ordinarne uno per lei e uno per me”
“Benissimo, poi mi dice quanto le devo”
“Sarà un piacere fargliene dono, giudice”
“Lei è sempre squisito”
Quindi chiamò la causa e condannò, abbastanza ingiustamente, il cliente dell’avv. Melchiorri.
Si incontrarono come al solito al bar per il caffè delle undici e trenta “avvocato, stia tranquillo, glielo farò assolvere in grado di appello, muovendo le pedine giuste e costruendo una sentenza balorda, così avrà guadagnato un doppio onorario”
“L’avevo capito, giudice, e come sempre, le sono devoto”
“Poi la invito per una battaglia all’ultimo sangue, così potremo finalmente darci del tu”
“Sarà come al solito una bella giornata”
Quindi si salutarono e ognuno tornò ai suoi soldatini.
La saga di Dario e Rocco. Quando l’Anac perforò il sistema di difesa antipec del Comune di Potenza.
Posted on 27. mag, 2017 by L.P. in Amenità, Città di Potenza, Letteratura, Racconti
La saga di Dario e Rocco è la storia romanzata di due personaggi noti nella città di Potenza che contraddistinsero una stagione amministrativa attorno agli anni 2010/2020 dopo Cristo.
Entrambi corpulenti, estremamente fattivi, volitivi e magicamente uniti, seppero affrontare una stagione politica tribolata, ribaltare un sistema incancrenito, a sentir loro, far schiattare in corpo quelle che all’epoca venivano definite destra e sinistra, nonostante la stagione delle ideologie fosse stata da tempo relagata in soffitta, inanellando perle su perle, di saggezza come di umorismo.
Qualcuno, pensando a loro, rivedeva la mitica coppia Don Chisciotte-Sancho Panza, ma non aveva capito granchè. In verità nessuno seppe mai capire fino in fondo chi fosse la mente e chi il braccio, ovvero se non si trattasse di una congiuntura perfetta nella quale le virtù, come i difetti, anzichè completarsi a vicenda, si unirono per raddoppiare.
Il partito che all’epoca era maggioranza si sfaldò completamente e le altre forze politiche furono relegate in un angolo dall’incedere imponente, maestoso e per certi versi cinico dei due.
Dopo di loro nulla fu come prima. Rivoluzionari? O solo meteore impazzite che una alchimia astrale aveva buttato nella mischia al momento giusto? Nessuno potrà mai saperlo.
Le loro avventure vennero raccontate in diretta e qualcuno le conservò.
Oggi vengono riproposte dalla Braccobaldoshow edizioni e questo blog ha la fortuna di poterle pubblicare.
Buon divertimento.
Come Il Comune di Potenza venne multato dall’Anac nonostante l’ordine di non leggere le PEC.
-Dario, ci hanno multato.
-Chi si è permesso!?!
-L’Anac.
-Diavolo di un polipone! Rocco, dimmi, ma la multa è arrivata per Pec?
-Si
-Diamine e l’avete aperta?
-Si
-Avevo dato ordine di non aprirla! Chiamami il responsabile!
Azzardi poetici
Posted on 26. mar, 2017 by L.P. in Racconti
La musica si diffuse all’improvviso nelle aule di giustizia, dove si celebrava il nulla, fra rinvii, impedimenti, e sentenze ingiuste.
L’attempato avvocato non seppe trattenersi e si scatenò in uno sfrenato balletto.
Le reazioni furono diverse: un anziano avvocato storse la bocca disgustato; il giudice chiamò le guardie; la giudice si spaventò e chiamò il suo ragazzo col cellulare; il cancelliere sorrise di gusto; un giovane avvocato indicò il neo ballerino con sarcasmo agli amici; un testimone impallidì.
Ma nessuno ballò.
Volarono parole grosse. Le guardie arrivarono e arrestarono il ballerino. Lo portarono via. Ma la musica non smise di suonare. Appena fuori le guardie liberarono l’avvocato e gli chiesero “ma come si fa”?
E l’avvocato disse “basta seguire il ritmo e fottersene”.
E ballarono tutti e tre.
Il rinvio
Posted on 25. mar, 2017 by L.P. in Attualità, Letteratura, Letture, Racconti

Il giudice sbirciò nell’aula e quando vide che si era creato il giusto clima di attesa, scampanellò e vi fece ingresso. Posò il codice, mormorò un “buongiorno” e si sedette. Un paio di avvocati fecero per avvicinarsi per perorare, probabilmente, situazioni particolari, come ottenere una precedenza in elenco di trattazione o altro. Li bloccò tutti con un cenno della mano e disse al microfono: “Signori è con profondo rammarico che devo prospettarvi l’impossibilità che l’odierna udienza si tenga regolarmente. Devo comporre il collegio per la concomitante assenza del giudice Paoloni, quindi provvederò a chiamare velocemente i processi ed a rinviarli nello stesso stato in cui venivano per la data odierna. Il rinvio è, per tutti i processi, al 30 giugno del prossimo anno, perchè purtroppo prima non si può. Mi scuso con gli avvocati, le parti e i testimoni, ma non posso farci niente”, “ma potevate avvisarci”, “io vengo da Salerno” “la mia causa viene rinviata da tre anni”; il giudice perse la pazienza: “non posso farci niente, come devo dirvelo. E ora silenzio in aula, o la faccio sgomberare.” –Insopportabili- pensò il Giudice. Quindi rinviò tutte le cause, riprese il codice e scomparve.
Lo scippo
Posted on 17. giu, 2016 by L.P. in Letteratura, Racconti
Mazinga!
Posted on 23. mar, 2015 by L.P. in Città di Potenza, Racconti

http://www.neteditor.it/node/232783
Renzi ha ragione.
E potrebbe bastare l’affermazione, ma voglio infierire e spiegherò il motivo di questa sacrosanta verità.
Lupi doveva dimettersi perché, non avendo preso bustarelle in cambio di favori, cioè mancando una imputazione per corruzione, abuso di ufficio ecc., ha fatto la figura dell’imbecille cui si può fare tutto sotto il naso; cosa che se è tollerabile per un genitore i cui figli marinano la scuola e lui non se ne accorge, la cosa diventa insostenibile per un ministro della repubblica italiana, sempre chè sia governata da Renzo Renzi.
Ma cosa cappero c’entrano i sottosegretari inquisiti, buondio?
Questi tutto sembrano meno che fessi e delle due l’una: o hanno davvero torto e hanno commesso quello che gli viene contestato, o sono innocenti. In ogni caso non sono fessi, tutt’altro. E se sono colpevoli, aribuondio, fino a quando non ci saranno sentenze passate in cosa giudicata, non lo sono, talchè ciccia, andassero a scopare il mare i gufi, gli uomini neri, i malamuort, i pessimisti, in uno: i perdenti.
Perché Renzi è un vincente.
Qualcuno ha dubbi?
Immagino proprio di no.
Pensate che quando da ragazzo Renzi giocava alle figurine dei calciatori, ebbene lui aveva il mazzo più grosso. Mazzo che gli è rimasto in seguito, quando è cresciuto. Pare abbia trovato, alla base dell’arcobaleno, la pentola con le monete d’oro.
Dicevamo del mazzo.
Un mazzo di fiori pare faccia sempre piacere, salvo dimenticarselo in un vaso, senza cambiare neanche l’acqua, o affidando l’incombente alla donna di servizio.
Ti ha fatto il “servizio” recitò beffardo Antonio Colasalvo a Amintore Tubetta il giorno che questi trovò la macchina senza ruote, poggiata, vivaddio, su quattro blocchetti di cemento coi quali certo non si circola.
“Circolare” disse il vigile a un gruppo di persone intente a osservare un tizio che stava steso per terra a dormire ubriaco.
“Ubriaco lei mi dice” disse quello barcollando al vigile che gli puntava il dito contro.
Contro senso è un periodico lucano.
Lucano è l’amaro e il petrolio italiano.
Italiano, storia e geografia, tre materie sul groppone, si portò Mario a settembre.
Settembre è il mese più bello per andare al mare; sai c’è poca gente, il sole non scotta e il mare è un paradiso.
Il Paradiso te lo sogni con tutte le sozzerie che vai facendo.
Facendo è un gerundio.
Ok, ti sei divertito, ma ora rispondimi serio: ma sei uscito scemo?
Ma che voglio dirti, mi sembrava di essere uscito normale, se ora sembro scemo vuol dire che davvero non ci sono certezze.
Allora ci si vede domani.
A domani, sicuro.
E salutami la signora.
Non mancherò, tranquillo.
Ciao.
Cià.
Fu con gesto lento e meditato che il Padreterno prese il cassino e cancellò il genere umano. La colpa venne addebitata totalmente a un blogger sconosciuto che però era riuscito a essere letto nei posti che contano e qualcuno aveva riferito a Lui.
Il genere umano sarebbe riapparso, in forma selvaggia, su un pianeta che si chiamava “Lercio” nella costellazione di Ponervhada Kamatku, più o meno a fianco al giornalaio del rione di Saturno il Fatuo, guardando lo stadio, of course, più o meno dodici anni dopo.
Tutta l’operazione venne eseguita sotto il controllo attento di Mazinga.
Riflessi di beatitudine
Posted on 21. mar, 2015 by L.P. in Racconti
L’udienza scorreva fluida come può essere fluida un’udienza di tribunale in Italia.
Gli avvocati si avvicendavano attorno a un bancone dietro il quale sedeva il giudice, un uomo mite, riservato, che parlava sempre sottovoce.
L’aula era grande, ma abbastanza affollata.
A un certo punto entrarono due poliziotti in uniforme che si sistemarono ai lati dell’aula come a controllare cosa accadesse.
Poi, all’unisono, controllarono gli orologi e fecero un segno con la mano chissà diretto a chi e per quale motivo.
Un attimo dopo si scatenò la musica e fece ingresso l’avvocato ballerino. Al giudice avevano raccontato cosa era accaduto l’anno precedente e sapeva anche che al ballerino avevano comminato una sanzione disciplinare, ma lui aveva riso dell’episodio condannando, dentro di sé, la reazione dell’Ordine.
L’avvocato, in mezzo alla sala delle udienze, ballava scatenato, i due militi controllavano che nessuno interferisse e lentamente cominciarono a seguire il ritmo finendo per unirsi all’avvocato. Il giudice si alzò e fra lo stupore generale si unì al trio.
Qualcuno chiamò, però, i carabinieri, che, seppure a malavoglia, arrestarono tutti.
Interruzione di pubblico servizio, fu l’accusa.
I cinque furono processati per direttissima e condannati a un anno di reclusione, ma con la pena sospesa, da un giudice anziano che celebrando il processo non la smetteva di scuotere la testa.
E così la giustizia italiana si riscattò da decenni di incredibili ritardi.
Dicono che alla lettura della sentenza i cinque si guardarono e sorridendo alzarono il pollice in segno di ok.
Commenti recenti